Quattro condanne per il rogo al «Galeoni»

Quattro condanne per il rogo al «Galeoni» Milano: due anni fa quella fiammata devastante provocata da uno scaldino per le mani portato da una donna Quattro condanne per il rogo al «Galeoni» Nella camera iperbarica morirono dieci pazienti e un infermiere Fabio Potetti MILANO Sono colpevoli perché gli impianti di sicurezza non funzionavano, sono colpevoli per non aver controllato quello scaldino portato da una paziente dentro al cilindro pieno di ossigeno. Sono tutti colpevoli per quegli undici morti, dieci malati e un infermiere, asfissiati e poi bruciati dentro la camera iperbarica dell'ospedale Galeazzi, un gioiello della medicina diventato in meno di due minuti un'ammasso di ferro incandescente e di plastica fusa. Colpevole è Antonino Ligresti, allora presidente dell'ospedale, fratello del costruttore Salvatore, condannato dal tribunale di Milano a tre anni e sei mesi di carcere. E colpevoli sono il primario di ossigenoterapia Giorgio Orfani, cinque anni e sei mesi, l'allora delegato alla sicurezza Silvano Tibiali, quattro anni, e il tecnico Andrea Bini, condannato alla stessa pena per omicidio colposo plurimo, incendio colposo e omissione delle norme sulla sicurezza. Il tribunale ha stabilito anche un risarcimento di sessanta milioni per la Regione Lombardia, quaranta per il ministero della Sanità e cinquanta per il Tribunale del malato. Tutti condannati, ma ancora non basta ai parenti delle vittime. «Mia madre non c'è più, che cosa me ne importa adesso di queste condanne?», dice uno dei parenti in aula. «Non c'è condanna che tenga, la tragedia è stata troppo grande», aggiunge un'altra, che ha perso il marito. «Sono amareggiata, mi aspettavo qualcosa di diverso dagli imputati, sono stati anni penosissimi per me e mia madre», non si dà pace Carla Bocchi, che in quei due minuti del 31 ottobre del '97 ha perso il padre Gino. E' l'unica tra i parenti delle vittime che non ha accettato il risarcimento per uscire dal processo, più o meno un miliardo per ogni vittima. Adesso chiede che i soldi offerti vadano in beneficenza, come ha scritto in una lettera inviata ai vertici del Galeazzi. Anche se non è questa, la cosa più importante per questa donna, che non trattiene le lacri¬ me quando il giudice legge la sentenza. «La cosa che mi ha colpito di più è che non c'è stata alcuna assunzione di responsabilità da parte di chi è stato poi condannato», racconta. «Ho sentito un po' di vuoto, soltanto Ligresti ha cercato di stabilire un rapporto con me. Gli altri non si sono nemmeno degnati di un saluto, di uno sguardo. Per due anni non hanno fatto niente, ai loro occhi siamo rimasti degli sconosciuti», dice d'un fiato, mentre altri parenti si avvicinano al pubblico ministero Francesco Prete e lo ringraziano e lui risponde solo: «Dovere». Ma dai difensori degli imputati arriva un coro di proteste per la sentenza, letta appena dopo due ore di camera di consiglio. «Oggi ò stato condannato un innocente, la sentenza verrà cancellata in appello», ci scommette l'avvocato F'ederico Stella, che assiste Antonino Ligresti, in aula come tutti gli imputati prima della lettura della sentenza, nemmeno una parola, neanche uno sguardo verso il gruppo di familiari. «Non c'è alcun collegamento tra il ruolo del mio assistito e quello che e successo. E' stato un evento imprevedibile», insiste l'avvocato, ancora una volta pronto a contestare tutte le ricostruzioni su quei due minuti con l'ossigeno che fa bruciare tutto. «Gli accertamenti sono stati frettolosi, non sappiamo ancora che cosa sia successo realmente in quella maledetta camera iperbarica», si accoda Massimo Dinoia, difensore del primario di ossigenoterapia Giorgio Oriani, e anche lui è sicuro che in appello la sentenza verrà ribaltata. Di parere opposto sono naturalmente i magistrati. A partire dal pubblico ministero Prete: «La giustizia ha fatto il suo corso in tempi brevi. Non posso dire di aver vinto, perché ci sono quegli undici morti per un fatto avvenuto in un ospedale, dove è lecito pretendere il massimo della sicurezza». Le stesse parole arrivano del procuratore generale BorreUi: «Sarebbe stata giustizia se non ci fossero stati quei morti. Questa sentenza, che non può consolare i familiari, è un monito importante per gli operatori del settore». Anche il ministro della Sanità, Rosi Hindi, dice che «la sentenza non ci ripaga di quei morti, ma da quella tragedia abbiamo imparato una lezione, e prima fra tutte quella di nuove regola in materia di sanità». La porta della camera iperbarica del Galeazzi è ancora chiusa, da allora ci sono i sigilli della magistratura. Forse non sarà mai più riaperta, ma nessuno sa con certezza se una tragedia come quella di due anni fa si possa ripetere, come denuncia Massimo Stroppa, della Cgil: «I termini di sicurezza sono stati modificati, però manca ancora una normativa nazionale». I parenti: «In tutto questo tempo siamo stati sempre ignorati, non si sono presi nessuna responsabilità» La difesa: «L'incendio fu un evento imprevedibile» L'accusa: «Non si può parlare di giustizia ci sono troppi morti» A fianco. primario Giorgio Oriani. A sinistra, la camera iperbarica distrutta dal rogo f

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