YALTA la spartizione delle pulci di Paolo Mieli

YALTA la spartizione delle pulci Febbraio 1945: i grandi si dividono il mondo e scatenano la guerra fredda? La nuova storiografìa non la pensa così YALTA la spartizione delle pulci Paolo Mieli A riabilitazione di Yalta, cioè di quel vertice che si tenne in Crimea nel febbraio del 1945 per consentire al presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt, al primo ministro inglese Winston Churchill e al dittatore sovietico Josif Visarionovic Stalin di «spartirsi il mondo» nella prospettiva della imminente vittoria sul nazismo, in realtà è in corso da anni. Anche se più che di una piena riabilitazione si è trattato fin qui di un'elaborazione storiografica tesa soltanto ad attenuare colpe e responsabilità precedentemente attribuite ai tre protagonisti di quel summit. Prima tra tutte quella di aver posto in quell'incontro invernale sul Mar Nero le premesse per la divisione del mondo in due blocchi e per la guerra fredda. Le cause delle tensioni successive al secondo conflitto mondiale sono, secondo questa più recente storiografia, assai più complesse e il vertice di Yalta ne esce sostanzialmente assolto dall'accusa di essere all'origine della parte più cupa di questo dopoguerra. Ma veniamo al vertice. Partendo da alcuni dettagli. Gli aerei di Roosevelt e Churchill giunsero, da Malta, in territorio sovietico a mezzogiorno del 3 febbraio 1945. Ad attenderli trovarono il ministro degli Esteri sovietico Molotov che diede loro il benvenuto ufficiale e li informò che Stalin sarebbe arrivato, in treno, l'indomani. Dopodiché i due statisti occidentali furono trasferiti dall'aeroporto a Yalta con un interminabile viaggio in macchina. A metà strada gli inglesi furono fatti fermare e invitati da Molotov a quello che chi vi partecipò ricorda come un «memorabile lunch» ricco di «leccornie». Roosevelt e gli americani, invece, furono fatti proseguire senza nessuna sosta. In compenso, a Yalta, la delegazione statunitense fu alloggiata nella residenza di Livadija, un palazzo di cinquanta stanze costruito tra il 1910 e il 1911 per lo zar Nicola II. Ma lo spazio era insufficiente per l'intera delegazione. Tant'è che otto ufficiali dello stato maggiore americano dovettero dormire in un'unica stanza. Il palazzo disponeva di pochissimi bagni cosicché, dal momento che abbondavano cimici e pulci, gli ospiti dovettero difendersi facendo largo uso di Ddt. Il cui inconfondibile odore aleggiò per tutta la durata della conferenza. Ora, perduto il ricordo di contrattempi e inconvenienti logistici, la riabilitazione di quel summit è totale. H Mulino si accinge a pubblicare, per la serie «Giorni nel XX secolo», un libro di Jost Duelffer, dal titolo Yalta, 4 febbraio 1945, nel quale lo storico propone alcune acute riflessioni su quella conferenza. Innanzitutto reinquadrandola alla luce di quelli che erano stati fino a quel momento i rapporti del «mondo libero», Gran Bretagna e Stati Uniti, con quello comunista. I tre che in quel febbraio del '45 si trovarono in Crimea come alleati, erano stati nemici o quasi nemici nella lunga fase iniziale del secondo grande conflitto. Tra il settembre del 1939 e il giugno del 1941, nel periodo in cui gli aggressori hitleriani sembravano invincibili e avevano provocato nel mondo una gronde paura, i sovietici erano restati al fianco dei nazisti. Il patto Hitler-Stalin dell'agosto '39 aveva funzionato a dovere: a metà settembre di quell'anno, poco più di due settimane dopo l'ingresso delle croci uncinate in Polonia, anche l'Armata Rossa aveva aggredito quello stesso Paese. Il numero dei soldati polacchi morti per fronteggiare quelle due aggressioni fu pan: tanti ne furono uccisi in battaglia contro i tedeschi, altrettanti contro i russi. E i combattimenti erano ancora in corso quando il ministro degli Esteri nazista von Ribben- trop si recò a Mosca dove firmò un secondo trattato di «amicizia e di delimitazione dei confini» in base al quale Hitler concedeva a Stalin la Lituania in cambio di una porzione di Polonia più ampia di quella concordata. Ai comunisti di tutta Europa Stalin diede l'ordine di non partecipare alla guerra contro l'esercito nazista. E a Brest Litovsk, dove nel 1917 era stato firmato il trattato di pace tra Russia e Germania, le truppe con la svastica sfilarono addirittura a fianco di quelle con la bandiera rossa. Dopodiché, mentre gli uomini di Hitler volgevano le loro attenzioni a Occidente quelli di Stalin furono liberi di aggredire le repubbliche baltiche, la Bessarabia rumena, la Bucovina settentrionale, la Finlandia. Di questo passo, osserva l'autore del libro, a partire dall'estate del 1940 la guerra aveva assunto sempre più i caratteri di uno scontro radicale tra il sistema democratico anglo-americano e i sistemi