L'oscura maledizione di Hiroshima

L'oscura maledizione di Hiroshima L'ARCIPELAGO DELLE 54'CENTRALI L'oscura maledizione di Hiroshima Un flirt con l'atomo nel Paese vittima della Bomba retroscena Fernando Mazzetti PESA sull'arcipelago la maledizione di Hiroshima, che nell'oltre mezzo secolo trascorso il Paese ha sfidato e continua a sfidare. Malgrado sia stato l'unico a subire l'arnia dell'apocalisse per ben due volte - Nagasaki dopo Hiroshima- il Giappone ò tra i Paesi più nuclearizzati, avendo imboccato senza esitazione la strada dell'energia atomica per il proprio l'abbisogno energetico. Una scelta economica e tecnologica con un substrato nazionalistico, ma anche un oscuro senso di lotta verso la sindrome atomica che allunga la sua ombra sulla coscienza collettiva da quell'agosto 1945. Quasi un'opera di auto-esorcizzazione segnata da incidenti che altrove avrebbero già causato l'abbando¬ no di ogni programma in tal senso. Il Giappone è al terzo posto nel mondo per centrali nucleari, avendone in funzione 54, contro le 59 della Francia e le 107 degli Stati Uniti. Ma in termini economici ò secondo solo all'America, e il suo prodotto interno lordo supera di più volle quello della Erancia. A parte le centrali, ha altri impianti legati al nucleare per il trattamento di scorie e di MOX, composti ossidati di combustibile atomico esausto, che potrebbero essere usati per armamenti, non solo per scopi energetici. In questi campi è difficile escludere il «doppio uso», e il Giappone è da anni la destinazione di carichi di questi materiali da Erancia e Inghilterra: trasferimenti per nave e sotto scorta, su lunghe rotte tenute segrete sia per motivi di sicurezza, sia per evitare proteste dei Paesi costieri nel lungo tragitto per mari e oceani. Il paese che, unico nella storia, è stato bruciato dal fungo radioattivo, continua ad avvicinarsi ad esso come per un torbido esorcismo. L'attivismo del governo dopo l'incidente, con la rivelazione della gravità e l'impegno a circoscriverlo, indica volontà di rassicurare il Paese e continuare sulla strada del nucleare II premier Obuchi vuol mostrare sicurezza e padronanza della situazione, in contrasto con l'inerzia dell'allori» premier socialista Murayama davanti al terremoto di Kobe, nel '94. Privo di materie prime e fortemente dipendente dal petrolio, il Giappone soffrì più di altri della crisi petrolifera del 1973, quando per la causa arabo-palestinese l'Opec tagliò i rifornimenti ai Paesi industrializzati. Fu uno choc che lasciò il segno, e mentre si rafforzava il programma di centrali nucleari, l'intera nazio¬ ne si mobilitò per ridurre la dipendenza dal greggio, con la conversione di impianti e industrie. Il petrolio conta oggi per poco più del 50% nel fabbisogno energetico. Nella siderurgia contava nel '73 per il 26%, ma nel '90 era sceso all'8%. Nove anni fa le centrali nucleari erano già 35, salite oggi a 54. Esse forniscono oltre il 30% del fabbisogno industriale di energia. L'abbandono di settori ad alto consumo energetico e lo sviluppo di quelli ad alto valore aggiunto, insieme col rinnovo di impianti e lo sviluppo del nucleare, hanno fatto sì che oggi l'importazione di fonti energetiche costituisce appena 1' 1% del prodotto interno lordo. Energia nucleare quale sicurezza economica nazionale, come la coltivazione del riso - a costi sette volte superiori a quello del mercato internazionale quale politica di sicurezza alimentare nazionale. L'incidente di ieri è solo l'ultimo di una serie. Nel febbraio '91, nella centrale di Mihama, lo scoppio dei tubi dell'acqua di raffreddamento provoca l'entrata in funzione del sistema di sicurezza e la fuoriuscita in mare di 20 tonnellate d'acqua con alti tassi di radioattività. Se non fosse scattato il sistema d'emergenza, l'incidente sarebbe stato più grave di quello di Three Miles Isìand del '79 negli Stati Uniti, dove si ebbero fughe di radiazioni che portarono all'evacuazione di 140' mila persone. Il governo esalta il funzionamento dei sistemi di sicurezza per anda¬ re avanti con le centrali. L'8 dicembre del '95, a Monju, avviene una massiccia perdita di refrigerante in un reattore autofertilizzante; non si hanno radiazioni esterne, ma da allora l'impianto ò chiuso. Due giorni dopo si scopre nella stessa località una perdita di tre tonnellate di sodio liquido refrigerante, indice di un serio incidente. Nel marzo 1997, incendio nell'impianto per il trattamento di scorie nuceari a Tokaimura, la stessa località dell'incidente di ieri. Trentasette tecnici sono investiti da radiazioni. L'impianto, che riprocessa il 12% del combustibile nucleare esausto in Giappone, è chiuso da allora. Nello stesso mese, nella stessa località, l'impianto per la produzione di uranio combustibile viene chiuso per allarmi secondo i quali era stata raggiunta la massa critica, cioè la soglia della reazione nucleare. Falso allarme, ma angoscia vera. Nell'aprile '97, incidente a Fugen in un reattore termico, con perdita di trizio, undici tecnici esposti a radiazioni di basso livello, impianto chiuso. La sfida alla proprie oscure paure, alla sindrome di quell'agosto di mezzo secolo fa, non si fermerà per questo.

Persone citate: Fernando Mazzetti, Obuchi, Three Miles Isìand