«Pasticcio italiano in Albania » di Maurizio Molinari

«Pasticcio italiano in Albania » IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE ESTERI DEL SENATO «Pasticcio italiano in Albania » Migone: groviglio burocratico sugli aiuti intervista Maurizio Molinari ROMA Aun mese di distanza dalla missione condotta a Tirana, la Commissione Esteri del Senato presieduta da Gian Giacomo Migone (Ds) ha approvato una mozione che chiede al governo una «correzione di rotta» nella gestione degli aiuti all'Albania, affidati a una troppo complessa piramide burocratica. Senatore Migone, perché ritenete farraginosa la gestione degli aiuti? «In Albania, dove l'Italia si gioca il suo prestigio internazionale, vi sono troppi cuochi per la stessa minestra. Fu il generale Franco Angioni, Commissario straordinario per gli aiuti, il primo a illustrarci un organigramma complicatissimo: c'è un Comitato interministeriale presieduto dal presidente del Consiglio - spesso sostituito dal sottosegretario Marco Minniti da cui dipende il Commissariato di Angioni, che a sua volta dispone di una delegazione speciale guidata da un diplomatico e parallela alla nostra ambasciata. La complessità mi pare evidente. Durante la missione in Albania abbiamo constatato il forte rischio, se non la certezza, di un corto circuito». Vi sono state delle conseguenze di questa sovrapposizione di compiti? «Vi sono state quando il vice di Angioni, Mario Scali, anziché agire attraverso la delegazione speciale la scavalcò decidendo di negoziare direttamente con il presidente del Consiglio albanese, Pandeli Majko». E' vero che Majko ha un consigliere italiano? «Sì, è Antonio Napoli, ex assessore del Comune di Napoli. La presenza a Tirana in un posto di tale responsabilità di un cittadino del Paese più impegnato nell'elargizione degli aiuti ha un qualcosa di post-coloniale che era meglio evitare. Imprudentemente l'Italia non si è opposta a questa nomina da parte di Majko, che ha creato ulteriori complicazioni». Quali? «E' stato lo stesso Majko a dirci che lui gli accordi con l'Italia li fa direttamente, grazie ai rapporti fra Napoli e Scali. Senza tener conto della nostra ambasciata. Seguendo questa prassi un accordo è stato già concluso per il valore di 70 miliardi, scavalcando la delegazione speciale e modificando le intese siglate». Che cosa ha comportato questa modifica? «C'è stata un riduzione drastica dei fondi all'agricoltura, settore strategico per lo sviluppo dell'Albania, e la decisione di utilizzare gli aiuti per la formazione dei magistrati non per costruire il Tribunale o la Cassazione - cosa che avrebbe un alto valore simbolico - ma di un palazzo per il ministero della Giustizia. Queste modifiche hanno portato a un accordo firmato da Majko e Minniti a Ciampino. Né la nostra ambasciata a Tirana né la delegazione speciale erano state informate dell'avvenuta modifica degli accordi. Lo hanno scoperto a posteriori, esattamente come è avvenuto per noi. C'è un serio problema di metodo a prescindere se poi le nuove intese sono state a loro volta modificate». Cosa proponete come rimedio? «Bisogna semplificare il rapporto fra Italia e Albania e renderlo più istituzionale. La guida politica degli aiuti deve essere del Comitato interministeriale e del premier in persona, senza deleghe nei momenti importanti. La delegazione speciale deve rientrare nell'ambito dell'ambasciata. Il Commissariato di Angioni, già prorogato, scade a dicembre e non serve più. Ma soprattutto i poteri di coordinamento sul campo di ogni presenza italiana devono essere di una persona sola: l'ambasciatore, perché è lui che rappresenta lo Stato italiano». Gian Giacomo Migone. presidente della Commissione Esten del Senato