Ma la «guerra fredda» non finisce mai

Ma la «guerra fredda» non finisce mai I VELENI DEL DOSSIER MITROKHIN F. ! FANTASMI DI UN PASSATO DURO A MORIRE Ma la «guerra fredda» non finisce mai Gli strappi dall'Urss e le troppe occasioni perse del Pei analisi Pierluigi Battista SI lamentano del fantasma che ritorna: però i sopravvissuti avrebbero potuto almeno allestire un degno funerale. Lo spettro della guerra fredda si aggira in Italia e si materializza in un dossier velenoso. Ma quante occasioni perse in oltre quarant'anni per dare adeguata sepoltura alla guerra fredda italiana. Quanti giochi nascosti. Quanti sforzi sprecati e boicottaggi incrociati. Sono passati esattamente dieci anni dal crollo del muro di Berlino, dall'evento-simbolo che avrebbe dovuto chiudere solennemente la guerra fredda, bua aiini dopo l'Unione Sovietica cesserà persino di esistere. Ma in Italia sembra che nel profondo non si sia chiuso nulla, che il passato non voglia passare, che la memoria collettiva sia paralizzata nella ruminazione attorno a un capitolo della storia che non riesce a terminare. Altrove le cose non sono andate così. Ma nell'Italia terra di frontiera tra i due blocchi e del più grande partito comunista d'Occidente, ogni lista segreta del Kgb fa sobbalzare, si carica di aspettative politicamente esplosive. E se si sa bene quando la guerra fredda italiana ha inizio, con la rottura dell'unità delle forze che avevano fatto la Resistenza, non è ancora possibile fissare in una data sicura il compimento di un intero ciclo storico. Di questi tempi va di moda la «storia virtuale» e si moltiplicano i libri che si interrogano su che cosa sarebbe accaduto «se la storia fosse andata diversamente» e se nel bivio decisivo si fosse imboccato l'altro sentiero, anziché quello che poi si è effettivamente imboccato. E chissà cosa sarebbe accaduto se nell'indimenticabile 1956 Palmiro Togliatti avesse seguito Antonio Giolitti invece di incitare il Pei a scagliare l'anatema contro i militanti sconvolti per l'invasione sovietica dell'Ungheria e a scomunicare gli intellettuali, Italo Calvino in testa, che si chiedevano se l'essenza del socialismo fosse nei carri armati spediti da Mosca per annientare gli insorti di Budapest. In quell occasione Pietro Nenni ruppe con la sudditanza filo-sovietica e pochi anni dopo entrerà nella «stanza dei bottoni» con la formazione del centro-sinistra. Se il Pei ne avesse appro- fittato per spezzare il «legame di ferro» con l'Urss, forse la sinistra italiana avrebbe vissuto in anticipo la sua Bad Godesberg, il sistema politico italiano avrebbe potuto conoscere l'alternanza dei governi, l'Italia sarebbe diventato un «Paese normale» già nell'epoca in cui chi oggi da Palazzo Chigi auspica la «normalità» frequentava con entusiasmo i raduni dei «pionieri». Storia meramente «virtuale». Come quella che con ogni probabilità avrebbe potuto snodarsi dodici anni dopo se il Pei avesse deciso di anticipare lo «strappo» con l'Urss quando il Patto di Varsavia portò il suo «fraterno» aiuto in Cecoslovacchia, soffocando con i soliti carri armati il fervore dubcekiano della «primavera di Praga». Ma il Pei tentennò, esitò, arretrò. Non diede retta agli eretici del «Manifesto» che dichiaravano che «Praga è sola». Non dichiarò «esaurita la spinta propulsiva» della Rivoluzione d'Ottobre ma prese a baloccarsi con la formula gesuitica dell'Urss come sistema socialista «con tratti illiberali». La guerra frédda italiana non finì-nemmeno allora, mentre in Italia esplodevano le bombe nelle banche e treni saltavano senza che venisse dato un nome agli stragisti impuniti. Invece no. 11 Pei riluttava, non manifestando peraltro soverchio entusiasmo se Berlinguer, in una celeberrima intervista a Giampaolo Pansa, si diceva più sicuro sotto l'ombrello protettivo della Nato. Le Feste dell'Unità esibiva¬ no il grigiore degli stand est-europei e cubani. La cultura comunista era latitante. Insolentiva Giorgio Bocca che aveva scritto una biografia non agiografica di Togliatti. Al convegno sul dissenso nell'Est, organizzato dalla Biennale di Venezia sK presentò «un- solo intellettuale di area Pei: Giù-1 seppe Boffa. Un solo intellettuale di area.Pei, Rosario Villari, anche nel convegno del «Manifesto» dello stesso anno sulle società «post-rivoluzionarie». Quando poi ci sarà l'invasione dell'Afghanistan, nel 1980, la «destra» migliorista di Giorgio Amendola, così innovativa nella linea politica del Pei, si schierò a favore dell'intervento di Mosca. La guerra fredda italiana non voleva davvero finire. Poi, con la repressione di Solidarnosc, arriva finalmente 10 «strappo» di Enrico Berlinguer. Ma quale estenuante tira e molla negli anni successivi. Ogni passettino in avanti sembrava una