COME ERAVAMO CON CERNOBYL di Marco Neirotti

COME ERAVAMO CON CERNOBYL COME ERAVAMO CON CERNOBYL Marco Neirotti POI venne Cernobyl». Titolo e pagine di un racconto di Fulvio Tomizza portano tutto il senso di spaccatura piscologica che discese dal disastro di line aprilo '86 in quella che allora era l'Unione Sovietica. Fine aprile, genericamente, perché i quotidiani italiani del martedì mattina (29 aprile) parlavano di un'esplosione tra il venerdì e la domenica precedente. E il silenzio, la cortina di informazioni nebulose furono l'altra danno delia sciagura. Fu una sorta di prima verifica sul campo del nucleare e dei suoi pericoli, cavallo di battaglia degli ambientalisti e anche di politici che ad altre sorti avevano legato i loro interessi. I titoli dei giornali: «L'America tenie duemila morti», «Li nube radioattiva sulla Polonia», «Allarme in tv: non bevete latte», «Svezia e Danimarca accusano l'Urss: dovevano avvertirci subito». Se il silenzio sovietico fu la prima, irosa e dolente protesta, il resto fu subito allarme, più o meno scientifico e più o meno razionale. Li solidarietà verso le persone colpite intorno alla centrale scivolava inesorabile verso una domanda: «E noi?». In quel limbo costituito da una nube di comunicazioni ufficiali rasserenanti e informazioni ufficiose terrorizzanti, sì intrecciavano attenzione razionale e disordinale ansie. Proprio sulla «Slampa», con tono pacato, Tullio Regge spiegava perche capita un incidente del genere, e il titolo diceva: «Impianto vecchio e insicuro». Il professor Carlo Rubbia, Nobel per la Fisica, parlava al Tgl di una radioattività pari a quella di Hiroshima e riteneva che «materiale radioattivo si fosse quasi sicuramente disperso nell'atmosfera». Radioattivo, atmosfera, piogge. Li stava il panico. Da Kiev venivano evacuati i turisti finlandesi. E raccontavano esplosioni. Lì fu la strage degli orti. No al latte, ma anche no all'insalata verde, no alla frutta, a tutte le verdure. C'era chi distruggeva l'orto senza chiedere, chi salvava qualcosa. C'era chi consigliava al governo progetti alimentari per i tombini, con soluzioni «dietetiche» di serra non contaminabili: insalate da 2.000 lire costavano 9.000. Giornali come «Nuova ecologia» fecero i conti a distanza di mesi con il grande allarme e con ciò che stava avvenendo. Controllarono il cesio presente negli alimenti, controllarono carne, funghi, grano, crusca, pesce. Intanto i bay scout ospitavano in Piemonte o in Abruzzo i bambini di Cemobyl, che arrivavano con raccomandazioni ineccepibili e altre fuori da ogni logica: «Non vedano mai la tv, potrebbe essere fatale». Poi le strade si sono divise. La solidarietà per il suo sentiero, i rapporti politici per i suoi tornanti, l'ecologia per le sue esplorazioni, l'emotività per le sue nebbie. Salvo, quest'ultima essere risvegliata, appena un anno dopo il disastro, da un referendum, che andava in tandem con quello sulla giustizia e la responsabilità dei giudici. Una pioggia di «sb all'abrogazione per tutto quello che concerne il nucleare: localizzazione delle centrali, contributi ai Comuni, Enel all'estero. Un coro di «sì» (che nei referendum significano no). Era venuta e passata Cernobyl.

Persone citate: Carlo Rubbia, Fulvio Tomizza, Tullio Regge

Luoghi citati: Abruzzo, America, Danimarca, Hiroshima, Kiev, Piemonte, Polonia, Svezia, Unione Sovietica, Urss