Vivere e scrivere, i mestieri di Meneghello di Lorenzo Mondo

Vivere e scrivere, i mestieri di Meneghello Vivere e scrivere, i mestieri di Meneghello RECENSIONE ' Lorenzo Mondo LUIGI Meneghello dà alle stampe il primo di tre tomi intitolati parsimoniosamente «Le Carte», in cui si raccolgono aforismi, spunti di natura morale e letteraria, ritrattini, abbozzi di racconti, bizzarrie. Potrebbe anche essere definito in senso lato un diario, e il pensiero corre per la natura dei materiali al «Mestiere di vivere» di Pavese: un autore che viene spesso citato ma soprattutto contestato. Meneghello non apprezza la sua effusione sentimentale, l'estetismo decadentistico e, magari sopravvalutandolo, il suo engagement. E' piuttosto significativo che cominci a stendere le sue note dal 1963 (e nel presente volume si arriva fino al 1969), l'anno in cui pubblica «Libera nos a Malo» e sta lavorando ai «Piccoli maestri»: i due libri fondamentali che lo persuadono forse, con la loro riuscita, a riflettere intensamente sul «mestiere di scrivere». Per chi ama Meneghello, «Le Carte» sono-un invito a nozze. A parte qualche criptico indugio ad uso personale dell'autore, c'è da perdersi infatti in questa esuberanza di appunti dove il Veneto profondo di tutti i suoi rifiuti e affezioni convive con RECEN' LorMo IONE zo do la lenta acclimatazione (e presa di distanza) nel mondo universitario di Reading. Ad apertura di pagina riconosciamo il dono di una straordinaria prensilità, sensuosa e vorrei dire tattile oltreché linguistica, incalzata dalla sferza ai una passionata ironia. Ma proviamo a cercare un bandolo nella descrizione della valle del Tamigi, «il vento bagnato, gli autunni a decorso quasi infinito, che poi coiscono debolmente con gli inverni e a suo tempo infantano primavere malaticce, febbricitanti: finché in «LE CARTE» DELL'AUTORE DI AFORISMI, SPUNTI DI NATURRITRATTIMI, ABBOZZI DI RACCfiugno esplode il solfo estivo, Inghilterra s'infrasca, ed è tempo di venire in Italia». Per il professor Meneghello il rapporto con l'Italia non si interrompe mai, e non solo per il richiamo delle vacanze estive. Ne è partito da vent'anni, si è fatto esule, per «ritornarci moderno», per depurarsi da quella che gli sembra la «camorra» cattolica e marxista, per imporsi un bagno di concretezza, di nuova scienza, fuori dalle suggestioni del «Politecnico» vittoriniano e dalla prevaricazione delle Madonne pellegri- ne. Gli erano di viatico «l'intelligenza di La Malfa, il "wit" di Lussu, il "grit" di Salvemini, e una manciata di altre virtù, oltre s'intende al divino "onto de gumio" della gente, in primis le donne di servizio». Gielle e il Partito d'Azione, la miscela ardita di elitarismo e popolarismo che lo aveva spinto alla lotta partigiana con la grande illusione di un riscatto definitivo. E' lo stesso spirito, la stessa vergogna che lo hanno spinto a emigrare in Inghilterra, a surrogare con lo studio la dimostrata inadeguatezza delle armi. Ma l'esperienza giovanile brucia ancora, sente di avere dato allora il meglio di sé. Non «LIBERA NOS A MALO»: MORALE E LETTERARIA. ONTI, BIZZARRIE a caso ritorna insistente in queste pagine come un segreto filo conduttore, nella difesa puntigliosa del romanzo «I piccoli maestri». Più avanti confesserà l'ingenuità dei suoi propositi, la sottovalutazione stessa del comunismo: per esempio, «un vero amico del comunismo dovrebbe dichiarare in pubblico che le opere murarie della de de er (oltre al nome goffamente servile) fanno schifo! E non dovrebbe aspettare che gli ammazzino per errore un compagno...». Avvertirà con malinconia che l'Ita¬ lia in parte non era salvabile e in parte «si sarebbe arrangiata da sé» (così in «Bau-sète!»). Ma conta, non è smentibile, la gioia e l'orgoglio del gesto, il rifiuto della retorica come vizio nazionale, la strenua ricerca di verità: esistenziale, politica e letteraria. Si apre qui il capitolo avvincente sullo stile, che dalla vita trapassa in scrittura, conservandone la passione e l'impulso morale («Limo il roco per arrochirlo», non per addolcirlo). Si afferma, contro la scorrevolezza pretesa dal lettore inesperto, il concetto di una «energia vitale, sorella della gioia», frutto di un istinto che nei grandi libri prevale sempre sull'intelligenza. E' quello che sembra affiorare in un breve testa a testa dell'autore con Fenoglio, in un confronto arduo e visionario durante una ipotetica parentesi della guerra partigiana. Ma non vanno sottovalutati nel libro-scartafaccio i progetti e le prove di raccónto. Le figurine risentite di contadini e, preti*.di donne madornali e linfatiche. Ma anche qualche storia compiuta, amabile tra tutte quella drammatica e comica di come Meneghello giunse all'imbarazzante adozione di un piccolo orfano. Si ha l'impressione, davanti a queste pagine, più che di una ritrosia perfezionistica, di una insolente dissipazione: appena risarcita da un ripensamento narcisistico che ha portato Meneghello alla pubblicazione di queste voluminose «Carte» pensate originariamente come postume. Fra elitarismo e popolarismo, fra l'Italia e il Tamigi «Esule» a Londra per depurarsi della «camorra» cattolica e marxista, un bagno di nuova scienza «LE CARTE» DELL'AUTORE DI «LIBERA NOS A MALO»: AFORISMI, SPUNTI DI NATURA MORALE E LETTERARIA. RITRATTIMI, ABBOZZI DI RACCONTI, BIZZARRIE Nella valle del Tamigi, il fiume londinese, gli autunni - racconta Luigi Meneghello - «hanno un decorso quasi infinito, poi coiscono debolmente con gli inverni» Luigi Meneghello Le carte Rizzoli, pp. 575, L. 34.000 DIARIO

Luoghi citati: Inghilterra, Italia, Londra, Malo, Veneto