rivoluzione. Alessandro Natta galvanizzava la base fideistica dichiarando cito non c'era stato alcuno «strappo» con l'Urss. Con grande fatica Piero Fassino aveva convinto 11 suo partito a celebrale solennemente i funerali di Nagy, il martire ungherese del '56. Manca poco, pochissimo al muro di Berlino ma sembra che nessuno voglia chiuderla davvero con la guerra fredda. Pochi anni prima, sulle infiltrazioni piduiste nei gangli dello Stato democratico, aveva prevalso nello schieramento anticomunista il partito della «mi¬ nimizzazione» lasciando solo il povero Spadolini nell'opera di bonifica. E Bettino Craxi, all'apice del suo successo politico, non aveva cessato di ammiccare a Cossutta in funzione anti-Berlinguer, esattamente come qualche anno prima aveva fatto con . alcuni: frange della sinistra extra-parlamentare. Come se la guerra fredda non la volesse chiudere davvero nessuno. Anche se la grande Occasione Sprecata si manifesterà con la caduta del muro di Berlino. Il Pei cambia con coraggio nome e insegne, apre una nuova stagione politica che peraltro culmina con meritato successo nel 1998 con l'ingresso di un post-comunista a Palazzo Chigi. La bizzarria della storia vuole però che la fine ufficiale della guerra fredda normale coincida nel nostro Paese con un ritorno di fiamma della guerra fredda interna. Scoppia con fragore il caso «Gladio», dicono i maligni diabolicamente innescato da Andreotti per scaricare la patata bollente sul presidente della Repubblica. Francesco Cossiga e per tirare' la volata per una candidatura andreottiana al Quirinale con l'appoggio dei posi-culminisiiJ appena usciti dal lavacro della Bolognina. Fondata o no la malignità, in Italia succede qualcosa che non accade in nessuno dei Paesi in cui viene resa pubblica l'esistenza di «Stay Behind». In Italia scoppia il finimondo, i post-comunisti chiedono con il clamore della piazza addirittura l'impeachment di Cossiga. Lti slesso Capo dello Stato viene addirittura accusato di voler coprire innominabili nefandezze stragiste solo per aver dichiarato che un periodo storico si era concluso e che occorreva liberarsi dalla prigionia di un passato di guerra civile latente. In fondo Cossiga proprio questo reclamava: la dichiarazione congiunta che la guerra fredda era finita anche in Italia. Tuttavia l'ex Pei non solo rifiutò l'offerta ma trasse dagli avvenimenti la lezione oppti sta: che cioè occorressi! riscrivere la «vera storia d'Italia» e mandare sotto processo (non solo metaforicamente, come è risultato evidente) il sistema incardinato sui partiti che si erano opposti alla politica co munista in Italia. Sembrava che dovesse chiù dersi una volta per tutte e invece il capitolo della guerra fredda italiana, inaspettatamente, si riapri. Ciò che spiega come mai l'«archivio Mitrokhin» ha suscitato in Italia un'emozione politica altrove sconosciuta. Che spiega come mai nel 1994 Silvio Berlusconi abbia vinto la campagna elettorale sul richiamo anticomunista e come mai nel 1996 la sinistra, per vincere, ha dovuto affidarsi all'immagine rassicurante di un non-comunista come Romano Prodi. L'Italia, decisamente, non è ancora un Paese normale. I carri armati a Budapest, la scomunica di Italo Calvino e i tentennamenti sull'invasione di Praga Il caso «Gladio» il ruolo di Cossiga e gli errori dei post-comunisti appena usciti dalla svolta della Bolognina Sotto: una immagine del «muro di Berlino», il simbolo dei simboli della «guerra fredda». Nel '61 l'ex capitale del Terzo Reich viene divisa fisicamente da un muro, che assume il ruolo simbolico della decadenza del Vecchio Continente e della divisione ideologica del mondo in due parti. Verrà abbattuto nel 1989. Sopra: corteo in piazza di Spagna contro Cossiga. La fine ufficiale della -guerra fredda» tra i due blocchi coincide nel nostro Paese con un ritorno di fiamma dello scontro interno. Scoppia il caso «Gladio» e i post-comunisti chiedono con il clamore della piazza addirittura l'impeachment del Capo dello Stato. Sopra: Achille Occhetto a Rimini, durante lo storico congresso del partito comunista italiano che sancisce la fine del Pei e la nascita del partito della Quercia. Ma, nei comportamenti concreti, la nuova stagione fatica a affermarsi. A sinistra: Enrico Berlinguer, segretario generale del Pei, parla a Mosca al congresso del Pcus, dopo gli «strappi» con l'ex «partito fratello» A destra: a Budapest, i solenni funerali di Nagy, il martire ungherese del '56. Piero Fassino, responsabile Esteri del Pei, convince il segretario Natta a partecipare A sinistra: Licio Gelli, gi.iGran Maestro della Loggia P2. Sulle infiltrazioni piduiste nei gangli dello Stato, prevalse il ■•partito della minimizzazione» lasciando solo Spadolini nella «bonifica»