dittatoriali. In un discorso del 29 ottobre 1940, Roosevelt, riprendendo uno slogan di Jean Monnet parlò degli Stati Uniti come «arsenale delle democrazie». Il sottinteso era che il conflitto andava visto come una grande generosa missione per liberare il mondo dalle aggressive dittature «sorelle»; quella nazista e quella comunista. In dicembre il settimanale Time scelse Stalin da mettere in copertina come «uomo dell'anno». Beninteso in un'accezione del tutto negativa. Il 27 settembre del 1940 l'Italia, che nel frattempo era entrata in guerra, la Germania e il Giappone firmarono il cosiddetto «patto tripartito». Patto a cui fu sul punto di aderire lo stesso Stalin che nel novembre di quello stesso anno inviò Molotov a Berlino perché sondasse il terreno proprio a questo riguardo. Hitler che già aveva in mente di attaccare l'Urss prese tempo e cercò di convincere i russi a guardare verso l'Oceano Indiano, in direzione della stessa India. Ma Stalin continuò ugualmente a credere nell'alleanza con la Germania hitleriana tant'è che continuò a inviare agli alleati tedeschi tutto ciò per cui si era impegnato con gli accordi del '39 e in più semi oleosi, granaglie e anche rare materie prime - manganese, rame e nichel di vitale importanza per il settore degli armamenti. Il dittatore sovietico fu convinto fino all'ultimo che la sua intesa con i nazisti avrebbe resistito. Non voleva credere in nessun modo a chi mirava a preavvertirlo che le truppe hitleriane avrebbero attaccato l'Urss. E invece nel giugno del 1941 i tedeschi scatenarono contro l'Urss un'offensiva violentissima che aveva l'evidente scopo di annientare il Paese di Stalin uccidendo il più alto numero di persone possibile (compito al quale si applicarono con zelo speciali unità, Einsatzgruppen, incaricate di sterminare i «nemici ideologici e di razza»). A quel punto l'Urss si trovò, senza averlo deciso, a cambiare fronte. Ma i nuovi alleati esitavano di fronte a un partner che aveva stabilito di battersi contro i nazisti solo perché costretto dall'aggressione dei nazisti stessi. Chi poteva dire che la scelta di Stalin fosse definitiva e che il leader sovietico non sarebbe tornato a firmare una pace separata con i tedeschi come già aveva fatto Lenin nel '17 appena salito al potere? Nell'agosto del '41 Roosevelt si incontrò con Churchill al largo della costa di Terranova e i due firmarono un documento, la Carta Atlantica, che fissava principi di libertà per l'ordine postbellico e aveva sottintesi assai critici sulla condotta dell'Urss nei primi due anni di guerra. I due non si fidavano di Stalin che tra loro chiamavano con un soprannome quasi affet- Churchill, Roosevel tuoso, «uncle Joe», allo stesso modo in cui Stalin diffidava di loro. Ma la violenza tedesca fece sì che i tre facessero di necessità virtù e si alleassero. Il ricordo del biennio precedente però pesava su quell'alleanza. Si può dire che i popoli dei rispettivi Paesi si adattarono al nuovo clima con molta più convinzione dei rispettivi gruppi dirigenti. Quando, nelle prime settimane dopo l'aggressione nazista, Stalin chiese a Churchill di aprire un fronte in Europa per allentare la morsa sull'Urss e alleviare le sofferenze del suo popolo, il primo ministro inglese gli rispose picche. E Roosevelt promise sì l'invio in Russia di una «grande quantità di materiale» ma soltanto a titolo di indennizzo se i sovietici avessero portato a termine la guerra. Fu solo dopo la resistenza di Stalingrado che le cose cominciarono a cambiare. L'Urss aveva pagato un tale tributo in termini di vite umane che appariva impossibile un suo nuovo cambiamento di fronte. Ma anche Stalin a quel punto aveva capilo che se con gli occidentali avrebbe potuto concludere accordi saldissimi per il tempo di guerra, questi patti enino però destinati ad andare in frantumi non appena il conflitto fosse finito. Così, paradossalmente, mentre l'opinione pubblica dei Paesi democratici si abituava a considerare i russi come fratelli e la rivista Time metteva nuovamente Stalin in copertina come «uomo dell'anno», stavolta però nei panni di un «buono», le classi dirigenti di Unione Sovietica, Gran Bretagna e Stati Uniti si preparavano a regolare i loro conti non appena fosse finita la guerra contro i nazisti. Il prezzo che l'Urss pagò per la vittoria contro le armate hitleriane fu altissimo. Il suo apporto alla causa della sconfitta del nazifascismo, determinante. Ma non diede mai l'impressione (né, del resto, la ricevette) che questo sforzo potesse produrre risultati che andavano al di là dell'eliminazione di Hitler. Tra il '41 e il '45 fu chiaro che, pur se gli sforzi per giungere alla vittoria finale erano sempre più con¬ giunti e le diffidenze circa l'eventualità che qualcuno cercasse una pace separata lasciavano il passo