Benigni e la sua favola cauta di Lietta Tornabuoni

Benigni e la sua favola cauta VIDEOCLUB Lietta Tornabuoni Benigni e la sua favola cauta LA vita è bella» di Roberto Benigni non è soltanto il vincitore di tre Oscar, del Gran Premio della Giuria al festival di Cannes, d'infiniti altri premi nazionali e internazionali: è pure uno dei film che è stato più amato dagli spettatori italiani. Lo confermano le cifre degli incassi: quasi cinquanta miliardi nella stagione 1997-'98, oltre quattordici miliardi e mezzo nei tre mesi del rilancio post Oscar 1999. Vedere o rivedere il film in cassetta può essere una conferma, una smentita, una forma di controllo certo molto interessante. A quarantacinque anni, con «La vita è bella» Roberto Benigni, regista e protagonista, soggettista e sceneggiatore insieme con Vincenzo Cerami, ha fatto due passi, oppure mezzo passo: il film è due film di un'ora circa ciascuno, il primo da ridere e il secondo da piangere, il primo per raccontare che la vita è bella e il secondo per raccontare che la vita è brutta, il primo esilarante e il secondo toccante. L'idea comune è che le risorse dell'uomo siano infinite, che la fantasia, la volontà, il coraggio, l'intelligenza e il gioco possano aiutare a superare le avversità anche più strazianti. Le due parti stanno insieme senza sfiorarsi e non si può dire che «La vita è bella» sia pienamente riuscito: ma è sinora il film migliore di Benigni regista, assistito da collaboratori eccellenti (Elda Ferri come produttore, Danilo Donati come costumista, scenografo e arredatore, Tonino Delli Colli come direttore della fotografia). Alla fine degli Anni Trenta, due giovanotti arrivano dalla campagna in una bella città, pieni d'allegria, di progetti e di speranza. Bustric vuol essere poeta e intanto lavora come tappezziere. Benigni vuol aprire una libreria e intanto fa il cameriere al Grand Hotel protetto dal maitre Giustino Durano che è suo zio; s'innamora della maestra Nicoletta Braschi, la fa innamorare, forma con lei e con il loro figlio bambino una piccola bella famiglia, realizza il sogno della libreria. Improvvisamente e insensatamente, la felicità viene spezzata: Benigni e i suoi, ebrei, vengono deportati in un lager nazista, separati. Il bambino resta con il padre che, deciso a preservarlo dall'orrore, inventa per lui storie fantasiose, gli dà a intendere che tutto sia un gioco, una gara magari faticosa e dolorosa ma durante la quale si guadagnano punti e al termine della quale si vince un primo premio meraviglioso. Benigni non vince, muore. Ma il bambino è salvo non soltanto fisicamente, ritrova la madre, ha vinto. La favola buona e cauta, ricca di gag divertenti, è percorsa da un tocco surreale, da uno scarto d'immaginazione che la sottrae al realismo e insieme ne approfondisce la realtà. «La vita è bella», vincitore di tre Oscar, è anche uno dei film più amati dagli italiani Una pellicola divisa in due con un tocco surreale Roberto Benigni LA VITA E' BELLA Italia, 1997. Cecchi Gori Home Video. In vendita TRAGICOMMEDIA Un momento di «La vita è bella», il miglior film di Benigni regista: l'idea fondamentale è che le risorse dell'uomo siano infinite

Luoghi citati: Cannes, Italia