Un socialista del dopo-Felipe sfida l'Emperador catalano di Pierluigi Battista

Un socialista del dopo-Felipe sfida l'Emperador catalano DOMENICA SI VOTA, PUJOL E' IN TESTA Al SONDAGGI MA LO TALLONA L'EX SINDACO DI BARCELLONA MARAGALL Un socialista del dopo-Felipe sfida l'Emperador catalano reportage Pierluigi Battista inviato a BARCELLONA SE domenica Jordi Pujol, dopo diciannove anni di indiscusso dominio, fosse democraticamente ma brutalmente estromesso dal suo trono di «Emperador» della Catalogna, non sarebbe solo un piccolo ma solidissimo regno a franare, ma finirebbe per risultare irreversibilmente incrinato e svuotato il tanto ammirato «modello catalano» negli anni scorsi agitato come una bandiera di moderazione contro le pulsioni secessioniste di Umberto Bossi. Svaporerebbe quella sapiente miscela di nazionalismo temperato e di indipendentismo «soft» additata come valido antidoto alle tendeze disgregatrici e particolaristiche che in questa fine di secolo, alimentate dai miti fallaci e posticci delle «piccole patrie» in rivolta contro il «Centro», rischiano di minare l'integrità stessa degli Stati europei. Nel laboratorio politico di Barcellona l'alambicco contrassegnato con l'etichetta «Pujol» verrebbe messo da i parie come esempio di 1 una mediazione fallita tra la voracità dello Stato «centralista» e le spinte centrifughe delle microcomunità eccitate dall'esclusivismo etnico e linguistico. Ecco perché a Barcellona alimenta attese e timori la sola eventualità che nelle elezioni che domenica rinnoveranno il parlamento dela Catalogna (la «Generalitat») Pujol possa perdere la sfida con Pasqnal Maragall, socialista, di purissime origini «catalane», sindaco della Barcellona r' nata a nuova vita con le gigantesche trasformazioni urbanistiche messe in moto dall'appuntamento olimpico del '92. La chiamano / addirittura la «campagna del / secolo»: la lotta vissuta vissuta qui con comprensibile passione tra l'autocrate del nazionalismo catalano investito da un massiccio consenso popolare sin dal 1980 e il sindaco modernista e dinamico che per la prima volta da anni incarna un'immagine del socialismo iberico totalmente emancipata dall'ombra lunga di Pelipe Gonzàles e dal sospetto di giocare una partita «per conto di Madrid». Una guerra, squisitamente democratica ma condotta con feroce determinazione dai due contendenti tra l'astuto Pujol che tappezza Barcellona con manifesti che trasudano voglia di tranquillità e materializzano la paura dell'ignoto e il candidato socialista che fa campagna elettorale sul modello americano e che sembra aver trovato la parola giusta per catalizzare aspettative e desideri a lungo compressi: il «cambio», l'alternanza, l'aria nuova, la fine di un impero durato più di quello di Helmut Kohl, consolidato da ben cinque elezioni trionfalmente vinte da un uomo che ha agitato con somma abilità lo stendardo della lotta all'oppressione fiscale e quella simbolicamente cruciale dell'«orgoglio catalano» e che sembrava imbattibile, irresistibile, eterno, inamovibile.Non è naturalmente affatto detto che avrà un lieto fine la favola di una democrazia imbalsamata destinata a risvegliarsi nella dinamica elettrizzante di un'alternanza rimessa in moto. Anzi, i sondaggi danno ancora qualche punto di vantaggio di Pujol sul concorrente Maragall. Inoltre continuerà certamente ad avere un peso la tendenza astensionista dell'elettorato degli «immigrati» che danno la maggioranza ai socialisti nelle elezioni per il paramento e il governo di Madrid ma se ne stanno a casa quando è in gioco l'«autonomia» catalana di cui sono sommamente disinteressati. Ma il punto centrale è che l'even¬ tuale disfatta del pujolismo sancirebbe la fine di un contro-esempio giocato dagli Stati «centrali» nei confronti delle loro minoranze. «Guardate che Pujol non ha niente a che fare con il vostro Umberto Bossi, non è un capo-popolo, è un politico che ha saputo costruire pezzo dopo pezzo il suo impero», avvertono in coro l'interlocutore italiano gli analisti politici che sulle colonne di «La Vanguardia», il più autorevole quotidiano di Barcellona, e del «Periodico de Catalunya» che viene pubblicata in un'edizione in catalano e in un'altra in spagnolo «castigliano», seguono con apprensione una campagna elettorale durissima ma che finora non è fortunatamente riuscita a oltrepassare la soglia della rissa scomposta. Pujol non è Bossi, dicono, perché in una delle regioni più ricche d'Europa ha saputo prima di tutto convogliare uno sconten¬ to diffuso verso Madrid accusata di dissanguare con l'arma delle tasse la prosperità catalana verso l'approdo di una riforma fiscale che