L'EUROPA UCCIDE I BRUTTI RICORDI di Barbara Spinelli

L'EUROPA UCCIDE I BRUTTI RICORDI L'EUROPA UCCIDE I BRUTTI RICORDI Barbara Spinelli cipazione dell'Europa svenduta ti Stalin. L'eterna anormalità tedesca garantiva uno status quo che nell'89 fu difeso dal romanziere senza rispetto ilei popoli sequestrati, senza coscienza dei disastri comunisti, con lo sguardo fisso sull'esperienza unica, incomparabile, narcisista, dell'orrore germanico e del Secolo Tedesco. Status quo che si e infranto, travolgendo Grass assieme ai suoi compagni di fede e mettendoli eli fronte a una nuova, prorompente voglia di ritorno alla normalità democratica. Questo è il vero paesaggio che abbiamo di fronte in questo 'fine secolo, e non le paralisi nazionali ed europèe sognate negli Anni 60 e 70, che il romanziere simboleggia. Di fronte agli occhi non abbiamo un paesaggio ben delimitato ila tabù ma piuttosto una tendenza diffusa a farli cadere e gettarli via, senza più complessi: gioiosamente, provocatoriamente, con slancio neoromantico e neonichilista. Non ha pudore né rispetto di tabù Jùrg Haider in Austria, che catalizza quella che Carlo Bastasin ha chiamato giustamente - nella sua bella inchiesta su «Im Stampa» - la rivolta dei soddisfatti, degli annoiati, degli stanchi di democrazia, di partitocrazia. Nel cuore d'Europa, nell'Austria che non ha mai lavorato sulla propria memoria e sul proprio passato, che si è sempre sentita vittima della storia e del nazismo tedesco, il pensiero nazional-socialista viene riabilitato, alla vigilia delle elezioni legislative di questa domenica. Haider esalta la politica del lavoro attuata da Hitler, parla della repubblica del dopoguerra come di un «aborto», promette di cacciare gli immigrati, chiede classi separate per gli srudenti non austriaci. Non ha remore, perché il suo successo consiste precisamente nell'abolizione dei tabù, nello svincolamento delle coscienze. Non è costretto a fare i conti con i morsi della coscienza e con le resistenze dell'opinione democratica - come accade in Germania ai pensatori neonichilisti perché l'Austria ha perso l'impero e poi l'onore, fra la prima e la seconda guerra, ma senza consapevolezza delle proprie responsabilità. E' divenuta una nazione più provinciale, retrattile: salvata dall'amnesia, e da un misto sapiente di furbizia, rimozione, e pusillanimità. Non a caso è stato detto, della nazione che fondò un grandioso impero e diede però anche i natali al Fiihrer: «l'Austria è una nazione assai furba, perché è riuscita a far credere che Hitler fosse tedesco e Beethoven austriaco». Ma l'ansia di abbattere tabù in nome della normalità non è solo austriaca. A Vienna essa si esprime ancora una volta in un leader politico di successo , ma altrove assume le forme di una controffensiva mentale, ideologica. E' il caso del filosofo Sloterdijk, che proprio in Germania abbatte il tabù più scabroso della nazione: il tabù che impediva di parlare di Allevamento (Ziichtiiug) dell'uomo nuovo, di selezione genetica e di razza, di eugenetica e di miglioramento dell'evoluzione biologica. Viene riscoperto Nietzsche, e le sue idee sull'allevamento e l'avvento del Superuomo sono banalizzate, sbandierate più che spiegate. Rùdiger Safranski, autore di libri su Heidegger e sul Male, si indigna e ricorda i due volti eh Friedrich Nietzsche (quello intimo, «da musica da carne- ra», che esalta l'arte di padroneggiare e allevare se stessi; quello inserito invece nel «teatro del mondo», ben più pericoloso) ma gli abbattitori di tabù non sembrano aver tempo per fini distinzioni. Si è creato un vuoto, dopo il tracollo delle ideologie che promettevano l'Uomo Nuovo prodotto da ingegnerie sociali o politiche, e in questo vuoto Sloterdijk si è precipitato. Sono fallite le teorie umanistiche che ammansivano la bestialità degli individui, sono finite le fedi nel progresso sociale, sono decaduti maestri e sacerdoti, e in Occidente non restano secondo il filosofo che élite mediocri, attente solo alle volontà dei due nuovi padroni del pensiero: i media e il mercato mondializzato. Sicché le speranze utopistiche s'aggrappano tutte alla scienza: nuovo idolo che suscita fedi immense. Fedi solo apparentemente moderne, figlie dei Lumi. Proprio a causa dell'immensità della fede, Sloterdijk si rivela piuttosto ere- de del positivismo romantico, e di un nichilismo arcaicizzante che rifiuta lo spirito critico moderno. Che sogna rifugi in ventri materni manipolati geneticamente, e dunque sempre più rassicuranti, protettivi, immunizzanti. Così grande è il desiderio di immunità che il filosofo tedesco non esita a usare vocaboli provocatori, quando propone le'sue «regole per il parco-uomini», le sue idee sulla «politica dell'allevamento di uomini migliori», i suoi codici di «antropo-tecnica selettiva». Ma Sloterdijk fa di più. Annuncia il decesso delle Teorie Critiche e della Scuola di Francoforte, e contesta radicalmente non solo certe ingenuità di Habermas sulle virtù riparatrici del dialogo e dell*» azione comunicativa», ma una intera cultura tedesca - ed europea - condizionata dalla memoria del secolo. Decreta che i tempi del dopoguerra sono finiti, e che l'intellettuale moderno non può più esser frenato da assurdi vincoli del passato. Sloterdijk stesso si presenta come l'Uomo Nuovo, che incarnerà lo spirito della Repubblica di BerlinQ. Solo con lui si può fare quello che il premio a Grass sembrava promettere: scendere dal treno della storia, per entrare tanto più spudoratamente nel futuro. Combattere il panico che quest'ultimo procura, nelle varie nazioni d'Europa, uccidendo i brutti ricordi del passato. Rientrare nel tempo con i mortiferi vocaboli di Hitler, senza tema di esser contaminati. Ha ragione Carlo Bastasin, quando dice che un personaggio come Haider non è altro che fragore: che «principalmente è aria scossa». Ma anche Hitler non fu più di questo, in principio. Anche di lui lo scrittore Tucholsky diceva, prima del '33 : «Quest'uomo di per sé è inesistente. E' solo il clamore da lui suscitato, che esiste». «Der Mann ìst gar nicht da. Es ist nnr der Larm, den er verursatht».