«Non potevo assoldare i comunisti»

«Non potevo assoldare i comunisti» IN ESCLUSIVA Ali A «STAMPA»: COSI' RECLUTAVO LE SPIE IN ITALIA J l L «Non potevo assoldare i comunisti» L'ex capo degli 007 russi: quasi tutti erano parlamentari intervista Giuliette Chiesa inviato a MOSCA U! fficialmente era corrispondente dellTzvestija da Roma. Ottimo italiano, anche adesso. Passato prossimo di allora: rappresentanza commerciale a Roma. Il posto di «residente», cioè di numero uno del Kgb in Italia, se l'era guadagnato prima di passare al giornalismo, alla fine degli Anni 50, primi Anni 60. Nel suo curriculum professionale (di agente segreto) tante storie da riempire diversi libri. Due li ha scritti e pubblicati, in russo. Ma rigorosamente vagando nell'aneddotica, anche molto piccante. Da vecchio «ghebista» qual è sempre rimasto, non ha tradito invece nessuna delle regole cospirative. Mai un nome, mai una distrazione. E neanche in questa conversazione telefonica contravverrà alla regola, sebbene lui sia in pensione da parecchi anni e la nostra conoscenza dati da almeno un decennio. «Fino a che non ci diranno che possiamo parlare, nessuno di noi lo farà». Noi chi? «Ma si intende' Noi della vecchia guardia». Sono rimasti tutti in contatto tra loro, quelli ancora vivi, e seguono un codice di comportamento che è perfino più rigido di quello appreso nel Kgb. Mai tradire la fiducia di coloro con cui stabilirono patti, a volte terribili. Neanche se, nel frattempo, sono morti. Per quanto concerne lui, Leonid Sergheevic Kolosov, è più vivo che mai. Di Mitroknin, ovviamente, non ha neanche sentito parlare: «Troppo al di sotto di dove mi trovavo io, sempre che sia esistito». Ridacchia al telefono. Lui dava del tu a Enrico Mattei, conobbe Valletta. Frequentò la Roma bene di quegli anni. Fu Kolosov ad accompagnare il genero di Krusciov, Adzhubej, nella prima visita in Vaticano, quella in cui - dice - «ci mancò un pelo» all'accordo tra Papa Giovanni XXDT e Nikita Krusciov per il riconoscimento diplomatico reciproco tra Stati sovrani: quello che aveva più divisioni di tutti e quello che non ne aveva neanche una. D'accordo, niente nomi. Ma al¬ meno mi racconti dove reclutava e come. «Beh, il come era una faccenda di stile. Ciascuno ha il suo. Io avevo grandi doti di comunicazione. Come giornalista tutti i contatti erano buoni, maschili e femminili, qualcuno fruttava. Le dirò che la prima cerchia di informatori era quella degli uomini d'affari. Chi voleva far soldi con l'Urss era esposto a debolezze. Il secondo cerchio era quello dei politici. Vuole sapere quale era il gruppo più numeroso? Parlamentari». Va bene, possiamo specificare qualcosa? Quali partiti? «Parecchi democristiani, diversi socialisti di Nonni, diversi socialdemocratici di Saragat, uno o due repubblicani... Qualcuno, all'epoca, perfino abbastanza illustre. Io comunque ero anche specificamente incaricato di tenere contatti con l'estrema destra, con gli ambienti mafiosi, con la massoneria. Da qui ricavammo in- formazioni decisive - nel caso specifico gratis - che ci consentirono di sapere in anticipo dei piani per assassinare Mattei». Questa storia Leonid Kolosov l'ha già raccontata in un libro, che i magistrati italiani che hanno riaperto 3 caso dell'assassinio di Mattei hanno certamente letto. Ma nell'elenco dei partiti che è stato fatto, gli faccio rilevare, ne manca uno. «Esatto, il partito comunista. Il fatto è, però, che noi avevamo un divieto rigoroso. Reclutare agenti segreti tra i dirigenti comunisti era considerato un grave errore, per il quale si poteva perdere il posto». Dunque lei non frequentava i comunisti? «Al contrario! Sia come giornalista che come residente