Scandalo per scandalo non è arte
Scandalo per scandalo non è arte La censura «sbagliata» del sindaco Giuliani alla mostra Sensation Scandalo per scandalo non è arte Philippe de Montebello SULLA mostra «Sensation» al Brookyn Museum of Arts, per ragioni fin troppo note, sono stati scritti fiumi di articoli forse ben più di quanti la mostra non ne meriti. Ritengo però che troppi abbiano omesso quello che a me pare un punto fondamentale, e che non posso più tacere. Gran parte della controversia è ruotata intorno alla politica, al finanziamento pubblico e alla Costituzione. Ma che dire dell'arte e dei suoi meriti? È questo il punto cruciale, eppure sembra che sia stato quasi scacciato dalla fanfara dell'arte d'avanguardia, che chiede a gran voce di essere vista comunque (traduzione: senza esami) ed essere considerata (di nuovo: senza esami) una sfida significativa alla turpitudine della vita quotidiana. Si suppone che noi, in questa mostra, vediamo l'arte, o gran parte di essa, come una solenne dichiarazione visiva, addirittura come affermazione di un ordine superiore, che ha lo scopo di farci fermare, pensare e riconsiderare il nostro ambiente e le nostre convinzioni. Filistei, in guardia! Bene, a questo punto non sono più d'accordo con colleghi e critici, anche se so di rischiare l'apostasia. Ho visto la mostra e penso che il re è nudo. Quanti si sono preoccupati di chiedere? Il sindaco Rudolph Giuliani, tanto per dirne uno, ha mostrato astuto acume critico - così come il portavoce del City Council, Peter Vallone, sebbene lui abbia preso una posizione diversa sulla controversia del finanziamento. Non ho nulla da ridire sulla sensibilità estetica del sindaco, ma sul suo tentativo di censura, sì. Mi dispiace che il sindaco abbia dato un'indebita notorietà ad artisti che meritano di restare oscuri o venir dimenticati. Il suffragio dell'opinione pubblica avrà l'ultima parola, ma non prima che troppi visita- tori sprovveduti vengano a rendere omaggio a un'arte che pensano di dover capire e, il cielo non voglia, anche apprezzare. Il punto è che la buona arte non va giudicata nell'arena della politica o della Costituzione. La buona o la cattiva arte riguarda i valori, la loro pertinenza o la loro mancanza. La buona arte eleva quello che Sartre chiamava «il monotono disordine della vita quotidiana» e può sollevare, come spesso fa, questioni più profonde e più tempestive. Grazie alla buona arte, una sensibilità più alta della nostra può dipingere una mela che sia quella particolare mela ma anche tutte le mele (Cézanne). Può rendere intensa una questione morale («La libertà che guida il popolo» di Delacroix o «Guernica» di Picasso). O può scandalizzare un pubblico compiaciuto, ampliando l'orizzonte delle convenzioni accettate («Olympia» di Manet). Succede però soltanto nell'ambito della buona arte - se il suo livello formale ed estetico è alto. È questo che le assicura quell'attrattiva universale che trascende lo spazio e il tempo, cosa che nemmeno le più intelligenti vignette politiche riescono a fare. Le caricature di Daumier, ad esempio, ci parlano eloquen¬ temente ancora oggi, sebbene il lampo della loro ragion d'essere sia passato da tempo, perché sono buona arte; mentre parlano assai meno quelle del contemporaneo Gavarni, perché in confronto a Daumier lui era solo un artista mediocre. Scandalizzare per scandalizzare non fa buona arte - «Tale» di Kiki Smith, una scultura che mostra una figura accovacciata che defeca, esibita nella mostra «The American Century, Part II», ora al Whitney Museum, non avrà mai un posto nel pantheon della grande arte accanto alla «Allegoria del matrimonio» di Lorenzo Lotto, ora nella collezione del Met, che raffigura un putto nudo che orina su una Venere nuda. L'una è semplicemente disgustosa e priva di qualsiasi arte o valore estetico; l'altro è di qualità estetica superiore. A mio parere il sindaco ha tutti i diritti di deprecare gran parte dell'arte in «Sensation». Effettivamente non posso dissentire da lui in quel giudizio, anche se il Metropolitan, insieme a una trentina di istituzioni culturali della città, grandi e piccole, ha chiesto pubblicamente al sindaco di riconsiderare la sua decisione di tagliare il finanziamento pubblico al Brooklyn Museum e di ritirarsi dal suo comitato direttivo. Alla fine, quello che mi urta di più è il fatto che così tante persone, serie e sensibili, siano così intimorite dall'establishment artistico o così spaventate all'idea di un'etichetta di filistei che non osano parlare né esprimere la loro ripugnanza verso opere che trovano repellenti o inestetiche. Detto ciò, vorrei chiudere parafrasando Voltaire: credo fermamente nel ruolo indipendente dei musei e per quanto possa dissentire con qualcuna delle mostro che allestiscono, difenderò fino alla morte il loro diritto di farlo. Direttore del Metropolitan Museum of Art di New York Copyright The New York Times Rudolph Giuliani, sindaco di N. York
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