Caselli: «Ecco le mie tre prigioni» di Renato Rizzo

Caselli: «Ecco le mie tre prigioni» Asti, faccia a faccia tra il direttore delle carceri e il condannato-simbolo di Tangentopoli Caselli: «Ecco le mie tre prigioni» E Cusani: aiutiamo i tossicodipendenti in cella Renato Rizzo inviato a CALAMANDRANA (Asti) Il carcerato ed il carceriere: l'uomo che ha vissuto e vive la galera, seppur come «un privilegiato con tanta fortuna», e l'uomo chiamato ad occuparsi di quei 52 mila reclusi che scontano il loro debito nelle carceri italiane e che esistono solo in prospettiva: inseguendo i giorni. Eccoli, insieme, in un'imbarazzata e un po' imbarazzante prima volta: Sergio Cusani, braccio destro di Gardini condannato per la maxi-tangente Enimont ora in libertà vigilata, e Giancarlo Caselli, l'ex procuratore e oggi responsabile del settore istituti di pena del ministero di Grazia e Giustizia. Addetti ai lavori su opposte sponde, due rette parallele che hanno un fugace, ma significativo punto d'incontro. Parlano dei delitti e delie pene. E di come realizzare quell'articolo 27 della Costituzione che prevede «la rieducazione del condannato». I loro discorsi in questa giornata promossa dalla Comunità psichiatrica Antares di Calamandrana diretta da Alessandro Meluzzi, partono dal «grido» di don Ciotti il prete degli emarginati : «Non chiediamo sconti, chi ha sbagliato paghi. Ma non dimentichiamo che il carcere produce malattia. Anzi, è malattia". E ancora: "Si invocano città più sicure. Eppure, paradossalmente, una città è sicura quando include, non quando esclude». Giancarlo Caselli sceglie come filo conduttore del suo discorso quel «procedere in punta di piedi» suggeritogli dall'amico prete: dice d'essersi appena affacciato ai problemi delle carceri italiane. Ma, poi, i piedi li punta. E detta le regole per raffreddare l'universo che bolle dietro le sbarre. Visto che è impensabile costruire nuove prigioni bisogna ristrutturare il sistema carcerario di cui disponiamo. Come? Suddividendolo in tre livelli, con possibilità di reci- proca osmosi: il primo, «di sicurezza», riservato ai detenuti più pericolosi appartenenti alla criminalità organizzata o recidivi. Una sorta di carcere duro nel quale i «benefici penitenziari» sono esclusi o sospesi. Il secondo, chiamato «ordinario», prevede un recupero dei «benefici penitenziari, anche tenendo conto del tempo trascorso al precedente livello»; il terzo è definito «attenuato»: qui la custodia sarà «ridotta al minimo» e si studieranno forme di apertura all'esterno e di «partecipazione» che arriveranno alla «autogestione» del recluso. Il trattamento riguarderà condannati «che fruiscono di misure alternative alla detenzione», che hanno dato prova di «acquisita responsabilità, nonché uomini e donne alla vigilia della liberazione. Si parla esplicitamente di tossicodipendenti recuperati o avviati al recupero. Caselli guarda le patrie galere che rischiano l'esplosione e snocciola cifre. Dei carcerati oltre 17 mila scontano pene per violazione alle leggi sulle droghe: «Si dirà: sono spacciatori e lo spaccio è reato. Eppure di quei 17 mila, 6800 sono tossicodipendenti, non trafficanti. E' giusto che finisca in cella chi ha più bisogno d'aiuto che di punizione?». E' giusto, Sergio Cusani? Condi- vide il progetto del giudice? L'ex finanziere che ha fondato un'« agenzia di solidarietà per il lavoro» rivolta ai carcerati e che i compagni chiamano, senza sorridere troppo, «San Francesco», evita una risposta ovvia alla prima domanda. Ma analizza con qualche sufficienza la seconda: «E' un'iniziativa degna di approfondi¬ mento che ricalca le idee del giudice Di Maggio, morto qualche anno fa». Vuol dire che si può fare di più? la prendo da lontano mandando un messaggio avvelenato ad un nemico storico. Confessa di non sapere quanto «il dottor Caselli manterrà questo incarico, ma non importa. Se il pm Di Pietro è diventato senatore e ministro con aspirazione ad essere Capo dello Stato, lui che è di ben altro livello, può lasciare comunque un segno importante». Poi lancia la «sua» ricetta: intanto creare; all'intorno dolio prigioni un centro di crisi rivolto ai tossicodipendenti in astinenza: «Le loro urla punteggiavano le mie prime notti a San Vittore. Eppure, basterebbero 4-5 celle». Secondo comandamento: creare una «vera comunicazione» tra i vari istituti. Terzo: scogliere sorveglianti, medici ed infermieri anche tra gli extracomunitari «perché conoscono la lingua ed i bisogni dei compatrioti». Guaito: costituirò un ufficio per seguire i problemi dei 30 mila affidati ai servizi sociali. Così parlò il carcerato Cusani prima di scendere dal palco fra gli applausi e di distribuire urbi et orbi i suoi saluti. L'ultimo dei quali, forse involontariamente surreale, a Luigi Pagano, direttore di San Vittore: «Ci vediamo, dottoro». L'altro gli ha strotto la mano replicando: «Sì, sì ci vediamo». Don Ciotti: «Non chiediamo sconti ma la detenzione produce malattia» A destra Giancarlo Caselli A sinistra Sergio Cusani

Luoghi citati: Asti, Calamandrana