Camere, duello alla «Die Hard» tra Violante e Zampini di Filippo Ceccarelli

Camere, duello alla «Die Hard» tra Violante e Zampini BUROCRAZIA E POLITICA MAI COSI' FORTE IL CONFLITTO FRA I VERTICI Camere, duello alla «Die Hard» tra Violante e Zampini Tensione a Montecitorio per il rinvio sul destino del segretario generale il caso Filippo Ceccarelli CONTINUA, con un rinvio ancora gravido di tensioni, la grande guerra divampata a Montecitorio intorno al destino del Segretario Generale Mauro Zampini. Ieri sera, in una riunione! dell'Ufficio di Presidenza durata pochi minuti, presente Zampini, Luciano Violanti! ha confermato la rottura del rapporto di fiducia con il massimo funzionario dell'amministrazione. Neil'«interesse primario» della Camera, «cui tengono in egual misura Presidente e Segretario Generale», Violante ha assicurato che si lavorerà per evitare «soluzioni traumatiche e inedite». E dopo aver chiesto di accogliere senza dibattito la comunicazione, ha ottenuto un aggiornamento alla prossima settimana. Questa soluzione, pur nella sua scarna rapidità, ha tutta l'aria di nascere da qualche mediazione esterna. Né a Palazzo Chigi, né al Quirinale, in effetti, possono gioire della situazione incresciosa creatasi a Montecitorio. Ieri la giornata è stata durissima, per certi versi addirittura campale. Lo scontro ha preso - com'era prevedibile - una piega non solo politica, ma anche stilistica che lo sta trasformando in uno di quei duelli tipo Die hard che in questi tempi un po' dissennati vanno per la maggiore. Por conto del partito «zampiDiano», i leghisti hanno sostenuto che l'offensiva del presidente della Camera, peraltro eletto in Piemonte, dipende dal fatto che il Segretario Generale è del nord (effettivamente è trentino). E per Storace, di An, evidentemente preso dal dossier Mitrokhin, il presidente ha scambiato la Camera con il Kgb, nel senso che «invece di un Segretario Generale vuole una spia». Per Zampini si sono inoltre mobilitati Segni, Pannella e Piscitello dei democratici; Martino, Rebuffa e Calderisi hanno chiesto di essere informati; il verde Boato media incessante¬ mente ; mentre Taradash ha addirittura portato la questione in aula. Violante l'ha fronteggiata con compostezza, ma anche con la determinazione che gli è congeniale. Si capisce benissimo che Zampini non lo vuole più a fianco (anche in assemblea il Segretario siede alla sua sinistra), e che l'unico vero problema è che gli mancano le procedure di revoca. Altrimenti da un pezzo l'avrebbe revocato. Prima che iniziasse la riunione, davanti ai giornalisti fatti cortesemente accomodare a debita distanza dal fatidico ascensore che i due rivali sono costretti ad usare, al primo piano della Curia Innocenziana, è spuntato Zampini. Come al solito duro e leggermente melanconico, ha spiegato che «il danno è ormai irreversibile e va oltre la mia persona». Anche lui non aveva affatto l'aria di uno che sta per dimettersi; e nemmeno quella di chi, prima o poi, vedrete, si dimetterà, pago di un posto al Consiglio di Stato. A un amico che chiedeva conferma di questa impressione ha risposto tranquillo: «E perché dovrei dimettermi? Forse hanno sbagliato persona». Nel frattempo Montecitorio, che pure ne ha viste tante e che dopo la Curia resta la più eccezionale cassa di risonanza romana e nazionale di lievi turpitudini e pesanti pettegolezzi, resta quasi a bocca aperta. A parte le spiegazioni letterarie o caratteriali, davvero non si capisce bene cosa mai abbia determinato questo scontro muscolare e viscerale tra due persone considerate amiche e che avevano anche lavorato bene insieme. Fino a qualche giorno fa Violante e Zampini, cosi simili e cosi diversi, si sono visti e parlati, sia pure tra urla, considerazioni glaciali e perfino reciproci riconoscimenti d'affetto. Mai comunque, da quando nel 1907 venne creata su impulso di Giolitti e di Camillo Montalcini la figura del Segretario Generale, il popolo della Camera aveva vissuto un conflitto cosi poco diplomatizzato tra il vertice della burocrazia, ammantato di sacrale imparzialità, e gli organi politici, nella loro più alta funzione istituzionale e rappresentativa. Non è, insomma, una questioncina di poco conto. E non solo perché Montecitorio è il luogo dove si scrivono le norme, oltre ad essere un'azienda di oltre duemila dipendenti, un bilancio di oltre mille miliardi e una decina di palazzi. Si sta ormai ben al di là della storia ricorrente dei «super-stipendi», della «fiducia personale» e anche dei rapporti politici che, per forza di cose, influiranno nella scelta del successore di Zampini. , Lo scontro odierno, del tutto all'altezza dei personaggi, si configura come un evento più drammatico delle dimissioni di Francesco Cosentino (per l'affaire Lockheed, alla metà degli Anni 70); più esplosivo della intricata e tormentatissima fuoriuscita di Vincenzo Longi (dieci anni orsono, in polemica con l'allora presidente Nilde Jotti); e come un passaggio molto più brutale, nella sua linearità, rispetto alle insidiose dispute bizantine dell'era tardo-consolare di Donato Marra e Silvio Traversa (dal 1989 al 1984). E non è ancora finita, anche se già si potrebbero temere effetti di lungo periodo. Storace al presidente: «Vuoi al suo posto una spia». Si mobilitano Segni, Pannella, Piscitello e Taradash Il presidente della Camera Luciano Violante A destra il segretario generale di Montecitorio Mauro Zampini

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