«Politici, imparate da Spadolini»
«Politici, imparate da Spadolini» «Politici, imparate da Spadolini» Montanelli: era un modello di pulizia morale dall'inviato a MILANO «Caro Presidente, mi perdoni se ora dovrà ascoltare l'elogio di un fiorentino...». Seduto in prima fila, il livornese Carlo Azeglio Ciampi scoppia a ridere, insieme con i mille dell'aula magna della Bocconi (e con i politici sul palco, tra cui Luciano Violante, Piero Fassino, Guido Folloni). Tutti ad ascoltare Indro Montanelli che ricorda Giovanni Spadolini. Un ritratto lieve dopo le parole solenni di Mario Monti e del consigliere delegato Luigi Guatri, un ricordo venato di rimpianto e ironia, in un continuo gioco di ammiccamenti con un Ciampi silenzioso e sorridente. «Spadolini - attacca Montanelli non era amato dai colleghi giornalisti. Anche perché a 32, 33 anni era già direttore, al Resto del Carlino, e Missiroli lo raccomandava come suo successore al Corriere della Sera. Un appoggio non disinteressato: su quella poltrona si arrivava almeno da cinquantenni; quindi Missiroli guadagnava un bel po' di tempo. E Spadolini direttore del Corriere lo diventò, anche se non fu il successore di Missiroli, visto che in mezzo venne la direzione Russo. Fu un bravo direttore? Sì, ma con un limite: gli interessava solo la politica interna, lo giravo il mondo, tornavo magari dall'Indocina e lui non mi faceva una sola domanda; badava soprattutto alle cose romane. Si intuiva che avrebbe fatto il gran salto nella politica. Accadde quando lo chiamò La Malfa. Da allora devo a Spadolini quel poco di fiducia che ho nella politica. Ma lei, Presidente, non mi dia retta». Ciampi sorride. Più tardi definirà la mattinata alla Bocconi «qualcosa in più di un ricordo, un momento straordinario». Per ora si gode la vena di Montanelli. «Spadolini era una delle persone più divertenti che abbia mai incontrato. Non gli importava che parlassero male di lui; purché ne parlassero. Cosi collezionava anche gli articoli di Fortebraccio, che impugnava una frusta che lasciava il segno, e le vignette più sguaiate. Io le trovavo sgarbate, e lo dicevo all'autore. Ma a lui, a Giovan¬ ni, non dispiacevano». Nelle ultime file si perde qualche parola, la statura di Montanelli lo allontana troppo dal microfono fisso, una ragazza gliene porge un altro, e lui prontissimo scherza con la platea: «Tranquilli, non è che vi perdete molto...». Poi riprende: «La forza di Spadolini era voler essere all'altezza dell'idea che aveva di sé; e non era un'idea modesta. Viveva nel famedio dell'Italia risorgimentale e liberale. Così un giorno gli chiesi: Tu che frequenti i grandi del passato, e costringi noi a frequentarli un po' troppo (io potevo permettermi di dirgli queste cose), chi tra loro li sarebbe piaciuto essere?". Rispose, a sorpresa: "Depretis. Lo so, Indro, tu li attendevi che io citassi Cavour, Giolitti, o magari De Gasperi. Ma all'Italia un Giolitti va largo". Così disse Spadolini. Ma lei, Presidente, non deve crederci». 1 mille applaudono, la signora Franca sorride, Ciampi le rivolge divertito uno sguardo d'intesa, Montanelli chinile con parole che accendono tre minuti di battimani ritmati: «Spadolini amava la politica, quindi amava il potere. Ma non il potere fine a se stesso; il potere come strumento. Era un modello di indizia morale e altezza intellettuale. Magari ce ne fossero ancora tanti», lai. ca.|
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