«Non si lotta più contro i boss»

«Non si lotta più contro i boss» AMORE, MALATTIA, FAMIGLIA, CRIMINE: COSI' PARLO' IL SUPERPENTITO «Non si lotta più contro i boss» «Possibile che in Italia abbiano tanti alleati?» documento I MIEI FIGI!. «Quei miei bambini che sono arrivati qui con me, negli Stali Uniti, prima si sono chiamati in una maniera, poi in un'altra... I miei figli, guardandomi negli occhi, mi chiedevano: "Papà, ma come mi chiamo? Ma questo è il mio vero nome"». LA MALATTIA. «Fin quando una certa malattia non entrò nel mio corpo, ero un uomo abilissimo, adatto a tutto. E forte. Facevo ginnastica regolarmente. In carcere giocavo a pallone tutti i giorni. Forse c'è stata un po' d'incoscienza da parte mia, anche se fisicamente sono sempre stato bene. Da due anni, con questo male, non me lo sogno più di correre. Ogni tanto sento che le forze mi abbandonano. Questo male lo combatto, mi aiuto». LA MARA. «La mafia è insita in ogni siciliano. Il siciliano ha bisogno di piangere sulla spalla dell'amico e si crea quasi dei clan naturali. Non è una scoperta nuova. Io, siciliano, ho bisogno di sentire un gruppo vicino a me, anche se sono l'ultimo del gruppo. Non devo necessariamente essere il capo. Però, creare un clan è una cosa insita nel nostro Dna. E si può eliminare solo dando lavoro e scuola ai siciliani. Per l'Italia siamo stati il "Terzo mondo", ecco perché la mafia ha proliferato. Per questo motivo dico ai politici: se volete buttarla come ai vecchi tempi, dimenticandola, dovete sapere che vi ritroverete il serpente dentro la manica». BUGIE. «La verità si ricorda sempre facilmente, sono le bugie che è molto difficile ricordare. Vengono a galla, soprattutto quando uno come me si è sottoposto negli anni a centinaia e centinaia di interrogatori». LA MIA «ITA': PALERMO. «Ho una tremenda nostalgia di Palermo: chissà cosa pagherei per tornare nella mia terra e vedere i posti dove sono nato, la scuola dove ho studiato sino alla seconda media: mi farebbe tanto bene: rivedo Palermo solo in tv, e purtroppo solo per cose tristi : per gente ammazzata gente arrestata. Non riesco mai a vedere una Palermo capace di esprimere una sua felicità.» SCRISSI A CAPONNETTO. «"Sono giunto alla conclusione che la mafia deve essere distrutta e che tutti debbano collaborare con lo Stato in questa lotta e l'obbligo maggiore l'ho io, che di quella mafia ho fatto parte: sento il bisogno di chiedere perdono, non solo a Dio, ma anche alla mia famiglia e a quelle persone che hanno visto i propri familiari uccisi dalla furia mafiosa"...E inviavo a Caponnetto i miei distinti ossequi». FALCONE TRA I MIEI MORTI. «Vuole adesso un bilancio? Due figli, un fratello, un genero, quattro nipoti. E un amico, il dottor Giovanni Falcone. Mi sono espresso male: il dottor Falcone non fu mai mio amico. Lui fu sempre un giudice istruttore, io fui sempre un mafioso che stava collaborando. Non vorrei che in Italia qualcuno, leggendo, cominciasse a speculare: "Erano amici, di qua e di là..."». MAFIA CHE VIENE. «La mafia futura sarà la mafia degli eredi. Le persone che non si sono pentite, e sono tante, hanno lasciato in eredità soldi e principi. Ma non le dice nulla il silenzio di gente stracarica di ergastoli che continua a rispondere no ai tentativi dei giudici di svelare almeno alcuni dei loro segreti? Non volersi pentire, oggi, nel Duemila, è una dimostrazione palese: è il segnale per chi sta fuori. Significa: continuate. Resistete ma continuate». I SOLDI. «Vidi i primi Rolex, le prime camicie di seta, che in pochissimo tempo diventarono segni di riconoscimento di qualsiasi detenuto mafioso. E quando, uscito dal carcere, me ne andai dall'Italia in Brasile, in segno di amicizia e rispetto i boss di Cosa nostra mi regalarono - eravamo