a un rapporto sempre più fiducioso, alla fine della guerra ognuno avrebbe ripreso per la propria strada. E che quindi conveniva a ciascuna delle grandi potenze far sì che le proprie basi di partenza per il nuovo inizio postbellico fossero più forti e quelle degli altri più deboli. In questa chiave i russi interpretarono il ritardo con il quale gli alleati si decisero, con lo sbarco in Normandia, ad aprite il fronte in Europa. E la fretta con la quale poi cercarono di giungere a Berlino. E sempre in questa chiave gli angloamericani considerarono la pausa che l'Annata Rossa si impose nell'estate del 1944 quando giunse ai sobborghi di Varsavia e si attestò sulla riva orientale della Vistola lasciando la resistenza polacca in balia dei tedeschi, decidendo di muoverei solo quando gli insorti furono annientati. Il modo stesso in cui si giunse alla conferenza di Yalta dimostra (pianto grandi fossero ancora le diffidenze tra alleali. 11 primo a proporre ciuci genere di incontro fu Roosevelt che nel settembre del '44 Caudillo come sede la Scozia. Stalin rispose che era troppo impegnato nella guerra per poterei spostare o fece ufficiosamente sapere che non si sarebbe mosso anche per motivi di salute. Successivamente inglesi e americani proposero un nuovo incontro nel Mediterraneo, ma Stalin rispose ancora di no. In ottobre Churchill si recò a Mosca e si incontrò con il leader sovietico alla presenza dell'ambasciatore americano Averci] Harriman e fu in quell'occasione che il premier inglese avanzò, per il dopoguerra, una prima proposta di spartizione dei Balcani. Poi ricominciarono le avances per un summit: a Stalin furono proposte il Pireo, Salonicco, Istanbul, Gerusalemme, Alessandria d'Egitto, Roma, Malta, Taormina. Niente. Finché non fu scelta una località in territorio sovietico, Yalta. Roosevelt, già molto inalato (sarebbe morto di lì a qualche settimana) dovette sobbarcarsi un duro viaggio per raggiungere ciucila lontana stazione termale. Ma a Yalta, a dispetto di quel che si è detto fin qui, i rapporti tra i tre furono molto migliori di quel che si sarebbe potuto pensare. Uuasi di fiducia reciproca. E' in questo contesto che si accennò ad una spartizione futura. Ma la guerra era ancora in coreo e nessuno poteva dire con certezza quando si sarebbe conclusa. I discorei che si fecero perciò dovette ra tener conto del fai t o che l'alleanza era ancora necessaria e questo stato di necessità pesò negativa mente sulla conversazione. Il tema pili interessante fu ciucilo sollevato da Stalin che scherzo su Churchill circa la inaffidahilità per quel genere di trattative ilei sistemi democratici (quello inglese tra l'altro avrebbe travolto lo stesso Churchill, sconfitto dai laburisti a guerra appena conclusa). Stalin lece osservare che chi si impegna in un patto deve poter garantire che resterà al potere nei tempi in cui dovranno essere attuate le clausole di quell'accordo. Roosevelt e Churchill accantonarono con eleganza l'obiezione staliniana. La quale però metteva il dito su una contraddizione: l'Urss poteva garantire che il suo campo, cioèi Paesi che avi ebbe avuto nella sua sfera di influenza, stesse ai patti solo se questi Paesi avessero avuto un regime comunista, cioè controllabile. Allo stesso modo le elezioni che si tennero in quei Paesi occidentali in cui, come in Italia e in Francia, era presentiun fono partito comunista sfidavano il principale presupposto dogli accordi di Yalta: che sarebbe accaduto se i comunisti d'un Paese occidentale fossero andati al potere? A Yalta dunque non fu innescata la guerra fredda, né i grandi si spartirono cinicamente l'Europa. Anzi, in quell'occasione i tre leader resero onore a un'alleanza e, con qualche generosità, provarono a risolvei e qualche contraddizione irrisolvibile. Se alcuni Paesi dell'Europa balcanica e centro-orientale vennero consegnati a Stalin questo fu perché inglesi e americani non si resero conto fino in fondo che glieli stavano consegnando. Anzi: che era la logica stessa di un accordo a consegnarglieli. Quanto alla guerra fredda, sarebbe stato impossibile che sistemi dittatoriali e sistemi democratici convivessero in altro modo che in quello in cui hanno convissuto per buona parte della seconda metà del secolo. Yalta non ha colpe. Così come per la seconda guerra mondiale non ebbe colpe Monaco. Di più. Con il senno del poi, riflettendo su Yalta, si può dire una cosa ovvia ma che spesso si dimentica e cioè che c'è qualcosa di peggio di una «guena fredda» ed è una guerra toul court. Le colpe di americani e inglesi: senza saperlo consegnarono a Stalin alcuni Paesi balcanici La sede del summit infestata dagli insetti sui colloqui aleggiava una nuvola di Ddt Un disegno di Matteo Pericoli a smisti.i Paolo Mieli Churchill, Roosevelt e Stalin a Yalta