Afeltra: «Un amore chiamato Milano» di Alain Elkann

Afeltra: «Un amore chiamato Milano» Il giornalista: «Qui mi sento protetto, è la mia piccola patria, è stata la nostra grande mamma» Afeltra: «Un amore chiamato Milano» Alain Elkann D IRETTORE, Milano in questa fine settembre, oggi giorno, è la capitale della moda. E' sempre stato cosi? «No, per carità. E' anche la moda che da parti.1 sua ha cambiato Milano. Adesso via Bigli, via Manzoni, via Mòntenapoleone non sono più quelle di una volta. La moda ha scaccialo botteghe e negozi, vie piene di vita ridotte solo ad essere belle yétrine». E com'era prima Milano? «Ah, era la citta più bella, la città che faceva compagnia. Si viveva lino a notte tarda, si facevano le ore piccole. Ricordo le passeggiate notturne con Maratta, Gallo, Sereni, Quasimodo, Zavattini. Si andava all'Hagy in corso Vittorio Emanuele dove ci sono oggi le Messaggerìe, a mangiare la frittata con le cipolle, Oppure si andava al Donini a mangiare i panini con i wurstel o con il tacchino fumante». Ma di cosa parlavate? «Di letteratura e di donne». Erano belle allora le donno a Milano? «Per questo lo erano allora e lo sono oggi anche di più. Per me,allora, sentir parlare di donne con un linguaggio nuovo e diverso era sempre una sorpresa, Oliando senllvodire "quella h vorrei portarmela a ietto" mi sembrava una cosa terribilmente audace e sconveniente. Per un ragazzo del Sud l'amore era solo Sguardi e pensieri romantici... Noi andavamo ad Amalfi per vedere una ragazza. Quando la sera usciva con la mamma a passeggio con le amiche potevamo soio seguirla incrociando «nello sguardo». Insomma, Milano era l'Europa per lei? Una città moderna? «Per me era New York, altro che Europa! Del resto al mio prossimo libro vorrei dare il titolo: "Milano amore mio". Qui a Milanomisento protetto. Nel Sud dicono,MUajio, Milano! E' come se fosse la Svizzera. Ma non è cosi. Siamo vicini alla Svizzera, ina non è la Svizzera». Ma si sente sempre proletto 0 oggi t; cambiato qualcosa? «Guardi, lei sicuramente accenna alla criminalità cosi diffusa in questi ultimi tempi. Ceno ricordando gli anni in cui dopo cena le mogli e le figlie potevano uscire di casa senza pania per andare allo spettacolo delle nove e un quarto a teatro, e tornandone a piedi olire mezzanotte, ceno, pensando a quo! tempi sereni, viene una grande nostalgia. Le strade erano illuminate, la vita notturna era intensa. Mi ricordo che l'alba coincideva con il rientro a casa e si vedevano i camion che portavano il latte e quelli che portavano i giornali. L'autunno a Milano era come un Capodanno. Cominciavano le scuole, le vetrine si riempivano della roba per la nuova stagione. Ricominciavano gli spettacoli teatrali. Una prima allora era un avvenimento! Le recensioni di Renato Simoni sul Corriere della Sera che tre ore dopo la fine dello spettacolo erano già stampate sul giornale cominciavano sempre spiegando chi era l'autore, poi seguiva il racconto del fatto e alla fine il giudizio. Un piccolo esempio: "Ieri sera al teatro Odeon è stato rappresentato il dramma di Cecov 'Le tre sorelle'. Cecov è un autore russo che fino ai 53 anni ha fatto il medico, poi e diventato scrittore e autore di teatro, eccetera". Dopo il racconto del fatto Simoni dava l'informazione e concludeva sempre dicendo "vivo successo" oppure "grande successo" oppure "scarso successo". Ricordo che io, Paolo Grassi e Strehler andavamo a teatro ogni sera e partecipavamo alla "claque"». Però la sua vita poi si è svolta in via Solferino, al Corriere della Sera. Chi erano i suoi amici? «Io amavo il Corriere che mi sembrava più grande degli altri giornali. Ricordo quando mio padre lo stendeva-sul tavolo per leggerlo. Da noi ad Amalfi il Corriere arrivava il giorno dopo. Papà leggeva anche il "Giornale d'Italia" e il "Mattino"». Sì, ma gli amici? «lih.gli amici! Avevo una camera in via San Marco 18, al quinto piano senza ascensore all'angolo con il "Corriere della Sera". Incontravo i redattori del giornale che per me erano mitici. Passando sotto le finestre sentivo il ronzio della "linotype". E alle due e mezza di notte si sentiva la rotativa. Fu un dramma quando spostarono le rotative perché il quartiere allora era abituato ad addormentarsi con quel rumore!». Però lei non mi parla dei suoi amici. «Va bene, ricordo che ebbi una lettera dal direttore del "Corriere", allora Aldo Borelli che mi invitava ad un incontro. Io intanto ero stato assunto all'Ambrosiano. Mi aspet- tava a mezzanotte. Ero molto emozionato: il sogno di tutta una vita forse stava per realizzarsi. Dissi alcune parole ma il cuore mi batteva forte ed ero tutto sudato al punto che dissi: "Direttore, non mi giudichi questa sera, sono molto emozionato nel trovarmi a parlare con lei". Lui si alzò dalla poltrona, mi prese la mano in modo paterno e mi disse; "Non so se fra un mese, sei mesi o un anno verrete a lavorare con noi". Dieci giorni dopo ero assunto al Corriere. Uscendo.dalla stanza del direttore trovai in corridoio Emilio Radius, un grande giornalista di allora che mi disse: "Vieni, vieni, vedrai come ti troverai bene, qui siamo sempre insieme, è una grande famiglia e siamo tutti amici: Vergani, Buzzati, Emanuelli, Barzini, Lilli, Piovene». Ma lei era amico anche di Montanelli? «Montanelli era appena arrivato a Milano, credono! 