SALO i fascisti col mal di pancia

SALO i fascisti col mal di pancia L'altra faccia della Rsi: dopo anni di rimozione, studi approfonditi fanno luce sui drammatici conflitti interni SALO i fascisti col mal di pancia ELLA primavera del 1944 la Repubblica sociale fu scossa da un grande conflitto interno. In quei mesi le diverse componenti, almeno quattro, del fascismo repubblicano entrarono in urto l'una con l'altra spingendo il regime mussoliniano sull'orlo del precipizio. A quell'epoca la guerra andava male, la guerriglia partigiana assestava alla Rsi i primi colpi, ma fu soprattutto questo scontro tra fascisti a far vacillare l'intero sistema. Anche se, com'è ovvio, va detto che fu lo stretto rapporto tra le difficoltà militari e quelle politiche che portò il già affaticato corpo dell'Italia del Nord sulla soglia di quel preinfarto. Fino a poco tempo fa, eccezion fatta per qualche cenno qui e là, per l'opera di Renzo De Felice - che trattò l'argomento nel libro intervista Il rosso e il nero, ma è scomparso prima di poter scrivere distesamente la parte della biografia di Mussolini dedicata ai conflitti politici tra fascisti repubblichini - e di qualche isolato studioso (ad esempio Guglielmo Salotti che alla fine del 1987 si occupò della questione sulla rivista Storia contemporanea con il saggio «Movimenti di critica e di opposizione all'interno della Rsi»), in pochi avevano approfondito la questione delle liti interne tra le diverse fazioni di Salò. Il perché è presto detto: gravava sulla Repubblica sociale lo stereotipo di un regime al soldo delle croci uncinate, composto da sgherri tutti più o meno uguali tra loro, unanimemente intenti a seviziare quella parte del Paese, l'Italia del Nord, che, pur non inerte, era rimasta nelle mani loro e dei nazisti. Come tutti gli stereotipi anche questo conteneva una parte di verità. Ma solo una parte. E va riconosciuto a Claudio Pavone, in particolare al suo libro Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza pubblicato da Bollati Boringhieri nel 1991, il merito di aver aperto la strada a coloro che nella sinistra storiografica erano disponibili ad andare a guardare anche l'altra parte di verità. Continuità e discontinuità Una strada che ora comincia ad avere le sue brave pietre miliari. Qualche tempo fa il bel libro di Luigi Ganapini sulla Repubblica delle camicie nere (Garzanti). Poi quello molto interessante di Francesco Germinario, L'altra memo ria. L'estrema destra. Salò e la Resistenza (Bollati Boringhieri). E adesso sarà tra qualche giorno in libreria, ancora una volta per i tipi della Bollati Boringhieri, il volume di Dianella Gagliani Brigate nere. Mussolini e la militarizzazione del Partito fascista repubblicano. Minimo comun denominatore di questi testi è la restituzione, per cosi dire, di rango storico alla Repubblica sociale. Repubblica di cui si può finalmente studiare a fondo il rapporto di continuità e discontinuità con il regime fascista. Il che comporta l'individuazione delle dinamiche e dei conflitti all'interno di quell'esperienza. La descrizione accurata delle quali, come per le dinamiche e i conflitti di ogni genere, implica la messa in risalto di realtà più o meno negative negli scontri che opposero fascisti a fascisti. Per essere più chiari, è evidente che se si dimostra che all'interno della Rsi alcuni si risolsero più di altri a essere meri esecutori dei tedeschi e che fra i due gruppi ci fu un duro conflitto, vorrà dire che questi altri furono più autonomi, più Paolo Mieli sensibili a valori e principi originali del fascismo. E' un tema su cui si è soffermato a più riprese il presidente della Camera Luciano Violante. Uno di quei discorsi che portano lontano. Molto lontano. La Gagliani ha parole molto decise su quella che definisce la «rimozione di Salò» o comunque