ha massimizzato la quota del carico fiscale che resta all'interno della «frontiera» catalana. In secondo luogo ha saputo vellicare il risentimento catalano covato durante un regime come quello franchista che faceva del castigliano il soggetto di un odioso dispotismo linguistico. Sua, di Pujol, fu la legge che lasciò evadere la lingtia catalana da una dimensione «privata» senza alcun rilievo pubblico. Ma è anche attribuita a lui, all'«Emperador» della Catalogna, una radicalizzazione integralistica che ha intro- dotto addirittura in una oramai collaudata convivenza bilingue il lessico terroristico delle multe e delle sanzioni comminate a chiunque non si attenga con scrupolo burocratico all'assoluta parità tra catalano e castigliano che impone, tra l'altro eguale presenza del catalano e del castigliano nei documenti pubblici, «quote» paritarie in radio e in televisione: una esasperazione che viene oramai considerata da molti come una camicia di forza, una degenerazione autoritaria di un'istanza paritaria in sé sacrosanta. Una prova, dicono gli avversari di Pujol, che col passar degli anni la risorsa politica di Pujol che tra l'altro più lo distingue da Bossi -una capacità di negoziazione continua con Madrid, un modello di scambio che fa a pugni con ogni impostazione estremista del «nazionalismo»- si è come appannata e depauperata. E infatti i socialisti seguaci di Maragall met tono la sordina al significato politico nazionale che le elezioni d domenica potrebbero avere, e cioè un primo rilancio del socialismo spagnolo in vista della riviri¬ cita con il Partito popolare di Jose Maria Aznar (partito che qui gioca un ruolo di terzo incomodo, ma decisamente marginale rispetto al big match). È mettono in evidenza le radici «autoctone» di un sindaco che è tra l'altro nipote del poeta catalano Maragall, molto amato daU'intellighentsija di Barcellona. Ne è stata eloquente prova mercoledì sera al Camii Non di Barcellona l'ini magine di una tribuna d'onore straordinariamente folta per la partita dell'anno giocata dal Barca contro il detestassimo Reài Madrid, Maragall era a pochissimi metri da Pujol e imprecava quando Pujol imprecava, gioiva ostentatamente quando Pujo' nella fila davanti, ostentatamente gioiva. Con questo esercizio acrobatico di mimica calcisticopolitien Maragall interpretava alla perfezione i sentimenti antimadrileni di una città che nel dualismo calcistico tra il Barca e il Real Madrid ha storicamente riconosciuto un'antitesi simbolica tra due mondi, due culture, due modelli di città: un cocktail simbolico e politico che da sempre è stato un ottimo carburante per i trionfi di Pujol. E intatti r«Emperador» della Catalogna ha subito stigmatizzato la prensenza di politici di Madrid, a cominciare dallo stesso Gonzàles, venuti ad assistere al derby tra le due grandi di Spagna. Un nervosismo che tradisce la percezione che un'epoca, forse, e ginn ta oramai al tramonto. Oggi, da Madrid, Aznar, come prima di lui Gonzàles, non può fare a meno del condottiero catalano sui cui voti determinanti, infatti, il governo nazionale si regge. Bossi, è bene non dimenticarlo, dalle elezioni del '96, proprio così voleva uscire: determinante perii governa di Roma. Non è riuscito nell'impresa. Ma anche a Barcellona, nel cuore della Catalogna, non tutto riesce per l'eternità. Nemmeno per un imperatore democratico come Jordi Pujol. Dopo quasi vent'anni vacilla il trono del leader che ha incarnato il localismo pacato e democratico Gli avversari puntano sul declino della sua capacità di mediare con Madrid e sulla voglia di cambiare il localismo pacato e democratico dondimoente Em non solifiniibilo il talao coione niste ebbe aziopenome e ditiche colo, e po in rià i 1 ere la sociaatalana r' le to no / el / usiIl nazionalista catalano Jordi Pujol, leader della coalizione Convergencia iUniò (CiU), al governo della regione dal 1980 SM0HA Superficie: §04.759 kmq Popolazione: 39.600.000 Pnl: 980.000 miliardi di lire Pni prò capite: 24.819.000 Disoccupazione: 18,03% Capitale: Madrid lingue: spagnolo Primo ministro: José Moria Aznar IL CONFRONTO CON IL CENTRO Portogallo Francia MADRID fi» W \ BARCELLONA CATALOGNA Superficie: 31.398 kmq (6,3%) Popolazione: 6.300.000 (15,6%) Pnl: 189.000 miliardi di lire (19,1% Pnl prò capite: 31.000.000 (124,9% Disoccupazione: 10/4% Capoluogo: Barcellona Lingue: spagnolo e catalane Primo ministro: lordi PmJoI Il nazionalista catalano Jordi Pujol, leader della coalizione Convergencia iUniò (CiU), al governo della regione dal 1980 Lo sfidante, il socialista Pasqual Maragall. sindaco di Barcellona dall'82 al '97. A sinistra, un'immagine della citta