«Ho ucciso mentre ero sotto protezione» di Lirio Abbate

«Ho ucciso mentre ero sotto protezione» Palermo: condannato a 27 anni per omicidio, a Balduccio non è stato riconosciuto lo status di pentito «Ho ucciso mentre ero sotto protezione» La confessione in aula di Di Maggio, accusatore di Andreotti Lirio Abbate PALERMO In Sicilia aveva organizzato una «cosca di confidenti» per aiutare gli investigatori ad arrestare il latitante Giovanni Brusca. Nel suo paese d'origine, San Giuseppe Iato, Balduccio Di Maggio, il pentito che ha fatto arrestare Totò Riina ed ha rivelato di aver visto baciare il capo di Cosa nostra e Giulio Andreotti, era tornato fra il '95 ed il '97 anche per sparare. Il collaboratore di giustizia, principale teste d'accusa nel processo al senatore a vita, ieri sera è stato condannalo a 27 anni di carcere dai giudici della corte d'Assise di Palermo che non gli hanno riconosciuto lo «status» di pentito. Lui ieri pomeriggio ha «tuonato» contro lo Stato che per lui aveva chiesto 30 anni di carcere perché era tornato a delinquere nel periodo in cui era sotto protezione. Per lui nessuno sconto di pena, anche se è ritenuto attendibile dall'accusa. «Non sono così incosciente da venire in Sicilia e creare danni, perché non so come si fa ad essere così abili a sfuggire, anche per un solo giorno, al programma di protezione». Di Maggio ha voluto spiegare così i suoi blitz segreti a San Giuseppe Iato, sottolineando che in quel periodo alloggiava alla scuola allievi carabinieri di Roma. Rivolto al presidente ha aggiunto: «E' giusto che voi e il popolo siciliano ed italiano sappiate quello che Di Maggio ha fatto, perché se io non avessi parlato ci sarebbero stati attentati a magistrati ed altro. Nessuno avrebbe avuto il coraggio di affrontare una storia simile, io l'ho fatto senza avere condanne, stavo tanto bene con mia moglie ed i bambini. Lo Stato mi passava uno stipendio, vivevo rilassato, chi me lo faceva fare? Venivo da una storia massacrante e dovevo tornare a massacrarmi? 1 carabinieri del Ros e quelli del gruppo 2 di Monreale - ha spiegato Di Maggio - mi venivano a trovare durante il periodo in cui avevo iniziato a collaborare su autorizzazione dei magistrati, per aiutarli ad arrestare Giovanni Brusca, ed io gli ho dato una mano». Il pentito del «bacio» racconta che a San Giuseppe Iato aveva messo sii una cosca di confidenti, che all'occasione sarebbe sei-vita anche per sparare: «Ho messo nelle mani della polizia Nicola Lazio (oggi collaboratore) e con le sue informazioni siamo arrivati ad arrestare Brusca». Di Maggio ieri ha voluto rendere spontanee dichiarazioni prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio. Il processo, in cui enino imputati anche i collaboratori Santino Di Matteo e Gioacchino La Barbera, condannati rispettivamente a 20 e 19 anni, riguardava gli omici- di confessati qtiando era iniziata la loro collaborazione con la giustizia. Il processo a Di Maggio per i fatti che riguardano la «nuova» cosca per il quale è stato arrestato nel '97, è in corso davanti ad altra sezione. Il collaboratore ha raccontato ai giudici il suo impegno con lo Stato, in particolare per fare arrestare il boss di San Giuseppe. «Per stanare Brusca - ha spiegato Di Maggio - con Michele Camarda ed altre persone abbiamo cercato di far terra bruciata ai suoi uomini. Stanarlo dal suo rifugio, avevo pensato con i miei ragazzi di danneggiare le persone che aveva vicino. Adesso non voglio difendermi, le mie colpe l'ho ammesse con dignità, perché a molti attentati ho partecipato con Camarda. La risposta della cosca di Brusca è stata quella di assassinare Francesco Reda, perché sapevano che eravamo in contatto». «Michele Camarda mi dava notizie e io le riferivo ai carabinieri - ha proseguito il pentito - una settimana prima che (Camarda - ndr) subisse l'attentato alla casa di campagna, mi aveva chiamato perché era preoccupato del fatto che una macchina da alcuni giorni lo seguiva. Mi diede un numero di targa e l'ho fatto controllare ai carabinieri di Monreale i quali mi dissero che era una loro tinto e non c'era da preoccuparsi». Gli uomini di Brusca iniziarono a reagire e Di Maggio ha quindi ricordato: «I ragazzi mi chiamarono al telefono e mi dissero "noi ti abbiamo dato una mano e ci stanno facendo la pelle a tutti, ad uno ad uno, tu sei in dovere di aiutarci". Ho dunque sentito il dovere - ha concluso l'imputato - di scendere in Sicilia, andare ad Altofonte e sparare a Caffrì (vicino a Brusca) e mi sono messo a disposizione (dei complici) per qualsiasi cosa». LUCI E OMBRE DI UN MAFIOSO Baldassare Di Maggio, detto Balduccio. 48 anni, sposato e padre di due figli, è stato affiliato alla cosca mafiosa capeggiata da Bernardo Brusca, padrino di San Giuseppe Jato.Killer e autista di fiducia di Totò Rima, fu ostacolato nell'ascesa al vertice della famiglia mafiosa da Giovanni Brusca. A causa dei contrasti con quest'ultimo, Di Maggio abbandono la Sicilia e parti, destinazione Borgomanero, in provincia di Novara. Qui la mattina dell'8 gennaio 1993 fu arrestato dai carabinieri e dopo essere stato interrogato dal generale Francesco Delfino, e avere iniziato la collaborazione con lo Stato, il I 5 gennaio fu riportato a Palermo. Il suo intervento e la sua testimonianza sono stati determinanti per la cattura di Totò Riina, il Padrino di Cosa Nostra. Nel corso del suo pentimento Di Maggio raccontò ai magistrati l'episodio ritenuto centrale nel processo contro Giulio Andreotti. Di Maggio rivelò infatti di aver visto il senatore baciare il capo di Cosa Nostra. Totò Rima. Nell'ottobre del '97, mentre era sotto protezione, è stato arrestato su ordine dei magistrati perché accusato di aver ordinato omicidi ed attentati a San Giuseppe Jato. «Ho sentito il dovere di scendere in Sicilia e sparare a un boss vicino a Brusca. Il mio ruolo? Se non avessi parlato ci sarebbero stati attentati contro i magistrati» All'epoca dei blitz segreti e sanguinari a San Giuseppe Jato alloggiava alla scuola allievi carabinieri di Roma. «Ho collaborato con lo Stato e fatto arrestare i Padrini» Asinistra Toto Rima, accanto Giovanni Brusca Le rivelazioni di Di Maggio hanno contribuito a smantellare i loro clan mafiosi ma i giudici hanno ugualmente condannato l'anziano pentito