Donne, la prima volta in divisa
Donne, la prima volta in divisa LE SOLDATESSE DAVANTI A CIAMPI TRA SENSO DELLA DISCIPLINA ED EMOZIONE Donne, la prima volta in divisa «E' nostro dovere difendere la nazione» reportage Marco Accorsato invialo a PINEROLO PER unni siamo state ma dri, mogli, fidanzate di uomini che hanno sacrificalo la vita per la l'ulna. Ora i tempi sono cambiati: oggi è nostro dovere e nostro diritto contribuire dirottamente a difendere la Nazione». Battono il passo in tuta mimetica, le donne soldato, di fronte al Capo supremo delle Fòrze Annate, Carlo Azeglio Ciampi. Alta la testa, dritta la schiena, sono diciotto, ma di fronte ai Presidente della Repubblica rapili esentano ideal mente il desiderio di oltre duemila ragazze dell'Associazione Nazionali; Aspiranti Donne Soldato che sarebbero pronte a giurar fedeltà oggi stesso. «Perché noi • dicono incarniamo meglio di qualsiasi uomo quei valori appena citati dal presidente dell'Arma di Cavalleria, il colonnello Carlo Cadorna: disciplina, senso del dovere, coraggio, lealtà e umanità». Sfilano in parata con l'incertezza e lo scoordinamento inevitabile di chi ha imparato soltanto poche ore prima, por l'occasione, a stare in riga fra i plotoni. Ma eccetto questo - non si fanno coinvolgere troppo dall'emozione; come s'addice a un vero militare. Disciplina, innanzitutto. Soltanto una di loro, la più minuta e pallida, arrossisce quando il presidente Ciampi attraversa piazza Vittorio Veneto salutato dall'attenti e dall'inno di Mameli, e lei, unica fra tante, in seconda fila, porta la mano alla fronte per un saluto che non deve fare. Non chiamatela esaltazione. Non chiamatelo più «sesso debole». «La nostra è una scelta di vita, consapevole e ragionata», sostiene Debora Corbi, 31 anni, di Roma, giornalista pubblicista e ispiratrice dell'Associazione delle aspiranti soldatesse. A pochi giorni dall'approvazione della legge che apre alle donne la carriera militare, dice: «Girando l'Italia con l'Esercito, sia lo scorso anno, sia quest'estate, mi sono resa conto che sono moltissime le ragazze attaccate ai valori in cui anche noi crediamo». Non è la prima volta che ragazze in divisa d'ordinanza partecipano a raduni e feste di associazioni d'Arma. Ma oggi è un'occasione straordinaria. Molle di loro sono poco più che adolescenti, altre hanno trent'anni e oltre, ma non conta la carta d'identità, conta la motivazione. Ed è esattamente la stessa che le accomuna a quellu di altre donne soldato, in parala poco dietro: le crocerossine del Primo Contro Mobilitazione Piemonte. Altra missione, altre uniformi, stesso spirito di amor patrio. Soldatesse per la vita. La definiscono, semplicemente, vocazione. «Mu non è stato facile farlo capire ai miei genitori ammette Simona Gigante, 28 anni, di Salerno, laureanda in Economia e Commercio -. Con la mentalità meridionale che hanno sono sbiancati di fronte all'idea di una figlia in divisa. Mi hanno fortemente osteggiata, ma adesso ho capito che mio padre è fiero di me perché sa quanto tutto questo sia profondo». Non importa se imbracciando un fucile o soccorrendo un ferito. Se dicendo «Signorsì» o guidando un'ambulanza. L'impulso che spinge queste donne verso l'Esercito, volontarie o meno, «ò sentirsi utili al nostro Paese», come spiega Flavia Gecchelin, 23 anni, di Milano, che insieme alla Caritas ha vissuto giorni d'inferno e di servizio nell'Umbria terremotata. Ma attenzione: «Sull'onda dell'entusiasmo si possono commettere errori enormi, fare scelte che ti rovineranno per sempre». Ne sono consapevoli: «Perciò, alle donne che vogliono entrare nell'Esercito, diciamo: pensateci bene». Come ha fatto Simona, che adesso, per la «naja» e le stellette, ò «disposta a rinunciare a un fidanzato, a un marito, ai figli. Non si può servire ogni giorno la Patria col pensiero di una fumiglia che ti aspetta a casa». Farà discutere l'idea di una camera militare al femminile. Debora Corbi e le duemila compagne sono pronte alla sfida: «Fino ad ora, d'altra parte, non abbiamo mai avuto un grosso appoggio né economico, né politico. Conquistare una legge è stala una battaglia che abbiamo combattuto e vinto sole». No, nessuna rivalità fra crocerossine e soldatesse in mimeti¬ ca. Piera Rebaudengo Beretta, comandante del plotone delle crocerossine, lo dice chiaramente: «Fare il militare non significa avere voglia di ammazzare qualcuno. L'ideale è quello della difesa, i modi per concretizzarlo sono molti. Quando la Patria ha bisogno di forze non conta se si utilizza il fucile o si allestisce un ospedale da campo...». Marciano uno di fronte all'altro, i plotoni delle donne. Tradizione e futuro dell'Esercito.
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