Sulle colline, a vendemmiare il Duemila di Lorenzo Mondo

Sulle colline, a vendemmiare il Duemila LUNGO I FILARI DELLE LANCHE LE TRACCE DI ANNATA OTTIMA Sulle colline, a vendemmiare il Duemila // vino che verrà, tra nuovi riti e vecchie polemiche reportage Lorenzo Mondo EM tempo di vendemmia e ■* viene in mente che da questi mosti si produrrà il vino del Duemila, l'ultimo del millennio: è una circostanza che merita di essere segnalata e celebrata, sia pure nel modo più semplice e congeniale, con un brindisi tra amici. Cosi, ho l'atto un giro ad ad Alba e nel suo entroterra ed ho avvertito acutamente, con l'occasione, che da tanti anni non mettevo piede in una vigna..La vendemmia è stato il pretesto per riparare, per inseguire e confrontare ricordi. Sapevo che molte cose, in pochi decenni, sono cambiate, negli uomini e nel paesaggio. Dall'alto, dalla terrazza del castello di Barolo, sembrano immutati la geometria dei filari, il rigoglio delle viti che qui continuano a espandersi nonostante il freno e l'intralcio delle norme europee. Ma, entrandoci, colpiscono gli spazi, i camminamenti. Una volta, di uno di questi filari se ne facevano due e in mezzo si piantavano ancora ortaglie, insieme agli straordinari, ormai metici peschi di vigna. Sono spariti i truogoli, le cisterne! cilindriche del verderame; sopravvive appena qualche casotto, forse per bellezza, non per riporvi gli attrezzi. E' lo sciupio sagace delle leggi economiche, delle nuove tecniche di produzione. Bisogna lasciare più luce ai grappoli e piti comodità ai trattori, 'l'i smemori a cercare l'impronta di uno zoccolo sulla terra argillosa e trovi le graffiature dei cingoli millepiedi. I buoi bianchi - per i contadini più agiati era il cavallo - sono fantasmi sconosciuti alle nuove generazioni, piti remoti di quelli che abitano nel buio delle caverne preistoriche. 1 totem della memoria. Eccolo il trattore, ò rosseggiante, ha il colore che vivacizzerà tra poco le foglie cotte dal cambio di stagione. Trasporta le cassette di plastica colme di uva fino al carro in cui saranno rovesciale. Cerchi inutilmente i «brentatori» che scendevano, aggrappati alle cinghie, ansanti e lucidi di sudore lino alla navazza che aspettava, come un'arca arenata, sul ripiano della collina. Li ha sostituiti un solo giovanotto al comando del trattore, ò ben messo, con la coda di cavallo, non finirà sfiancalo e slorto anzitempo come il nonno. I grappoli che accudisce sono graniti e compatti. Qui siamo ai bianchi, che hanno preso sul verde cupo una doratura di miele. Sono i primi ad essere raccolti, insieme ai dolcetti e ai barbera. Gli ultimi giorni di sole ne hanno accelerato la maturazione. Poi toccherà ai nebbioli, che pretendono attenzione solo per sé. Da La Morra a Barolo a Barbaresco... Ma si vendemmia di gran lena. Su questa collina sono impegnti una trentina di lavoranti, uomini e donne, per lo più giovani, qualche pensionato. Prendono il grappolo nel palino della mano e tagliano il gambo. Delle vendemmie di una volta è rimasta questa elementare manualità, l'uso dei forbicioni. Esistono macchine vendemmia triti ma sono malagevoli per questi bricchi e, almeno per ora, è pericoloso affidargli le uve nobili. Non hanno ocelli e garbo per rimuovere gli acini secchi, le muffe, e i grappoletti tardivi lasciarli agli uccelli o a qualcuno che vada a «sgrappolarli» (come si chiama lo spigolatoti di uve?) quando si offrono, aciduli, ai primi freddi. E' per questo che i pochi salariati magrebini, anche se volonterosi, vanno sorvegliati: c'è ima cultura della vita della vite inscritta nei geni, che manca ai refrattari seguaci dell'Islam. Il lavoro, così chinati, è faticoso e si parlotta: si raccontano immagino come sempre - storie di famiglie e di paese, si socializza. Ma perché i vignaioli non cantano più? Un tempo la vendemmia era annunciata, oltre che dai fazzoletti colorati delle donne, dai canti che si rispondevano da collina a collina. Testimonianze di un folclore remoto, lamenti di bravi soldati