Espressionisti
Espressionisti Espressionisti i ragazzi del Ponte FORSE nacque per esasperazione, per contagio il movimento della Briicke, così importante per la nasc i ta dell'arte moderna, con quell'allusione etimologica a un «ponte», traghetto da una sponda all'altra. Franz Bleyl e Ernst Ludwig Kirchner erano due ribelli studenti di architettura, esasperati dai rigidi disegni di arida geometria descrittiva. A salvare Bleyl giunge nel 1901 un compagno cu scuola (lo mitizza lui stesso net suoi ricordi) che lo scosse «dai miei compiti infantili e mi invitò nel suo banco dove uno studiker, palesemente un artista, aveva tracciato ogni sorta di-disegni sul margine di un foglio, schizzati durante l'inerte attesa di un insegnante». Erano opera di Kirchner, appunto: «che immediatamente cercai di conoscere». Diventano inseparabili, abbandonano insieme l'architet- LA MODSETTMarco tura, fanno grandi passeggiate pittoriche nella natura, il taccuino a portata di mano: si esaltano a parlare di nuova vita dell'arte. Ed inventano, in fondo, quello che si coagulerà come espressionismo. Qualcosa che nasce (e (mesto è davvero significativo) che scaturisce in fondo da un margine di foglio scolastico, dalla ribellione istintiva alle leggi della tecnica positivista, da uno scarto della nonna. «Intendiamo conquistare la libertà di vivere e di operare opponendoci ai poteri costituiti», conclama il gruppo della Briicke. Poi le cose proseguono secondo una gemmazione, quasi vegetale: arrivano nuovi adepti, si stampano proclami e manifesti, da Dresda ci si trasferisce a Berlino, ad assaporare i veleni fascinosi della metropoli peccaminosa. E i ricordi son tutti STRA LLA MANA allora pieni di formule agggregative: «un giorno capitò questo)«un altro si aggiunse...». Anche Erich Heckel e Karl Schmidt (che si sarebbe aggiunto un secondo cognome dal luogo di provenienza, Rottluff, per non dimenticare la sua terra) venivano dall'architettura. Si conobbero, guarda caso, in un cenacolo letterario: la loro cultura pittorica era assolutamente casuale, velleitaria, da autodidatti, sfogliando riviste alla moda, per lo più impregnate di gusto Jugendstil oppure scoprendo la Filogenesi dell'Arte Moderna di MeierGraofe, una Bibbia. Heckel aveva modi bohème, un cappello nero a larga tesa, uno strano completo grigio in disuso, ocelli lampeggianti e «la natura di artista in erba». Salendo le scale della mansarda di Kirchner declamava febbricitante i versi di Zarathustra. I giochi erano fatti. L'articolata mostra alla Fondazione Mazzotta, che ha rubato al Museo della Brucke di Berlino una considerevole fetta di un archivio ricchissimo, circa 150 opere tra disegni, acquerelli, olii e xilografie, funziona proprio perchè ti offre in parte l'impressione di entrare dentro quel crogiuolo fervente di iniziative, di scambi, di annessioni fugaci (presto si aggiungeranno anche Mundi e Pecnstein, poi il più arcadico Mueller), di scoperte e rifiuti, di gemellaggi e proteste. E' divertente del resto vedere, come sempre lavorando di ricordi, sia il loro docente alla Technische Hochschule, a verificare, storicamente, il sorgere di quella loro bruciante passione, che si farà coalizione e poi movimento. Quella loro indomabile «inquietudine, quella amarezza piuttosto chiusa», che rischiava di volgersi in un' «incapacità di configurare». Sono a-accademici prima che anti-accademici: non hanno gli occhi preparati dalla scuola. Vedono, sentono, trasmettono sulla tela quelle loro vibrazioni esasperale e irrigimentabili, medianiche quasi, apparentemente sgrammaticate. Eppure anche in quei nudi acerbi e spigolosi, sbozzati «in un quarto d'ora», rimane memoria della loro origine architettonica: quasi dovessero occupare col loro gigantismo monumentale, prendere le misure del foglio da usurpare. La prima volta che Heckel, racconta il suo professore, vuole rappresentare un albero, non si perde a trascrivere le intersezioni e i movimenti delle foglie, semplifica, astrae, mastica i dettagli, tentando di materializzare semmai la sua immediata reazione emotiva. Non si può nemmeno dire, come faranno poi i surrealisti, che gli adepti della Briicke lavorino di automatismo, estraendo i succhi notturni del loro inconscio. Per loro, in fondo, l'inconscio nemmeno esiste, non langue nei penetrali umidi del profondo: ma sta già li, schiaffato sulla tela, urlante di colori primari, impastato con le luci del diurno (anche nel senso di gabinetto espressionista, se vogliano) quasi si trattasse di una goffa, golosa dichiarazione d'amore al mondo, revulsivo e rutilante. Certo assorbono i succhi d'avanguardia, si esaltano alle spatolate di Van Gogh, rubano l'effetto-pioggia dai pointillistes belghi, annusano l'aria fauves e le eleganze di Matisse, ma rimangono legati al loro prestile istintivo e vitalista. Ed è indubbio che i loro risultati più veri si concentrano nelle xilografie, dove il segno forte, animale che penetra il legno come l'arma di un delitto passionale, riverbera ancora gli echi del goticismo di Cranach e Gruenewald: terra sangue e dolore. LA MOSTRA DELLA SETTIMANA Marco Vallora NELLA GERMANIA DI INIZIO SECOLO SI RIBELLARONO CON LA FORZA DEL COLORE ALLE CONVENZIONI ACCADEMICHE UNA RASSEGNA A MILANO NE RIPERCORRE L'AVVENTURA Brucke. Nascita dell'Espressionismo. Milano Fondazione Mazzotta. Orario 10-19,30. Mar gio 10- 22,30 Chiuso lunedì. Fino al 23 gennaio «Ragazza alla toilette», olio su tela di Karl Smidt-Rottluf f, del 1912
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