verso la fine degli Anni Settanta - cinquecentomila dollari, poco meno di un miliardo di lire» «Ritengo che ci siano ancora molti soldi mafiosi sotto terra. Nascosti. E' impossibile che gli uomini di Cosa nostra siano riusciti a mettere alla luce del sole tutte le ricchezze costruite col il traffico di droga negli Stati Uniti. Impossibile. Credo ci siano enormi ricchezze convertite in lingotti d'oro. E credo che lo Stato non sappia bene in che direzione cercare». BAGARELLA. «Lo dico a ragion veduta: è un uomo con disturbi psicofisici. Ricordo che ci trovavamo all'Ucciardone, che giocavamo tutti a pallone, ma lui non sapeva giocare. Nessuno di noi era un Baggio o un Ronaldo, ma lui era davvero negato. Per dare un calcio al pallone lo dava contemporaneamente con tutti e due i piedi». PRIMO MATRIMONIO. «Me lo ricordo come un brutto matrimonio riparatore, nella chiesa di Sant'Antonino. Quel giorno, per me, fu la cosa peggiore che mi sia potuta accadere nella vita. E' un matrimonio che cominciò male». IPERDBITL «Riflettevo su una cosa che non ho mai detto pubblicamente perché non c'è mai stata occasione, e nessuno me lo ha mai chiesto. Sono stato un uomo che è sempre salito sul carro dei perdenti. Non so perché. Quasi un'attrazione naturale». LA MIA VOCE. «Sono state importanti per me la tonalità, la "soavità" della mia voce. La voce mi ha consentito spesso di ammorbidire situazioni che rischiavano di farsi pesanti. Ma la mia voce» mi ha detto un giorno «è una cosa congenita, non l'ho perfezionata alla scuola di arte drammatica, mi ha anche permesso di divertirmi, cantavo discretamente... Non c'era matrimonio al quale fossi invitato in cui rinunciavo a cantare». I' AMORE. «All'inizio degli Anni Sessanta avevo conosciuto una donna sposata, Vera Girotti, molto nota in quegli anni negli ambienti dello spettacolo perché moglie del batterista Gegé Di Giacomo. Nacque fra noi una relazione che andò avanti parecchi anni e ci diede anche dei figli... Stavo bene con la Girotti, eravamo veramente innamorati». NEW YORK. «Giunsi a New York in pullman. Ma il mio primo impatto fu abbastanza disgraziato. Non ero abituato a quelle grandezze, e all'autostazione non riuscivo a trovare l'uscita: salivo ai piani alti e vedevo solo macchine posteggiate, scendevo giù e mi ritrovavo nello scantinato. Non sapevo che fare». BIGAMIA. «In altre parole, per diversi anni ho vissuto a New York con due famiglie. E in due case. Per evitare di essere scoperto, comperai un doppione del mio guardaroba: due abiti, due cappotti, perché dimenticando facilmente com'ero vestito, rischiavo di essere scoperto, o dall'una o dall'altra. Il disastro erano le feste comandate. A Natale, Capodanno, Pasqua, quando spesso, durante la stessa serata, ero costretto a cenare due volte. Era la fine del mondo. Era un inferno, non era affatto piacevole». BADALAMENTI. «Devo dire la verità: Badalamenti scartò immediatamente l'ipotesi del golpe perché c'erano di mezzo i fascisti. Disse testualmente: "A noi i fascisti non ci hanno mai sopportato e noi andiamo a fare un golpe proprio per loro?". Era molto contrariato. Decidemmo tutti di soprassedere, in attesa dell'esito degli incontri romani». COGNOME. «In Brasile, alla fine del 1950, nacquero nuovi problemi. Nuovi drammi familiari. In brasiliano volgare, buscetta sta per l'organo genitale femminile «Mia moglie diventò molto infelice perché aveva un cognome che non poteva esibire in pubblico. Era molto sensibile, molto discreta. Io riuscii ad aggiungere una "h" nel mio cognome, che diventò Buschetta». PROVE M VALORE. «E io la diedi, come la diedero tutti gli altri. Potrei parlarne tranquillamente, perché tutto è andato in prescrizione, ma ho vergogna che i miei figli leggano questo. Non ricordo più nemmeno il