Kamikaze per spegnere l'inferno di Pierangelo Sapegno

Kamikaze per spegnere l'inferno COME I MARTIRI DI CERNOBYL Kamikaze per spegnere l'inferno 7/ sacrificio di diciotto tecnici ha salvato la città la storia Pierangelo Sapegno IO so già la risposta. Mio marito Vassily era uno degli eroi di Cernobyl. Entrò dentro a spegnere l'incendio a mani nude. Ed è morto un mese dopo, in modo orribile: il suo corpo si ò decomposto, la sua pelle cascava,i suoi occhi sparivano. Negli ultimi giorni, nessuno ha più voluto stargli vicino. Neanche l'infermiera. I medici mi dicevano: vada via signora, scappi. Quello non è più suo marito: è solo una fonte di radioattività. E' un alieno. Quando è morto, non mi ricordo la sua bara. Mi ricordo solo una grande busta di plastica. Avevano paura anche del suo cadavere». Ludmila Ignatenko, 38 anni, da Cernobyl, Ucraina. Vedova di Vassily, vigile del fuoco. La morte invisibile. A Tokaimura, è successo tutto di nuovo come a Cernobyl. Ci sono voluti dei kamikaze per mettere fine alla guerra nucleare esplosa nell'impianto numero 4, alle 10 e 30 di giovedì mattina. E' un brutto mondo, quando c'è bisogno degli eroi. Ieri, un portavoce del governo ha annunciato che «grazie al sacrificio personale di 18 tecnici che sono entrati nell'edificio esponendosi a pericolosi livelli di radiazioni, si è riusciti ad arrestare il processo di fissione nucleare». I tecnici sono tutti dipendenti della Jco, la società privata che gestisce l'impianto. Prima di loro aveva¬ no rifiutato tutti: militari giapponesi, forze di polizia, vigili del fuoco, persino gli esperti dell'«Agenzia per la scienza e la tecnologia», anche gli americani. Alle dieci di giovedì sera, la situazione sembrava disperata. Masaru Hasbiinoto, governatore della prefettura di Ibaraki, aveva appena finito di spiegare che dentro l'impianto «continuavano reazioni incontrollate e pericolose». Due ore dopo, la Jco è riuscita a convincere 18 tecnici. Sono rimasti isolati dalle famiglie, senza contatti con il mondo esterno. Li hanno vestiti tutti con tute speciali, «ma che non consentono una protezione totale dalle radiazioni», come hanno ammesso in conferenza stampa gli uomini della Jco. «Anzi. E' quasi impossibile respingere i raggi gamma e i neutroni. Va un po' meglio per la protezione con i raggi alfa». I 18 uomini si sono divisi in 9 coppie: sono entrati nell'impianto dalle due e mezzo alle 6 del mattino, cercando di scaricare l'acqua di raffreddamento e iniettare sostanze chimiche che interrompessero la catena nucleare. Stavano dentro a turno, non più di tre minuti alla volta, già un tempo più che sufficiente per assorbire radiazioni oltre il livello di guardia. Uscivano e poi rientravano. Ce l'hanno fatta. «Ci hanno salvato», ha annunciato Masaru Hashimoto, senza tremori nella voce. E' strana la vita. C'è sempre qualcuno che muore per noi, che perde per noi. Molte volte non lo sappiamo nemmeno. A Cernobyl avevano mandato dentro 26 vigili del fuoco, a mani nudo. Gli avevano detto solo che dovevano spegnere un incendio, che quello era il loro lavoro. Avevano dei guanti che si sono bruciati sulle mani, avevano degli stracci bagnati per raccogliere la cenere radioattiva. Sono morti tutti come Vassily e ci hanno messo appena 30 giorni. 1 loro corpi prima sono diventati luminosi. Anche due tecnici giapponesi, ha raccontato un medico, «sono incredibilmente rossi, come se fossero stati bruciati dal sole di montagna». Vassily poi ha cominciato a perdere la pelle, che andava via a brani, e il corpo era come se si squagliasse. Ha raccontato Ludmila che «anche gli occhi sembravano morire, anche le dita delle mani, dei piedi». Il dottor Francesco Luca, radiologoradioterapista dell'ospedale San Camillo di Roma, ha spiegato che «il danno somatico uccide quando si arriva a una certa dose che supera le 800 unità di radiazioni assorbite. Vengono colpiti gli organi interni, cervello o intestino. Se invece le dosi sono minori, vengono danneggiati solo altri organi: la pelle, i polmoni, gli occhi, le mani fino alla necrosi delle estremità». Vassily e i suoi compagni sono stati divorati dalle radiazioni, colpiti in tutt'e due i modi, fuori e dentro di loro. Quando cominciarono a stare male, nessuno gli disse niente. Davvero, come dice Ludmila, «non avevano il coraggio di dirgli che li avevano uccisi»? A Tokaimura è diverso: li hanno mandati dentro e gli hanno detto: «Forse morirete». Probabilmente moriranno. Per Vassily e i suoi compagni, gli americani mandarono un équipe di medici, guidata da Robert Gale. Fecero a tutti il trapianto di midollo. Robert Gale, un mezzo sangue indiano, guardò negli occhi Ludmila e disse: «Tutto quello che posso fare, lo farò». Ludmilu era in cinta il giorno che mandarono Vassily dentro la bomba atomica di Cernobyl. Le disgrazie non vengono mai da sole. Era una bambina. Nacque morta. Tutto è morto a Cernobyl. «Li hanno sepolti lontano dal mot)do, in un cimitero di periieriu», dice Ludmila. «Li hanno messi dentro bare fatte di un metallo speciale, molto forte, molto sicuro. Poi li hanno sepolti sotto uno strato enorme di cemento. Per salvare gli altri, ha cancellato anche la sua memoria, il mio Vassily». Non sappiamo se è la stessa cisa che succederà ai 18 kamikaze di Tokaimura. E se a Tokaimura succederà quello che è successo a Cernobyl. Dopo mille giorni, gli animali che avevano pascolato su quei prati stavano impazzendo nei loro geni, mostrando corpi devastati, nascendo già a una vita deforme. I bambini avevano la tiroide ingrossata o affezioni al pancreas. 1 medici della regione pregavano le coppie di non dare alla luce i piccoli. I pastori sono morti con il cancro alla bocca. I maialini avevano la testa che sembrava quella di una rana e invece degli occhi delle cose mai viste, senza pupille, l'ioti" Kudin, medico veterinario, aveva raccontato di aver visto creature che credeva impossibili, senza testa, senza la cassa toracica, spesso senza ano e senza gambe. «Tutto questo», hanno detto in Giappone, «ci servirà». Ma a che cosa? I 18 eroi di Tokaimura si sono condannati a vedere la morte, e a non lasciare più niente davanti a loro e dietro di loro. Noi, invece, non ci siamo condannati a niente. Non abbiamo mai imparato niente dagli eroi. E neanche da quelli che sopravvivono, neanche da Ludmila. «Non ciò che hanno costruito, io voglio dimenticare. Ma ciò che hanno abbattuto. Non la casa. Ma gli spazi vuoti tra le case. Non le strade che non ci sono più. E' ciò che avevo dimenticato, quello che devo dimenticare, Perché hanno distrutto tutto. E io devo andare avanti dimenticando tutta la vita» Ludmila Ignatenko, una vedova di Cernobyl. Ucraina.

Persone citate: Francesco Luca, Ignatenko, Masaru Hasbiinoto, Masaru Hashimoto, Robert Gale

Luoghi citati: Giappone, Roma, Tokaimura, Ucraina