la «difficoltà di scriverne la storia»: «la rimozione del fascismo, da un lato, l'interpretazione della Rsi quale esclusivo "governo fantoccio" - che fa da pendant alla lettura della Resistenza come mera guerra di liberazione nazionale - dall'altro», scrive, «hanno ostacolato l'individuazione di una chiave di lettura esplicativa del biennio 1943-'/\5». E prosegue: «Così come il portare sul proscenio due soli attori, i tedeschi e i partigiani, e, in mezzo, nell'ombra e schiacciata fra queste due presenze, la popolazione civile, ha spostato e può continuare a spostare il piano dell'analisi, cancellando i fascisti e i filofascisti». Per la storiografia di sinistra almeno quella meno legata a schemi politici precostituiti - è giunto il momento di riconoscere che «la storia fascista del 1943-'45 affonda le radici nella storia del fascismo e della società italiana non solo del 1919-'22 per il riemergere del "vecchio" squadrismo o per il recupero dei programmi delle origini - ma anche del 1922-'43». In altre parole va messo in chiaro che, dopo la breve euforia antifascista successiva alla caduta di Mussolini il 25 luglio '43, da settembre in poi l'Italia centro-settentrionale tornò a essere molto simile a quella di prima: il fascismo con le sue correnti tradizionali, quella radicai squadristica, quella nazionalista e quella dei rinnovatori a cui si aggiunse crucila dei sindacalisti socializzatoti - le «quattro componenti» di cui parla la G3gliani -; il popolo con la sua estesa zona grigia di persone che si arrangiavano, tenevano il piede in due staffe e, prima di salire in montagna o di scendere a manifestare per le strade, aspettarono di vedere come sarebbe andata a finire; e una minoranza di antifascisti che crebbe con l'avvicinarsi delle truppe alleate e della definitiva sconfitta dei nazifascisti il 25 aprile 1945. Sulla Resistenza si è detto e scritto molto, della zona grigia s;, è cominciato a discutere già da qualche anno, per quel che riguarda divisioni politiche e discussioni interne alla Repubblica di Salò si comincia adesso a investigare di buona lena. Dianella Gagliani approfondisce la questione trattando il dibattito che preparò la fondazione delle Brigate nere. Attenta alle articolazioni di questo dibattito. E decisa a scartare la «versione della Rsi come univoco regime squadrista» che ha «appannato o portato a sottostiniare o a tacere altre traiettorie non riducibili (o almeno non nell'immediato) al volto squadristico». Non solo perché nella Repubblica di Salò erano presenti figure più indipendenti quali Piero Pisenti, Domenico Pellegrini-Giampietro, Carlo Alberto Biggini, Angelo Tarcbi, Edoardo Moroni, Ruggero Romano, ma anche perché a essa aderirono molti ventenni e trentenni che avevano poco in comune con quell'universo di cinquantenni rimasto legato alla stagione dello squadrismo. Di più: l'autrice spiega come avvenne che aderirono alla Rsi molti giovani provenienti dalle esperienze frondiste degli Anni 30. Il che apre qualche problema. Quale? Nel dopoguerra si è diffusa una versione di comodo - atta a riscattare e nobilitare qualche imbarazzante percorso di esponenti di quello che sarebbe diventato il personale politico e amministrativo dell'Italia postfascista - secondo la quale il frondismo degli Anni 20 e 30 era stato sostanzialmente estraneo al fascismo. Anzi, una sorta di laboratorio di antifascismo. Se si dimostra, come la Gagliani dimostra, che un buon numero di questi frondisti non solo parteciparono all'avventura di Salò ina furono in qualche modo parte fondamentale del suo Dna, e che per difendere i loro principi e la loro identità osarono scontrarsi con poteri non certo morbidi, ebbene si attesta, quantomeno in sede storica, che ci fu un'anima, per cosi dire, nobile nella Repubblica sociale. Quantomeno un'anima strettamente