nome del morto... Sono stato un mafioso, ho commesso dei reati: così devo essere guardato». BADALAMENTI II. «Se Badalamenti si pentisse? Potrebbe raccontare anzitutto i suoi incontri con il senatore Giulio Andreotti, quando .indi i a trovarlo a Roma nel suo studio per ringraziarlo del suo interessamento per il processo a Vincenzo e Filippo Rimi. Questa storia me la raccontò lui. Io l'ho riferita ai giudici e mi sono andato a cacciare in un mare di guai. Lvii, che conosce i fatti di persona, non solo nega tutto, ma ogni tanto minaccia di smentirmi. Ricorderà la storia del suo avvocato americano che propose al mio difensore di confermare la mia versione su Andreotti, se io gli avessi dato una mano per il processo Pizza Connection scagionandolo dall'accusa di aver trafficato in droga?,.. Roba dell'altro inondo». DROGA. «C'è un'infamia che non ho mai sopportalo: essere stato definito dai giornali, per alcuni decenni, il "re dell'eroina", il "trafficante dei due mondi" Io non ho mai trafficato in droga. L'unica volta che feci quella mediazione fra Salomone e Inzerillo, per quei sessantotto chili, non ci guadagnai una lira. Mi limitai a essere il garante di un passaggio di denaro. Se avessi voluto, avrei potuto fare il trafficante come tutti gli altri della mia generazione». IO E CONTORNO. «Gli dissi più o mono così: "Totuccio, ritengo che hai molti anni di carcere da fare. Bisogna dare finalmente una risposta a questi giudici. La mafia non esiste più. Noi non esistiamo più. Siamo ormai delle persone come tutti gli altri. Tieni conto che ti hanno distrutto mezza famiglia Pensare di vendicarli non avrebbi senso. Anche se uccidessi i tuoi nemici, loro comunque non tornerebbero più" E' incredibile,Contorno fece amicizia con una famiglia di cinesi. Si frequentavano, si invitavano a cena. Insomma, con questi cinesi era in intimità. Gli chiesi: "Totuccio, come comunicate?". E lui: "Niente, io parlo siciliano, con le mani". "E loro"? "Niente, loro parlano cinese, con le mani pure loro". Si capivano a gesti». DEL TURCO. «Ho letto che ha dichiarato che i pentiti devono parlare dei rapporti con la politica. Ma quando Salvatori Cancemi ne ha parlato, lui è insorto contro Cancemi gridando allo scandalo». BADALAMENTI ili. «Lui mi rispose che tre cose nella vita erano certe: la morte, le tasse, e che Badalamenti non si sarebbe mai pentito». BIAGL «Quando si concluse felicemente la sua operazione al cuore, a Londra, scrisse sul "Corriere della Sera" i nomi degli amici che gli erano stati più vicini. In quell'elenco incluse anche il mio. E in quell'elenco, fra gli altri, c'era il Papa. Non lo dimenticherò mai». «La mafia futura sarà quella degli eredi. Le persone che non si sono pentite hanno lasciato ai loro figli soldi e principi» ti Se Badalamenti si pentisse potrebbe raccontare i suoi incontri con Andreotti, quando andò nel suo studio per ringraziarlo del suo interessamento per il processo ai Rimi Me lo raccontò lui, io lo dissi ai giudici m j i (k Ritengo che ci siano ancora molti soldi mafiosi sotto terra. E' impossibile che gli uomini dei clan siano riusciti a mettere alla luce del sole tutte le ricchezze costruite con il traffico di droga negli Stati Uniti p j o l ò e a n o n e e , o n r é o rA a, e. n oà: a Riportiamo qua sotto alcuni stralci tratti dal libro-intervista a Tommaso Buscetta di Saverio Lodato, dal titolo «La mafia ha vinto», edito da Mondadori. Il superpentito di Cosa Nostra riflette su «questa lotta alla mafia che sta facendo una fine grama» Sopra il magistrato Giovanni Falcone, ucciso dalla mafia assieme alla moglie e agli uomini della scorta. A destra il boss Badalamenti A sinistra Tommaso Buscetta.Nel libro intervista don Masino racconta gli anni della mafia e lancia un allarme sul futuro