D'Alema: a Cossiga la commissione sul Kgb

D'Alema: a Cossiga la commissione sul Kgb Infuriata la sinistra del partito. Occhetto: per paura si è ceduto al diktat del Picconatore D'Alema: a Cossiga la commissione sul Kgb Di Pietro-, no, faccia il testimone. Veltroni: una figuraccia Maria Teresa Meli ROMA «Che figuraccia che abbiamo fatto. Vi immaginate che cosa accadrà? Il nostro elettorato non ha ancora metabolizzato la caduta del governo Prodi e la nascita di un esecutivo con Cossiga, e ora ecco che potrebbe arrivare la commissione guidata proprio dal Picconatore». Con i fedelissimi Veltroni si lascia finalmente andare, dopo che per due giorni ha letteralmente implorato D'Alema di non concedere al leader dell'Udr la presidenza dell'organismo parlamentare che dovrebbe indagare sul dossier Mitrokhin. Il segretario della Uuercia ò turbato: nel partito e nei gruppi parlamentari sta montando la rivolta contro questa ipotosi e contro l'inquilino di Palazzo Chigi che l'ha sposata, mentre i democratici hanno già annunciato il loro «no». Ma il premier non poteva fare altrimenti, quella che l'ex capo dello Stato gli chiedeva era una resa. E così, con una lettera aperta, il presidente del Consiglio accetta le condizioni poste da Cossiga. Riconosce il progetto politico dell'ex Picconatore (niente Ulivo, bensì alleanza tra sinistra e centro riformatore), ma soprattutto riconosce Gladio, quando scrive che non mette in dubbio «il ruolo» che il leader Udr «ha avuto nella difesa, nel consolidamento e nella crescita della democrazia». Chissà quanto deve essere costato a D'Alema (che con tutto il suo partito chiese l'impeachment dell'allora capo dello Stato) questo passaggio. Già, solo sette anni fa il premier si esprimeva in tutt'altro modo («11 piccone presi denziale - scriveva - vuole distruggere il fondamento democra¬ tico della Repubblica»). E nell'ultima cartella di quella missiva, il presidente del Consiglio dà il suo via libera all'ipotesi che sia Cossiga a guidare la commissione, guadagnandosi il plauso di questi, ma attirandosi le critiche di parte dei suoi alleati e di metà del suo partito. L'ex Picconatore, a questo punto, gongola. Definisce «nobile e rassicurante» la lettera di D'Alema e maliziosamente aggiunge: «Esprime un apprezzamento che si spinge oltre il richiesto e il dovuto». Niente più crisi, allora, perché di ernesto governo, dice l'ex presidente, «io sono il padrino». E per accontentare chi ha tenuto a battesimo l'esecutivo, al Senato, si decide che le proposte di legge sulla commissione (ce ne sono tre, finora, quella Udr, una forzitalista e una dello Sdì) vadano in aula già mercoledì 20, onde finire il tutto la prossima settimana. Nel pomeriggio l'unico motivo d'irritazione di Cossiga riguarda la procura di Palermo, che ha negato di fare indagini sul suo conto. Ce l'ha con i magistrati «ragazzoni», con Scarpinato («rispetto a me è un fesso», dice), spiega di non credere a quella smentita e minaccia di denunciare i pni del capoluogo siciliano. Ma, vicende giudiziarie a parte, l'ex capo dello Stato sa che, nonostante la lettera, la partita con D'Alema non e finita e osserva: «L'ipotesi della mia presidenza non è un problema di fiducia personale, ma politico, che affronteremo in un altro momento». Il leader dell'Udr è ben conscio del fatto che quello è un nodo intricatissimo e sfida il premier a scioglierlo. Impresa ardua. Veltroni, Mussi, Angius e Polena sono contrari ad affidare la guida della commissione all'ex presidente, però è chiaro che i vertici di Botteghe Oscure non possono dire di «no» apertamente. Ma nei ds scoppia la rivolta. La sinistra interna si riunisce e ufficializza la sua ostilità alla presidenza Cossiga. «E' stato superato ogni limite», sbotta Gloria Buffo. I senatori tengono una tormentata assem¬ blea fiume nel corso della quale i contrari si sprecano. Sul banco degli imputati più che Cossiga c'è D'Alema, per come ha gestito la cosa. Claudio Petruccioli arriva addirittura a prefigurare una sua possibile uscita dal partito: «Non posso nascondere - dice - un senso di lontananza dai Ds». Gli interventi si susseguono, concitati e critici, mentre le agenzie di stampa trasmettono una dichiara zione di Occhetto: «Per paura è stato accettato l'ennesimo diktat del Picconatore». Il clima è tale che anche il capogruppo Angius deve ammettere che nella gestione della vicenda c'è stata qualche incertezza di troppo. Nel frattempo i Democratici, con Parisi e Di Pietro, ufficializzano il loro "no", a Cossiga. «Troppo coinvolto, faccia il testimone», è l'obiezione. Anche i verdi la pensano così. E il segretario Sdì Boselli dichiara: dal "dossier Mitrokhin" «emerge che il Pds fu finanziato fino all'87».Ma il PPi e l'Udeur, si affrettano a schierarsi con il premier. Di contro, il Polo chiede di allargare il raggio d'inchiesta della commissione e si sa che Berlusconi non vuole che a guidarla sia l'ex capo dello Stato. La decisione spetterà a Violante e Mancino ( e quest'ultimo - si vocifera al Senato - potrebbe non essere troppo favorevole all'ipotesi Cossiga). Saranno loro a cavare le castagne dal fuoco a D'Alema, assediato da metà dei partner di governo? Non è cosi semplice, perché se i due non nominassero l'ex capo dello Stato, si riaprirebbe il problema dell'Udì-. Gli uomini più vicini a Cossiga, infatti, lanciano già un nuovo ultimatum: «11 premier dimostri di essere tale e si imponga sulla presidenza, altrimenti sarà crisi». Ora spetterà a Violante e Mancino cercare di cavare le castagne dal fuoco a Palazzo Chigi L'Udr minaccia «0 il premier mantiene la parola o sarà crisi» Berlusconi: il governo è già caduto Francesco Cossiga dona al premier una statuetta di zucchero il 27 ottobre '98 In basso a sinistra Silvio Berlusconi

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