che vegliano pensando alla morosa e alla casa lontana, di partigiani che devono andare e andare, mentre fischia il vento é soffia la bufera. Marcello Coretto, che mi ha accompagnato tra i crus dell'arneis, allarga le braccia. La raccolta e il trasporto delle uve sono più veloci, tutto diventa di necessità più funziona¬ le e asettico: non c'è bisogno di confortare con il canto le interminabili giornate. Come non si fanno più i pranzi ruvidi ma sostanziosi tra i filari, quasi una festa anticipata per la stagione che ha virato bene. Bartolo Mascarello ha una sua idea. Questa gente vive per lo più in città, non nelle cascine, ha preso una diversa patinatura. Se i padroncini girano il mondo, vanno a vedere come cresce il vino in Sud Africa o in California, i lavoranti guardano la televisione e si vergognano delle vecchie canzoni. Certo, la fatica adesso è più sopportabile, la coltivazioni! più redditizia. Sono molti che si arricchiscono con qualche ettaro di vigneto, i prezzi dei terreni in pochi anni sono decuplicati. E non è vero che siano sopravvissuti solo quei forbicioni, magari declinanti. E' rimasta, hi questa terra benedetta, la qualità dell'uva e, per chi sa avvantaggiarsene, la particolare esposizione al solatio, l'influsso dei venti e delle rugiade. Un'arte che la convenienzalia portato semmai a raffinare. E' dura misurarsi con questi vini, anche se prodotti alla svelta e senza campi. Lo riconosce anche Mascarello. Bartolo è la coscienza critica di questi paesi: immobile sulle gambe malate, si sente l'ultimo dei Mohicani. Apprezza i vantaggi del progresso, la cancellazione della vita grama, della malora che affliggeva i suoi paesi. Mette però in guardia dalla voglia di «subiti guadagni», da una dismisura che potrebbe rivelarsi alla fine dannosa. Senza sterili passatismi, difende le tradizioni quando siano parte integrante, specifica di una cultura. Se la prende così con i capannoni che deturpano il profilo di queste colline doc, con uno scavo proditorio delle ruspe. Mentre la Regione, i sindaci, ì produttori si trincerano tutt'al più dietro convegni dilatori. Sente come una offesa personale l'idea della Coca Cola di impiantare uno stabilimento a Candii, nel cuore del moscato. Insorge contro la burocrazia, contro l'ispettorato che, nel giusto proposito di colpire il lavoro nero, non sa distinguere gli amici e i parenti che vengono a dare liberamente una mano, come una volta, come per la trebbiatura e la spannocchiatura della meliga. Lo sorprendo mentre disegna una etichetta delle sue bottiglie - è un modo di «stare» ancora sulle vigne - con un inedito motto: «Il ne faut pas faire des barriques mais des barricades». Sotto, la firma apocrifa di Robespierre. Sono le sue miti barricate contro un modo di invecchiamento rapido, contro un effluvio di legni fumosi o aromatici che arriva dalla Francia e dalla California. Ma il barolo e il barbaresco non hanno bisogno di cedere alle mode, devono essere apprezzati per il loro inconfondibile sapore. E' ancora Ccretto a rammentare che questi vitigni non sopportano altri climi come i più accomodanti pinot, inerlot e cabernet. Se trapiantati, dirazzano. Quest'anno, come promettono le colline in gloria, il vino sarà abbondante e, rara combinazione, di ottima qualità. Cerotto guarda le gocce stente, svogliate che cadono sul parabrezza dell'automobile. Non danno neanche fastidio alle foglie. Si sale all'azienda, a vedere il mosto del dolcetto che già schiuma e profuma nei mastelli. Almeno la pronta beva, per il Duemila, è assicurata. Sparite le cisterne del verderame, ibrentatori sfrattati da un solo uomo che guida il trattore nessuno più canta durante il lavoro. Sono rimasti soltanto iforbicioni Ma il patriarca di Barolo alza le barricate contro il metodo di invecchiamento rapido e contro quelle voglie di guadagni immediati che potrebbero rivelarsi un boomerang

Persone citate: Bartolo Mascarello, Mascarello

Luoghi citati: Alba, Barbaresco, Barolo, California, Francia, La Morra, Sud Africa