Kaurismaki, muto alla meta di Fulvia Caprara

Kaurismaki, muto alla meta Il regista finlandese presenta «Juha» la sua ultima sfida al cinema commerciale: bianco e nero e privo di dialoghi Kaurismaki, muto alla meta «Un film senza sonoro è assurdo, dunque dovevo farlo» Fulvia Caprara ROMA Dopo «Nuvole in viaggio» aveva dichiarato di voler chiudere con il cinema, ma poi è tornato sui suoi passi, ha girato «Juha», melodramma muto in bianco e nero, e adesso annuncia un nuovo film «pieno di colori e di dialoghi a mitraglia». Quarantadue anni, finlandese, approdato alla regia nell'83, dopo aver fatto il postino, il lavapiatti, il critico cinematografico, lo sceneggiatore e l'attore nei film del fratello Mika, Aki Kaurismaki non conosce diplomazie e mezzi termini. Se parla di registi e di pellicole dice quello che pensa, così come quando giudica se stesso: «All'inizio volevo fare lo scrittore. Volevo diventare Dostoevskij e Kafka insieme, poi non ho avuto il tempo di provarci... Penso che ad ogni modo non sarei riuscito a diventare neanche Camus, un altro dei miei scrittori preferiti. Ho effettivamente pensato di abbandonare il cinema, ma c'è della gente che lavora con me da vent'anni. Se smetto di fare film che ne sarà di loro? E' anche la loro vita . Ho capito che non potevo finirla. Sono troppo sentimentale». Ma un film come «Juha» non fa assolutamente pensare a un regista che non ha più niente da dire, anzi: «Ho ricominciato ad amare il cinema vedendo una raccolta di film muti, provando sempre la stessa tristezza. Non sarò mai un cineasta altrettanto grande, ma tenterò ancora, non rinuncerò mai». Vuol dire che Kaurismaki non ama il cinema che si fa oggi? «Se un film è in grado di sopravvivere per più di dieci anni - dice il regista -, allora lo vedo. Ma non ho fiducia nei film che si girano negli ultimi tempi, non ho voglia di vedere il cinema moderno. Ho visto qualcosa di Kiarostami e so che ci sono altri cineasti intelligenti, ma non sono molti». A «Titanic» l'autore di «La fiammiferaia» e «Ho affittato un killer» da' il titolo di peggior film dell'anno anche se non l'ha mai visto; da Stanley Kubrick non copierebbe mai neanche un fotogramma «perché non faccio commedie o film horror», e con il «Dogma» di Lars von Trier e dei suoi seguaci non vuole avere niente a che fare: «E' un business, e poi io con i cattolici ho chiuso, già prima dei diciotto anni». Insomma meglio guardare al passato, agli autori che Kaurismaki preferisce e che riempiono, in forma di citazione, il suo ultimo film: «Durante le riprese parlavo da solo, nessuno capiva veramente quello che andavo dicendo. Mi dicevo: passavo per Godard, per Dovzenko. Sono riuscito a fare l'impossibile, nella scena sulla riva del fiume, riunendo in un'unica sequenza Renoir e Bunuel... Se la gente avrà la pazienza di guardare il film fino in fondo, e non ci conto troppo, ci troverà tanti altri riferimenti. Mi piace rubare da tutti. Comunque invece di raccomandare il mio film, consiglierei di vedere "Giglio infranto" di Griffith e "L'age d'or" di Bunuel-Dalì». La sceneggiatura di «Juha», scritta dal regista in due giorni, ò tratta dal romanzo omonimo di Juhani Alio, lo stesso che ha ispirato il film del '67 di Tapiovara: «Avevo dieci anni quando ho visto quel film - racconta Kaurismaki - e mi ha talmente colpito che, 30 anni dopo, non mi sono ancora ripreso. Dopo aver visto il film, ho letto il libro e mi ha fatto lo stesso effetto. Forse dipende dal fatto che sia il libro che il film sono puro melodramma. E' per questo che nel mio film, ho fatto scrivere, sul cofano della macchina del futuro amante di lei, "Sierck", cioè il vero cognome di Douglas Sirk». «Juha», dice ancora l'autore, «è stato girato con tanto di dialoghi e suoni, ma poi ha subito tante di quelle sottrazioni che mi hanno fatto pensare che il mio prossimo film potrebbe essere addirittura senza immagini». Insomma, per Kaurismaki, il budget, perenne croce della cinematografie in crisi, compresa quella italiana, non è un problema: «I soldi non servono per fare il cinema. Più si ha denaro e più si hanno problemi per trasportare la gente da un set all'altro. Il cinema in fondo si riassume in quello che accade tra un attore e una cinepresa. E tutto quello che succede tra gli altri non ha alcuna importanza. Non amo sperperare soldi, quando ho più denaro di quello che mi serve, lo do ai bambini, non mi viene in mente di sprecarlo per dare una roulotte a tutti quelli che della mia equipe o per pagare gente al servizio di altra gente. Non bisogna dimenticare che il mestiere di un regista è uguale a quello di un artigiano». La fedeltà alle sue idee sul cinema è la condizione base del lavoro di Kaurismaki: «Sono un cineasta che vuole fare onestamente il suo lavoro, e naturalmente tendo verso la perfezione cioè verso l'impossibile. Per vendicarmi della mia imperfezione non posso che fare film in linea con le mie convinzioni. Ho amato rischiare per tutta la mia vita: girare oggi un film muto e in bianco e nero è un progetto assurdo, ma ò tutto quello che potevo ancora fare». «Non ci sono in giro molti autori intelligenti Io? Tendo alla perfezione, amo il rischio» «I soldi fanno male all'arte, più ce ne sono più aumentano problemi e tensioni sul set» Il regista quarantaduenne Aki Kaurismaki: «Ho rubato fotogrammi a molti film, ma non a Kubrick, perché non faccio commedie né horror» Sakarì Kuosmanem e Kati Outinen in una scena di «Juha»

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