« Il loro ruolo è insostituibile » di Marco Accossato

« Il loro ruolo è insostituibile » « Il loro ruolo è insostituibile » Caselli: possono spiegare i segreti mafiosi Marco Accossato TORINO «.In| .molti, processi di, mafia i( collaboratori di giustizia rivestono un'importanza speciale, perché si tratta di organizzazioni segrete, e solo chi è stato mafioso può conoscere o spiegare questi segreti». Giancarlo Caselli, ex procuratore di Palermo e attuale direttore generale degli Istituti di Pena, dice no alla fine della «pentitocrazia». Ospite ieri a Nichelino, al convegno «Sette anni dopo Mani Pulite, il vizio della memoria», interviene sulle polemiche legate all'assoluzione del senatore Andreotti per difendere l'operato della magistratura e sostenere il ruolo spesso fondamentale dei pentiti: «Le loro dichiarazioni sono da esaminare e sviluppare con diffidenza tecnica sistematica, e soltanto dopo aver trovato riscontri possono diventare elemento processuale rilevante». Caselli non cita mai espressamente la sentenza di Perugia né il caso Pecorelli o il fuoco incrociato di sospetti, accuse e controaccuse esploso dopo il verdetto d'assoluzione di venerdì, rna ogni dichiarazione si legge come un commento alla vicenda. Verdetto scandalo? Nessuna risposta diretta. «In questi giorni, nei confronti di certa magistratura, è in atto qualcosa di ingiusto che rasenta il linciaggio». Mani Pulite si è rivelato un fallimento? Con Tangentopoli «il controllo della legalità si è indirizzato anche verso altri poteri dello Stato, principio liberal-democratico fondamentale. Il problema è che la politica non ha poi saputo riaffermare il proprio primato con leggi anti-corruzione, ma ha scelto semplicemente la strada della "riduzione del danno", come si usa dire quando si parla di lotta alla droga». Nella sala municipale gremita, il direttore generale degli Istituti di Pena siede accanto al viceprocuratore aggiunto di Torino, Maurizio Laudi, al pm Paolo Ielo, del pool milanese di Mani Pulite, all'onorevole Antonio Soda, parlamentare ds ed ex magistrato di Cassazione, e all'onorevole Elio Veltri, responsabile del settore Giustizia dei democratici di Prodi. Il giorno dopo le assoluzioni celebri Caselli è irremovibile: di Andreotti non parla. E con chi tenta di proiettarlo col pensie- «Tangnon hcon le lHa scel ro a Palermo - dove a ottobre ci sarà per il senatore a vita un nuovo verdetto - glissa facendo riferimento, ad altre, più antiche polemiche esplose in Sicilia sul rapporto fra mafia e politica quand'era lui capo della Procura: «Con Falcone, è agli atti, Buscetta si rifiutò di parlare del coinvolgimento dei politici, dicendo che i tempi non erano maturi. Lo fece solo dopo la strage di Capaci, per una sorta di debito morale. Fare confronti con il dopo-Falcone è quindi impossibile». Tutti d'accordo. E' passata l'«eclissi della legalità», come definirono l'epoca di Tangentopoli i vescovi italiani. Ma troppo buio, troppi segreti restano ancora taii: «Ambrosoli, Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa non sono morti di polmonite tuona Caselli -. E neppure Sin- dona, Salvo e Lima. Questo dobbiamo ricordarcelo!». Niente colpi di spugna, insomma. E se il viceprocuratore aggiunto di Torino, Laudi, propone pelle indagini sui reati contro la pubblica amministrazione «meccanismi di vantaggio e premio per i collaboratori», Caselli sostiene il cosiddetto «doppio binario» della giustizia: «Le indagini di mafia hanno bisogno di strumenti e procedure diverse rispetto ai processi della criminalità comune, soprattutto per quanto riguarda la formazione delle prove, perché la mafia fa di tutto per impedire che si raccolgano». Una legge, dunque, uguale per tutti al momento del giudizio, diversa a seconda dei casi quando si cercano e prendono consistenza le prove. La lotta alla corruzione è una battaglia ancora aperta. Lo ricorda Paolo Ielo, pm del pool Mani Pulite. «A Milano stiamo indagando su fatti del marzo '99». Contro la criminalità organizzata, specialmente quella di stampo mafioso, contesta le attenuanti generiche che arrivano a dimezzare i tempi della prescrizione. «In altri altri Paesi d'Europa l'imputato non può neppure avvalersi della facoltà di non rispondere». Se «l'Italia non ha il vizio della memoria ma dell'amnesia», se «la Prima Repubblica ha dissestato la finanza pubblica e abrogato il merito», se i partiti «non hanno cambiato le classi dirigenti cacciando i corrotti», per l'onorevole Elio Veltri, responsabile settore Giustizia dei Democratici di Prodi, il motivo è soltanto uno: «E' passato il principio devastante che il cittadino, davanti alla legge, è uguale al politico. Mentre per il politico non dovrebbe valere la presunzione di innocenza». E il garantismo, conclude Caselli, «dovrebbe significare difesa dell'imputato "nel" processo, mentre sempre più sovente si traduce in una difesa "dal" processo. Il che ha una parentela stretta con l'impunità». «Tangentopoli? La politica non ha saputo riaffermare il proprio primato con le leggi anti-corruzione Ha scelto di ridurre i danni» Il procuratore di Palermo Pietro Grasso