I prodromi sotto tiro fanno quadrato di Fabio Martini

I prodromi sotto tiro fanno quadrato I prodromi sotto tiro fanno quadrato Ma Micheli precisa: io non avevo la delega sui Servizi Fabio Martini ROMA Nel salone del Consiglio, il ministro Angelo Piazza si accosta ad Enrico Micheli e, scherzando, gli sussurra: «Mi ci metti anche a me nella lista?». Micheli non gradisce: «Quale lista, scusa?». In queste ore nel Palazzo si scherza poco, il dossier Mitrokhin sta appesantendo il clima attorno al governo e nei corridoi circola poco simse of hu moure molto chiacchiericcio in libertà. Tanto ò vero che dell'affaire-Mitrokhin, ieri mattina hanno parlato in un prolungato a tu per tu Massimo D'Alema ed Enrico Micheli, passeggiando nei corridoi che costeggiano il salone del Consiglio dei ministri. In serata, dopo che un'agenzia aveva attribuito un significato particolare alla chiacchierata informale tra Micheli e il premier, Palazzo Chigi ha precisato che «il presidente D'Alema non ha chiesto alcuni chiarimento al ministro Micheli sulla vicenda delle presunte spie italiane al servizio del Kgb». Ma sotto tiro, sotto i riflettori della magistratura restano soprattutto l'accoglienza e il lavorìo riservati dal governo di Romano Prodi attorno al dossier dei servizi segreti inglesi. E una cosa ormai sembrerebbe acclarata: durante il primo governo progressista nella storia della Repubblica italiana la «cottura» della polpetta-Mitrokhin è rimasta confinata nella «cucina» prodiana, lungo il triangolo Prodi-Micheli-Andreatta. Una triade un tempo compatta, che anche in questa circostanza ha tenuto. Ma con qualche sottile, significativo distinguo. Il più importante tiene a farlo Enrico Micheli, ai tempi sottosegretario alla presidenza del Consiglio e oggi ministro dei Lavori Pubblici. Dice Micheli: «Io non avevo la delega ai servizi segreti. Non c'era stata nessuna delibera in tal senso. Prodi aveva preferito tenerla per sé. Oggettivamente non potevo saperne di più». Precisazione ineccepibile, ma formalmente non trascurabile, che serve a ricordare come Micheli fosse, nel 1996, sottosegretario alla presidenza con delega soltanto amministrativa ai Servizi. Una situazione ben diversa dall'attuale, visto che D'Alema ha delegato per intero la supervisione sui Servizi a Sergio Mattarella. E dunque, anche se Micheli non lo dice esplicitamente, nel precedente governo la responsabilità politi¬ ca era del presidente del Consiglio e del ministro della Difesa Beniamino Andreatta, i quali come si sa - sono legati da un rapporto molto intenso di amicizia, anche se Prodi non è mai riuscito a dare del tu a colui che considera uno dei suoi maestri. Un rimpallo molto soft di responsabilità, quello tra Prodi e Andreatta, che lancia un altro interrogativo: per le questioni delicatissime come quella dei Servizi, con chi si consigliava il presidente del Consiglio? Sotto stretto anonimato, uno dei più grandi amici bolognesi di Romano Prodi, chiosa così: «Possibile mai che su una questione come questa, Romano non avesse nessuno con cui consigliarsi? Lui è così, non sempre sceglie collaboratori all'altezza...». Certo, anche tra Prodi e Micheli - che si sono conosciuti all'Iri - nel passato il rapporto è stato di fiducia e nei giorni scorsi i due si sono trovati d'accordo a scrivere assieme due importanti comunicati. Ma negli ultimi mesi la liaison si è allentata, soprattutto da quando il ministro dei Lavori pubblici ha evitato qualsiasi contatto con la creatura politica prodiana - l'Asinelio democratico - e anzi si è avvicinato all'orbita diessina. Al punto che Micheli è indicato come il candidato più probabile del centrosinistra per sostituire il dimissionario deputato diessino Paolo Raffaelli nel collegio di Terni in occasione delle suppletive del 29 novembre. Micheli scioglierà la riserva in questo fine settimana. Certo, in queste ore Micheli è infastidito dalle voci sul suo conto, alimentate dal Velino di Lino Jannuzzi, che due giorni fa ha maliziosamente puntato i riflettori sul ministro dei Lavori pubblici con una raffica di allusioni: i recenti attacchi dei giornali inglesi a Romano Prodi - questa la tesi della velina non sarebbero legati alla recente nomina a presidente della Commissione europea, ma rappresenterebbero il retaggio di antichi risentimenti britannici nei confronti dei grandi affari che Iri ed Eni avrebbero realizzato con i sovietici. L'ex braccio destro di Prodi non si è premurato di fare precisazioni di alcuna sorta, anche se nel suo entourage sembrano aver buon gioco nel ricordare che Micheli è diventato direttore generale nel 1993 quando l'Unione Sovietica non esisteva più ed ha ricoperto quella responsabilità per tre anni e non «per decenni» come scritto dal VelinoMa certo, nel vecchio gruppo prodiano, la tensione per il dossier-Mitrokhin resta alta e ne è una prova anche l'ennesima, lunga telefonata che ieri mattina ha visto impegnati Romano Prodi ed Enrico Micheli. Una lunga telefonata tra l'ex Premier e il ministro dei Lavori Pubblici che ieri ha avuto un colloquio anche con D'Alema Il ministro dei Lavori pubblici Enrico Micheli già sottosegretario alla presidenza del Consiglio durante il governo Prodi

Luoghi citati: Roma, Unione Sovietica