No all'asta di programmi invisibili

No all'asta di programmi invisibili Dal «governo» Rai una risposta al presidente di Mediaset Confalonieri No all'asta di programmi invisibili Stetano Balassone Idiscorsi sulla qualità nella televisione italiana appaiono spaesati, non per colpa loro, rispetto ai fondamenti del nostro sistema televisivo. Gli assetti della tv italiana non sono, come è noto, il frutto di dibattiti sulla qualità ma l'esito di lotte politiche che hanno fissato j;li equilibri quantitativi fra Hai e Mediaset non tanto in termini di ascolti quanto di affollamenti pubblicitari e quindi di fatturato. Noi non abbiamo un sistema pubblicoprivato, figlio della yran denr culturale, come ad esempio in Francia ma, più rudemente, uno pseudo mercato artificialmente distorto (invitiamo al paragone con gli altri sistemi europei) per ragioni di forza politica. Fatta questa doverosa premessa per non dare l'impressione di prendere sul serio, come in altro contesto meriterebbe, il dibattito sulla qualità, devo ammettere che questa riserva momenti interessanti. Ad esempio il 0 settembre su In Slampa il presidente di Mediaset individua la ragion d'essere del canone nell'esigenza di finanziare «la trasmissione di programmi a bassa intensità di ascolto)). La «bassa intensità di ascolto» è una novità semantica. Non ne avevamo mai sentito parlare e ci auguriamo che tutti sentano il dovere; di confrontarsi con questo diverso livello del dibattito. Personalmente non riesco a raccapezzarmi, tinaie che sia il senso che lento di attribuire al termine «intensità». Se inteso in senso qualitativo, e cioè come espressione del grado di intensa partecipazione emotiva che dovrebbe accompagnare l'ascolto di opere particolarmente riuscite per l'interesse dei contenuti e per la forza espressiva, mi sembrerebbe che un'opera egregia dovrebbe suscitare una elevata intensità di ascolto. Se invece la intensi- l.à fosse da intendersi in senso quantitativo allora il significato sarebbe che il canone dovrebbe finanziare programmi ascoltati, magari con passione, da pochi. Dov'è, in tal caso l'utilità sociale? Non è ovvio che un finanziamento pubblico serve per far condivi- dere a molti il meglio? E dunque a plasmare contenuti e linguaggio per ottenere prodotti a elevata intensità sia qualitativa che quantitativa? A me così pare, ma forse mi sbaglio e forse ha ragione chi, con padano buon senso, afferma, in buona sostanza, che i soldi pubblici servono a fare non il meglio ma il residuale. Questo però devono deciderlo i padroni dei soldi pubblici e cioè Governo e Parlamento. Facciano sapere. Nella stessa occasione il Presidente di Mediaset suggerisce di mettere all'asta, magari per spartirla, la produzione dei programmi di servizio pubblico. Quali siano viene detto nel medesimo contesto: «Arti figurative, prosa, musica e cos'i via fino agli sport minori». Vada il finanziamento, si dice, a chi, per la parte di sua competenza offra il miglior palinsesto al prezzo più competitivo. Devo dire che da un lato questa idea mi entusiasma perché rendendo uguali tutti i soggetti televisivi circa la opportunità di ottenere entrate pubbliche comporta l'automatico avvento della parila di trattamento anche dal lato degli affollamenti pubblici. E la trovo una proposta coraggiosa, vista la fonte da cui proviene, perché è proprio dalla attuale disparità che derivano gli inusitati margini di utile di cui Mediaset mena giustamente gran vanto. Per altro verso sembra tuttavia una proposta bizzarra. Ve l'immaginate un'asta basata sulla offerta al minimo prezzo della minore intensità d'ascolto? Sembra quasi una gara a chi offre una programmazione invisibile. Vediamo molti talenti in grado di battersi valorosamente per questo obiettivo ma dubitiamo che il suo raggiungimento potrebbe dare corpo a una nuova e più avanzata incarnazione del Servizio Pubblico. Consigliere d'amministrazione della Rai Stefano Baiamone. In alto, il cavallo di viale Mazzini simbolo della sede Rai

Persone citate: Balassone, Confalonieri

Luoghi citati: Francia