Il ricco mito di un profumo di Mario Baudino

Il ricco mito di un profumo NELLA CAPITALE DI UN GUSTO CHE SEDUCE IL MONDO Il ricco mito di un profumo Un tubero, tra leggende e affari miliardari reportage Mario Baudino inviato ad ALBA H libri di cucina francesi davano, ■ nel secolo scorso, una ricetta ■ per cuocere il tartufo che suonava più o meno così: tagliarlo in grosse fette e metterlo a saltare in padella con aromi, aglio e qualche diavoleria «per attutirne lo sgradevole odore». E' vero che si trattava di tartufi francesi e non italiani, e tanto meno albesi, ma gli estensori di quei prontuari per la perfetta padrona di casa erano gli ultimi epigoni, in buonissima fede, di un ancien regime del gusto destinato a essere spazzato via senza pietà. Bastava guardare Alba, ieri sera, intenta ad inaugurare la sua ormai leggendaria fiera del tartufo, con gonfalonieri e figuranti, le insegne dei borghi, la città tirata a lustro e ' tutte le autorità politiche che si possano immaginare. Lo «sgradevole odore» è diventato un profumo, un mito, forse un'ossessione. Alla vigilia della fiera i tartufi erano sul mercato a 36-45 lire, come dicono gli albesi, il che non significa affatto un pauroso crollo dei prezzi. Significa solo da 3 milioni e 600 a 4 milioni e 500 il chilogrammo, cifre notevoli (ma in linea con l'inflazione ci viene fatto osservare) e peraltro eloquentissime. Per i tartufi il nostro prospero Occidente è disposto a spendere molto, pur di averlo in tavola prestissimo, magari via aerea da Alba in tutte le parti del mondo. Ma che cos'è, un tartufo? Un tubero lo sappiamo benissimo. E poi? Poi, se giri la domanda a un super esperto come Giacomo Oddera, regista compiaciuto dalla sua poltrona di presidente dell'azienda per il turismo, ti guarda e risponde: «E' un profumo». Il tartufo è diventato immateriale, o quasi-immateriale. Puro profumo, anzi meglio, l'idea di un profumo. Più che un cibo - e chi mai lo definirebbe ancora cibo - è un'icona. Un messaggio. Un volano, vedete un po' voi: nell'economia albese il giro d'affari relativo al tubero è magari cospicuo, ma nell'ordine di qualche miliardo. Un'inezia rispetto a vino, alla ristorazione, al turismo, al cioccolato, ai formaggi, alle carni e via elencando le delizie della vita. Ma un'inezia senza la quale tutto il resto forse non esisterebbe. E' stato il tubero, anzi il suo profumo, anzi ancora l'idea del suo profumo a far da volano per tutto il resto e a convogliare qui l'attenzione di un mondo sempre più in cerca di consumi e piaceri. Sono arrivati dall'Europa e dall'America - in questo paesaggio dove nulla sembra essere lasciato al caso, dove tra le colline si ha la netta sensazione che su ogni centimetro quadrato di terreno sia stata presa una decisione -, attirati da un'idea. Ma che idea. Giacomo Oddera ci ricorda gli «eroi» di quest'avventura come quel «barot» di Roddi che fu il più «immaginifico» cercatore di tartufi e si inventò l'università per i cani e altre diavolerie ottime per i mass media, mentre il padre degli enologi e gastronomi, Giaco- mo Morra, gli portava carrettate di giornalisti stranieri pronti a bersi qualsiasi cosa: soprattutto Barolo, Barbaresco e balle, purché ben confezionate, Leggende sulle notti di luna o sulle notti oscure, trifulau avventurosi nei boschetti coperti da lunghe cappe come briganti o contrabbandieri. Una volta il tartufo manco si vendeva, magari si regalava. Ma la fiera di quest'anno compie 69 anni anche per il genio di quegli antichi, cui rende omaggio. C'è una mostra dedicata, in parallelo, a Beppe Fenoglio, il grande scrittore di queste colline, e appunto a Giacomo Morra. E c'è come madrina della manifestazione Dacia Maraini, che ha vinto lo «Strega» col suo libra «Buio» (edito da Rizzoli) e annusa il tartufo datole in omaggio con gesti consumati, proprio come i suoi ospiti albesi si aspettavano che facesse. Onesta fiera, una panoplia di gastronomia, di cose buone o buonissime, strane 0 stranissime, tradizionalio inventate ieri da un bravpo cuoco (che spergiurerà però fino all'ultimo di aver appreso la ricetta da suo nonno) non è una fiera come le altre. E' «la» fiera, il momento alto dell'orgoglio di un territorio che ha saputo vincere l'antica «malora» narrata da Fenoglio e diventare uS una delle aree mitiche d'Europa. Il lungo corteo che dal teatro Sociale se ne va lemme lemme al palazzo delle esposizioni attraversando la parte medioevale della città è non solo l'unico corteo al mondo fatto in nome di un profumo, ma anche un compiaciuto eflètto di teatro, la città che si guarda sfilare e conta gli ospiti. Mentre in fiera fanno bella mostra eh sé i calchi in gesso dei tuberi donati in anni lontani al presidente Truman a Winston Churchill, a Marylin Monroe ed a Paolo VI. A guardarli sono orrendi, grumi inerti. Ennesima prova che il tartufo è immateriale. La storia di un contadino di Roddi che inventò l'università peri cani addestrati alla ricerca Una mostra dedicata a Fenoglio e i calchi di Marylin Monroe «E' il volano per un'economia diventata florida grazie anche a vino e paesaggio» Sulle colline sono arrivati turisti da Europa e America

Luoghi citati: Alba, America, Barbaresco, Barolo, Europa, Roddi