PRIGIONIERO FRAGILE

PRIGIONIERO FRAGILE BERLINGUER: EU VERO STRAPPO? PRIGIONIERO FRAGILE Giuliano Ferrara c ARO direttore, Enrico Berlinguer entrò in urto con Armando Cossutta, negli anni Ottanta, come Palmiro Togliatti era entrato in urto con Pietro Secchia negli anni Cinquanta, Per imporsi, Mosca divideva e cosi controllava, condizionava, piegava i partiti comunisti d'Occidente, che in qualche senso le appartenevano, erano parte della stia storia, dipendevano dai suoi forzieri, vivevano la politica e il tempo del Novecento in sostanziale sintonia con il ruolo dell'Unione Sovietica nello scacchiere mondiale diviso dalla cortina di ferro. Togliatti corse perfino rischi fisici, e fu prigioniero orwelliano della efficiente rete sovietica nel Pei e in Italia; la prigionia di Berlinguer, in tempi meno ferrigni, fu più mentale, più personale, più legata ai miti palingenetici della sinistra cristiana di Franco Rollano e al suo sorgivo e chiesastico catto-stalinismo; ma ciascuno in fondo, per lo meno in politica, è prigioniero soltanto di se stesso. Fabrizio Rondolino ha ricostruito con lucidità storica la figura dell'ultimo leader comunista, che una morte improvvisa, in mezzo alle più accese passioni, aveva consegnato nell'84 a una superba ma fragile leggenda di innovatore e di eroe dell'autonomia del comunismo italiano. Detto questo, l'unico vero elemento di interesse politico in tutta questa storia riguarda Massimo D'Alema e il gruppo dirigente post comunista che con lui è andato al governo. Sono tutti nipotini di Togliatti, in senso lato, e figli di Berlinguer in senso stretto. Eppure in capo a un decennio, dopo che il loro partito ha cambiato nome in seguito alla caduta del muro di Berlino, dunque con imperdonabile ritardo storico, il gruppo berlingueriano, i cui esponenti minori civettano con il proprio passato e si definiscono «i ragazzi di Berlinguer», non ha ancora Spiegato, prima di rutto a se stesso, quale sia stata la sua parabola. D'Alema si dovrebbe rendere conto di una cosa semplice semplice: non e credibile quando dice di essere un socialista europeo normale in virtù del'accreditamento che gli conferiscono la sua presenza nell'Internazionale socialista e la sua esperienza di uomo di governo e di partito, confratello di Blair, Schroeder e Jospin. Lo dimostra la vicenda delle carte Mitrokhin, di nessun interesse nei paesi in cui il partito forte della sinistra di governo è un partito socialista i lassici) (come la Francia e la Germania), ma capaci in Italia di ottenere la roboante eco che sappiamo. D'Alema si rabbuia, s'infuria e chiede di essere giudicato per quel che fa come premier, per il suo comportamento di leader negli ultimi anni. E un diritto, 'questo, che si deve ancora conquistare sul ( ampo. li può farlo soltanto facendo i tonti con il passato delle sue illusioni. Berlinguer non è una fonte di legittimazione solida, per chi gli sia stato allievo e ne pretenda l'eredità politila. D'Alema ha offerto una misura interessante delle sue capacità politiche, e ha messo insieme cose buone e grandi errori, intelligenza riconosciuta e intolleranze insopportabili, Per un bil.uu io più duraturo, severo ed equanime, della sua opera pollina, bisogna aspettare il "manifesto» con cui spiegherà, insieme ai suoi compagni, il proprio rapporto con la storia del comunismo italiano e della sua fine. Ritenendo quel che c'è da ritenere, e rinnegando con radicalità quel che c'è da rinnegare, (ili strappi alla Berlinguer, cioè insinceri e condizionati, fragili e prigionieri, non bastane Su l,a Stampa di ieri Fabrizio Rondolino ha scritto una ricostruzione dei rapporti pei-peus durante la segreteria di Enrico Berlinguer concludendo che il segretario del pei non compi davvero mai un vero "Strappo., da Mosca, ma che anzi rimase sostanzialmente '•prigioniero» dei sovietici. Sull'analisi di Rondolino intervengono oggi Giuliano Ferrara, direttore del Foglio, e lo storico Luciano Canfora. Gili F

Luoghi citati: Berlino, Francia, Germania, Italia, Mosca, Unione Sovietica