«Così ho venduto il mio rene»

«Così ho venduto il mio rene» Inchiesta dei magistrati torinesi sui trapianti sospetti al Policlinico di Roma «Così ho venduto il mio rene» Una vittima degli usurai: «Percento milioni a dializzati scelti tra i compatibili più ricchi » Nino Pietropinto TORINO «Il mio rene? L'ho offerto dopo che mio figlio è morto per la leucemia. Avevo fatto un fioretto». E un altro: «No, io ero in grosse difficoltà economiche. Mi hanno dato 130 milioni». Anche altri hanno ammesso di aver ricevuto denaro in cambio del rene. L'inchiesta dei magistrati torinesi sui trapianti sospetti al Policlinico Umberto I di Roma, partita nel giugno scorso dopo la clamorosa denuncia di un rappresentante di commercio pugliese costretto a cedere il rene dagli strozzini, segna un significativo passo in avanti. L'elenco degli indagati, che comprendeva già medici dell'ospedale, tra cui il professor Raffaello Cortesini, si allunga. Sono finora in 17 sotto accusa in gran parte per lesioni personali gravi. La svolta è arrivata nei giorni scorsi, in coincidenza con la trasferta a Roma e Bari dei pm Enrica Gabetta e Giuseppe Ferrando titolari dell'indagine. I due magistrati hanno ascoltato una decina di persone. 1 donatori sono stati sentiti come testi. Si tratta di persone con grossi problemi economici, giovani senza lavoro, ci sono anche due donne. Una è quella che ha donato il rene per il fioretto fatto per la morte del figlio. Uno dei donatori, nel corso dell'interrogatorio, da teste è diventato indagato: ha raccontato una storia inverosimile e si è trovato sotto accusa per false dichiarazioni. Indagati sono tutti coloro che hanno beneficiato del trapianto. Qualche imprenditore, professionisti, tutte persone che non avevano certo problemi di denaro. E che hanno potuto aggirare la legge e soprattutto approfittare delle condizioni disperate dei donatori. Un paio di essi si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Altri due hanno spiegato: «Non abbiamo pagato nulla. Il rene c'è stato offerto per amicizia, come un dono. Non c'è stata alcuna irregolarià». Soltanto uno ha ammesso di aver pagato 130 milioni. «Ma solo dopo l'intervento, così per ringraziare chi mi aveva ridato la vita. Non c'era alcun accorcio prima del trapianto su un eventuale pagamento, non è stala concordata alcuna cifra». Tocca ora ai magistrati scoprire gli intermediari e soprattutto chiarire il ruolo e le eventuali responsabilità di chi ha effettuato quei trapianti. Per ora gli unici indagati in questa seconda trancile sono quelli che hanno ricevuto i reni. Era incominciato tutto con un'amara confessione di Vito Di Cosmo, 51 la vittima degli strozzini, costretto a vendere il rene. A marzo lo avevano arrestato a Torino. Con un complice aveva tentato un'estorsione alla Ferrerò di Pino Torinesi;: «Metteremo diserbante nei vostri dolciumi se non ci consegnerete 2 miliardi e 500 milioni». I carabinieri li avevano fermati vicino alla stazione di Porta Nuova mentre stavano ritirando 300 milioni. Ai magistrati raccontò il suo dramma. Commerciante di commercio, una volta stimalo, a Francavilla Fontana nel brindisino, era stato rovinato dalla passione per il gioco. Casinò e bische clandestine. Decine di milioni lasciati al tavolo verdi!. Saint Vincent, Sanremo, Campione. Era finito nelle grinfie degli usurai. E loro gli avevano suggerito di «combinare» un trapianto, di vendere un pezzo della sua vita. Un rene pagato poco meno di un centinaio di milioni. «E' vero ho preso quel denaro - racconta al telefono dalla sua casa di Francavilla - Sono stato costretto a vendere il rene dagli strozzini che ni' tenevano in pugno». Come ha trovato l'acquirente? «Con il mio lavoro ero in contatto con le Usi. Non mi è stato difficile conoscere i nomi di quelli che erano in dialisi. Tra questi ho scelto quelli più ricchi e poi quello che era compatibile con me. Ho fatto tutto io». Qualcuno del Policlinico sapeva di questi contatti? «Qualcuno sì». Cortesini? «Con lui ho parlato una sola volta. Ero assieme a chi aveva acquistato il mio rene. Cortesini ci disse che non voleva sapere nulla di quello che avevamo deciso noi, che i nostri fatti dovevano restar fuori dal suo studio. Ci spiegò che a lui interessava vedere l'autorizzazione del magistrato per il trapianto e non ci sarebbero stati altri problemi». La confessione di Di Cosmo, che è difeso dagli avvocati Sergio Badellino, di 'l'orino, e Luigi Vitali di Brindisi, provocò un mezzo terremoto. Al Policlinico arrivarono i carabinieri per sequestrare le cartelle dei trapianti tra non consanguinei, partirono gli avvisi di garanzia per i medici romani. 11 professor Cortesini reagì con una durissima intervista contro i magistrati torinesi. Ora è scattata la seconda fase. «Il chirurgo ci disse che non voleva sapere niente di quello che avevamo deciso noi I nostri affari dovevano restare fuori dal suo studio» Gli operati: «Non abbiamo pagato nulla, l'offerta è stata fatta per amicizia come se fosse stato un dono» Solo uno ammette l'accordo Vito Di Cosmo, l'uomo che ha confessato di aver venduto un rene per pagare i debiti

Luoghi citati: Bari, Brindisi, Francavilla Fontana, Roma, Sanremo, Torino, Vito Di Cosmo