li frequentavo moltissimo. Ma non potevo spingermi fino al punto di reclutarli. Ci servivano essenzialmente per avere un quadro sempre aggiornato del dibattito interno al Pei. E per poter prevedere le posizioni che avrebbero preso nel movimento comunista internazionale. Il resto lo leggevamo sui giornali, come tutti. Ma da loro non cercavamo informazioni riservate di tipo esterno. Si poteva fallire un contatto con un politico di altri partiti, ma fallirlo con un dirigente comunista sarebbe stato un disastro per il Pcus. Per esempio io credo di essere stato l'ultimo giornalista straniero ad intervistare Togliatti prima che partisse per Yalta, dove morì. Avevo ricevuto l'incarico di sondare le sue opinioni sul dibattito in corso con i cinesi, e nei confronti della leadership di Krusciov. L'intervista serviva non solo e non tanto per scrivere sullTzvestija, quanto per raccoglie¬ re umori, parole che potevano sfuggire, messaggi che potevano essere inviati solo privatamente e indirettamente. Poi io scrivevo rapporti molto dettagliati, che non avevano nulla a che vedere con le mie corrispondenze, e che andavano ad altri indirizzi. Per esempio di quel colloquio mi ricordo che Togliatti era di cattivo umore e, ad un certo momento, si lasciò sfuggire un giudizio sul comunismo sovietico che certo non espresse mai in pubblico. Mi disse: caro Leonida - così mi chiamava, confidenzialmente - quello che voi costruite in Urss è molto lontano dal socialismo. Ovviamente una frase del genere venne riferita a chi di dovere, anche perché tutti sapevano che Togliatti non si lasciava mai sfuggire niente». E quanto pagava? «A libro paga ne avevo pochissimi. 11 numero non lo posso dire. Posso dire invece che c'erano parecchi nostri informatori che lo facevano gratis. Per esempio quelli che venivano dalla guerra partigiana. Loro agivano per convinzione: aiutare l'Urss era un dovere. Quelli della generazione successiva invece, accettavano i soldi e ben volentieri». Quale era il cachet per una buona informazione? «Questo posso dirlo. Molto raramente superai i mille dollari». Contanti? Dall'altro capo del filo una grande risata: «Ma certo! Cosa pensa, che facessimo trasferimenti bancari? In primo luogo allora non si usava. In secondo luogo era pericoloso perché lasciava tracce». Allora mi tolga una curiosità addizionale, Leonid Sergheevic. Glielo chiedo perché penso che Mitrokhin, sempre che sia esistito, avrebbe potuto vedere qualcuno dei suoi rapporti, magari copiarlo. E lei si troverebbe ora nel documento che è finito in mano ai magistrati it al inni ■ come autore del rapporto, o come colui che ha consegnato alla casa madre del Kgb le ricevute dei pagamenti. Kolosov ridacchia di nuovo: «Ricevute non ne chiedevo quasi mai. E nei rapporti il nome vero non c'era proprio mai. Si faceva tutto su basi, per così dire, confidenziali laltra risata dall'altro capo del filo, ndr). Pensi che una volta mi affidarono il compito di consegnare 500 mila dollari al corriere di un partito comunista latino-americano. La somma era cospicua. L'incontro avvenne alla periferia di Roma, se non ricordo male dalle parti della via Cassia Antica. Arrivai con la mia valigetta e lui diede un'occhiata veloce al contenuto. Richiuse e salutò in fretta. Io non avevo avuto istruzioni di prendere ricevuta e non osai chiedergliela. Al ritomo il mio collega più stretto, mentre pren devamo un caffé, mi disse - ma sono sicuro che scherzava - potevi dargliene la metà e non se ne sarebbe accorto nessuno». «Ho messo a libro paga molti de, socialisti e socialdemocratici» «Il cachet raramente poteva superare i mille dollari» Leonid Sergheevic Kolosov, ex numero uno del Kgb in Italia