«Cancro, non è un male incurabile» di Tito Sansa

«Cancro, non è un male incurabile» CONFERENZA MONDIALE «Cancro, non è un male incurabile» Moderato ottimismo tra 9000 oncologi a Vienna UNA sciocchezza ricorrente sui giornali e alla tv è quella di definire "male incurabile" il cancro». Lo dice Hector Soto Parrà, un giovane oncologo venezuelano del gruppo italiano di ricerca sui tumori rari presso l'istituto Humanitas di Milano. «Se davvero avessimo dubbi - aggiunge - e pensassimo che il cancro fosse incurabile (come lo chiamate voi con malinteso eufemismo, spaventando i malati e anche i sani), non saremmo qui a fare il punto sui progressi dell'ultimo anno - e non sono pochi - nella lotta contro la malattia». Hector Soto Parrà è uno degli oltre 9000 delegati - medici, chimici, psicologi, educatori, infermieri - che a metà settembre sono convenuti per cinque giorni a Vienna per Ecco 10, la decima conferenza europea sul cancro. E' stata ima delle tante conferenze monstre nella capitale austriaca, con 763 oratori succedutisi ai microfoni nelle diverse sale e la bellezza di 1591 relazioni scientifiche scritte a disposizione dei congressisti. I quali, nel fare il punto, al termine della conferenza, hanno manifestato due tendenze: una piuttosto pessimistica per quel che riguarda il presente e una moderatamente ottimistica ma senza illusioni, per il futuro. Il pessimismo è dovuto in primo luogo alla crescente diffusione del fumo, al tabacco, «il grande assassino», al quale è stata dedicata una relazione plenaria del congresso. Gli oratori hanno ripetuto ai loro colleghi cose in gran parte arcinote sui rischi di sigarette, sigari e pipa, documentate però (forse con la speranza di trovare un'eco sulla stampa intemazionale) da cifre spaventose che dovrebbero far riflettere. Negli ultimi 50 anni dicono le statistiche - nei soli Paesi industrializzati 60 milioni di persone sono morte per gli effetti del consumo di tabacco (8 milioni più che durante tutta l'ultima guerra); in tutto il mondo la nicotina uccide ogni anno 4 milioni di persone (2000 al giorno nella sola Cina); con il costante aumento del consumo di tabacco, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo e tra le donne, si calcola che dell'attuale popolazione mondiale circa mezzo miliardo di persone è condannata a morire per avere ceduto al vizio. Un monito terribile si è levato dall'Austria Center di Vienna: la metà di coloro che fumano regolarmente fin dalla giovane età morirà a causa del tabacco. A rischio sono anche (si sa, ma pochi vi fanno caso) i non fumatori esposti all'inquinamento del fumo passivo. Perciò - invocano a gran voce i relatori - gli adulti smettano di fumare. C'è anche una «buona notizia»: è accertato che chi smette di fumare nella maggiore età evita gran parte del rischio, se non si è ancora sviluppato un tumore. Rivolti ai giovani, gli oncologi rassicurano, che «coloro che smettono, non corrono alcun rischio di morire a causa di tardive conseguenze del consumo di tabacco». Buone, ma non tali da diffondere speranze a brevissima scadenza, le notizie presentate dai relatori (molti dei quali venuti dagli Stati Uniti, benché la conferenza fosse europea) su progressi nella ricerca e nella terapia, più nella prima che nella seconda. Negli Stati Uniti, che sono all'avanguardia, per esempio, sono stati registrati nell'ultimo anno ben 316 nuovi preparati per la lotta contro il cancro. Si tratta di farmaci «sicuri», non tossici come quelli attuali, che dovrebbero essere in grado di attaccare le cellule malate, ma innocui per le cellule sane. Un'altra ricerca riguarda nuovi farmaci che interrompano il rifornimento di sangue ai tumori, e anche qui si è sulla buona strada. Il problema principe non è però tanto quello della ricerca quanto quello dell'applicazione pratica delle scoperte, della connessione tra ricerca e terapia, tra laboratorio e clinica. Occorre an¬ zitutto avere a disposizione più pazienti che si sottopongano agli esperimenti perché - come hanno lamentato diversi oratori - «è impossibile conoscere una certa forma di cancro se si hanno a disposizione solo una decina di malati». Ne occorrono almeno due o trecento l'anno per ciascun gruppo operativo, ma i pazienti hanno paura perché male informati, temono di venire degradati al rango di cavie, ignorano che verranno curati più intensivamente dei pazienti «normali». L'invito a presentarsi è rivolto soprattutto agli uomini, più timorosi e pigri delle donne, che esitano a sottoporsi perfino a un controllo preventivo della prostata. Con i nuovi esami bio-molecolari è possibile oggi, per tutte le forme di cancro, valutare i rischi individuali di malattia e identificare un tumore nascente. Non occorre più asportare una porzione di tessuto sospetto, bastano un po' di orina o una goccia di sangue dalla punta di un dito. Strenuo fautore della chirurgia conservativa, Umberto Veronesi, direttore dell'Istituto europeo di oncologia di Milano, ha trovato il consenso dei colleghi che sostengono la concertazione di chirurgia, radiazioni e chemioterapia. «Abbiamo i piedi nei blocchetti di partenza, siamo pronti a scattare - ha detto il tedesco Klaus-Michel Debatin dell'Università di Ulma - per portare nel settore clinico i successi ottenuti dai ricercatori. La strada da percorrere è lunga, occorrerà che collaborino e scambino informazioni tra di loro non solo gli scienziati e i medici ma anche gli infermieri, gli psicologi, le famiglie, la società intera. Ci vorranno forse 10, forse 15 anni. Ma di una cosa siamo certi: riusciremo a sviluppare terapie selettive che aggrediscano soltanto i tumori maligni». Tito Sansa Nell'ultimo anno registrati in Usa 319 nuovi farmaci antitumorali Nella foto una cellula cancerosa al microscopio

Persone citate: Hector Soto, Hector Soto Parrà, Parrà, Umberto Veronesi

Luoghi citati: Austria, Cina, Milano, Stati Uniti, Usa, Vienna