imparentata con quella che sarebbe stala a sua volta parte costitutiva dell'altro Dna, il Dna dell'antifascismo postfascista. Fino a oggi questo fenomeno dei repubblichini ex frondisti era stato minimizzato: si parlava di «giovani» che «in buona fede» si erano fatti abbagliare dai lustrini socialisteggianti del regime. In realtà si trattò di qualcosa di più corposo. Nella primavera del '44 su moltissimi giornali repubblichini apparvero articoli firmali assai critici nei confronti della corrotta vuotaggine del personale politico musso! iniano. La Riscossa di Torino, la Repubblica di Firenze, Che Vinse! di Genova, l'Assalto di Bologna, Leonessa di Brescia, la Repubblica fascista, la Repubbli ca di Pesaro, Libro e moschetto, pubblicarono vere e proprie requisitorie contro il regime di Salò. Requisitorie di ispirazione fascista, beninteso. Alcune sfottenti nei confronti dello stesso Mussolini. Nel 1944 hi Repubbli ca di Firenze chiede polemicamente «Quando la si smette?» elencando una serie di frasi fatte del duce: «Com'è la manifestazione? Ardente. Com'è l'invocazione? Appassionata. Com'è la vittoria? Immancabile... Com'è il salii- Aai SSOLTO a Perugia, il senatore Andreotti toma aforismatico: (Non basta aver ragione, occorre anche che qualcuno le la dia». Dissentono Socrate, Orazio, i Vangeli e Kant: per quegli antichi maestri chi segue la strada giusta non ha da preoccuparsi dell'altrui consenso. to? Fervente. Di chi è la colpa? Dei 45 giorni di sgoverno. Com'è l'imperativo? Categorico e assoluto. Come sono i nostri nemici? Demoplutogiudaicomassonici». Sull'altra Repubblica, quella eli Pesaro, Caterbo Mattioli denuncia: «I farisei stanno rientrando nel tempio». E Vittorio Donadeo aggiunge: «Chi ricopre una carica, specie in un momento grave come l'attuale, non deve essere un bamboccio o un ex ladro». Quando poi Mussolini dà loro in pasto i nomi dei gerarchi che si sono illecitamente arricchiti, la Riscossa di Torino risponde cosi: «Quale delusione! Cercavamo i "pezzi grossi" e abbiain trovato una lunga fila di nomi mai o quasi mai sentiti nominare, di illustri pinco pallino che certamente non rispondevano a quelli da troppi mesi sulla bocca di t ulti! ». Su Libro e moschetto compare un articolo dal significativo titolo «Come si diventa comunista» in cui si riferisce della povertà per le strade a confronto con alcuni lussuosi negozi del centro milanese frequentati non solo dai «gagà capelloni» e dalle «gagarelle in tacchi ortopedici» ma soprattutto dai burocrati di Salò. Sullo stesso giornale Gaetano Joppolo si domanda se può definirsi fascista «un uomo, anche se squadrista e combattente, che si vanta pubblicamente di aver pagato duecento lire al ristorante Orologio per un "pranzo anteguerra"». Il commissario della Federazione combattenti della provincia di Piacenza, il tenente colonnello Lodovico Lottimi (di professione medico condotto) scrive una drammatica relazione che finisce sul tavolo di Mussolini: «La gente vede, sa, mormora, bestemmia e incolpa di tutto questo marasma... il Partito fascista e desidera i... liberatori!». Il più celebre di questi articoli di denuncia è senza dubbio quello del direttore della Stampa Concetto Pettinato che appare il 21 giugno sulla prima pagina del quotidiano con il titolo «Se ci sei batti un colpo». Editoriale che fa vacillare lo stesso Mussolini. A Venezia monta la prolesta contro i cosiddetti «ministeriali» cioè i funzionari e impiegali di ministeri ed enti statali che si sono trasferiti da Roma al Nord. Già a fine dicembre 1943 il parti¬ to comunicava a Mussolini gli «inconvenientii generali dalla presenza di «sette-ottomila funzionari e impiegati statali con le loro famiglie». E a marzo fioccano le denunce secondo le quali queste migliaia di persone si sono lanciate «nella sfrenata frivolezza e in un dispendio luculliano determinando come diretta conseguenza il rialzo del costo della vita, a nocumento dei lavoratori locali e alimentando in pari tempo, generosamente, la borsa nera». Sempre a Venezia, secondo un appunto per il duce del 15 marzo 1944, «negli alberghi dove alloggiano i vari funzionari dei ministeri si fanno orge, si giuoca senza alcun ritegno e senza rispetto verso la popolazione che conosce tale stato di fatto e ne è nauseala». «Sono sconfortato dai 2() giorni di permanenza sul Garda, quanta miseria, (manta sfiducia, quanta slealtà!», scrive Junio Valerio Borghese al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Francesco Barraci!. Sul tavolo di Mussolini si depositano rapporti sulle «lagnanze» contro il partito fascista repubblicano «fatte dai fascisti" Denunce che non si fermano alle persone che sono a capo del partito stesso ma si estendono «a tutto il complesso organizzativo, soprattutto al sistema delle cariche date dall'alto». A fine giugno Graziani illustra a Mussolini la «gravissima crisi di fiducia del popolo nel governo e nel partito». Discussione a sinistra Il processo che portò in quell'estate del '44 alla formazione delle Brigale Nere è raccontato dalla Gagliani come meglio non si potrebbe. Il dibatt ito interno al fascismo repubblicano è descritto senza quel genere di reticenze ed esitazioni provocate dal limore di dover riconoscere dei meni i a una parte degli stessi fascisti. E nella prefazione al libro Claudio Pavone incoraggia questo generi' di storiografia: per quel che riguarda la Rsi, scrive, «la tradizione storiografica antifascista avi' va trascurato un'analisi ravvici nata, appiattendo, senza esaminarlo dall'interno, il fascismo di Salò». Questo, sempre secondo Pavone, si deve al fatto che «la prima storiografia resistenziale era molto vicina a un'esperienza appena conclusa, nel corso della quale i protagonisti erano interessati alle differenze esistenti nel corpo del nemico molto meno di quanto oggi lo siano gli storici». L'immagine uniforme della Rsi, trapassata dalla memoria alla storiografia, «era consona a una convinzione anche storiograficamente rilevante: che la Rsi andava cioè combattuta ed eliminata ut sic, in blocco». Si trattava, nella sostanza, «dell'applicazione sul piano interno del principili della resa incondizion.ua, la cosiddetta formula di Casablanca elaborata da Churchill e Roosevelt». Mettere in rapporto adesso l'immagine globale che la Rsi voleva dare di sé a se stessa e ai propri nemici con le sue articolazioni interne «è un affascinante compito storiografico» che poco ha in comune «con la montagna di pettegolezzi che si è venuta accumulando sui rissosi gerarchi appollaiati a Salò». Pavone riconosce al libro di Dianella Gagliani il valore di «un contributo sostanziale alla reintegrazione della storia della Rsi nella storia d'Italia, in quanto reintegrazione nella storia del fascismo». Per poi concludere con una affermazione destinata a far riflettere; «Concentrare l'attenzione sulla sola Repubblica sociale, come molta pubblicistica oggi tende a fare scaricando su quella tutte le nequizie fasciste, significa infatti offrire al fascismo un paradossale alibi e favorire le reticenze italiane a fare davvero i conti con l'intero passato fascista». Un'affermazione, dicevamo, destinata a far riflettere. E discutere. Soprattutto a sinistra. Da una parte gli esecutori dei tedeschi, dall'altra il gruppo più sensibile a principi e valori originari di Mussolini Sui giornali repubblichini articoli firmati durissimi contro i corrotti gerarchi venuti da Roma, a volte addirittura sfottenti verso il Duce Nella foto a sinistra Paolo Mieli, in basso Benito Mussolini: nel 1944 un giornale di Firenze arrivo a mettere alla berlina una sene di sue frasi fatte Il disegno è di Matteo Pencoli