1936, come redattore capo della rivista "Tempo". Pensi che Quasimodo ne era il segretario di redazione e Alberto Mondadori il direttore. Il Corriere se ne accorse, lo carpì. E cominciò il volo». E Longanesi? «L'ho conosciuto dopo la guerra. Eravamo mollo anuci, in grande confidenza. Ricordo che destate anche lui stava sempre a Milano e veniva a prendermi al giornale. Entrai al ' Corriere" a fine giugno del '42. Il redattore capo era venuto da Torino, si chiamava Michele Serra. Io entrai come redattore impaginatore. Facevo tutto: i titoli, mettevo le fotografie, insomma avevo l'impressione di costruire il giornale». Ma vi divertivate? «Io mi sono solo divertito. Per me fare i titoli, tagliare i pezzi era come quelli che amano giocare a scacchi. Insomma era un divertimento e una passione». E Buzzati? «Buzzati l'ho conosciuto bene dopo l'8 settembre. Eravamo come fratelli. Era un grande scrittore e anche un giornalista bravissimo. Faceva i titoli più belli e scriveva le cronache che erano vere pagine di antologia». E Vergani? «Era un fenomeno. Quando morì Malaparte venne al giornale a mezzanotte e mezza. Gli chiesi di scrivere il necrologio. Si mise a scrivere ed era così lungo che fu pubblicato in due puntate». E Montale? «Guardi, Montale ha la benemerenza di aver ucciso il "coccodrillo", termine gergale per indicare l'articolo preparato sui grandi personag, gi in modo che sia già pronto. Ricordo che quando morì fiandhi ero al giornale. Mi feci portare il "coccodrillo" e lo chiamai. Gli dissi: "Eusebio", così lo chiamavano gli amici, "correggi il coccodrillo di Gandhi". Dopo un'ora e mezza ritornò e mi dette due cartelline. Lessi e mi accorsi che anziché correggere il vecchio pezzo, aveva scritto un articolo di sana pianta. Bellissimo! E quella notte il pezzo di Montale fu il primo articolo di fondo scritto da un poeta e pubblicato come fondo in un giornale», E la politica? «Io non ne ho mai avuto il morbo. Certo, ho avuto qualche amico tra i politici: Nenni.Craxi, Malagodi, Moro, Fanfani». Erano diversi dai politici di oggi? «Altro sangue». E i giornalisti?. «Oggi sono tecnicamente migliori, ma è scomparsa la figura dell'inviato. Sono tutti dei supercronisti. Insomma vorrei dire che manca la poesia dell'inviato come Buzzati, Lilli oppure le immagini di Moravia quando viaggiava. Pensi che io ricordo un pezzo di Montanelli quando fu annunziata ai finlandesi la resa ai russi. E' un pezzo davverodabrivido!». E la finanza a Milano? «Quando sono velluto c'era jl banclùera.jQeplia e la Banca Commerciale. Subito dopo sentii parlare di un giovane, Raffaele Mattioli, che poi fece una grandissima carriera e diventò un pilastro non solo della finanza ma anche della cultura a Milano». Era un suo amico? «Mi ha voluto bene come a un figlio. Mi parlava con grande confidenza: gli ho voluto molto bene e gliene voglio ancora». E com'è cambiata la finanza milanese? «Prima, un tempo, non si sapeva nulla, non se ne parlava. Oggi a Milano se ne parla e secondo me anche troppo». Lei è un uomo sobrio, ma è molto elegante. «Mi piace essere in ordine. A Milano ho capito guardandomi intorno, guardando Dino Buzzati, che ci si veste non per sfoggiare ma per adeguarsi. Avevo capito che con un vestito di Caraceni, una camicia di Truzzi, e le scarpe del vecchio D'Agata si era ben vestiti». Ma perchè lei da innumerevoli anni vive all'albergo Principe Savoia? «Guardi io ho una casa, una moglie e una figlia. Il fatto che il lavoro di notte mi faceva rientrare alle cinque di mattina avrebbe creato disordine e per questo avevo sempre .mantenuto la camera in via.San. Marco. Quando si dovettero fare' degli accomodi in quella casa mi trasferii per pochi giorni al Principe Savoia. E quei pochi giorni son diventati più di trent'anni». Ma lei passeggia ancora con il suo amico Montanelli per le strade di Milano? «Conosco Montanelli al punto che so benissimo che la passeggiata che lui ama di più è quella da solo perché lui in quel momento scrive in mente l'articolo, riga per riga, e quando si avvicina alla famosa Olivetti Lettera 22 non fa che trascrivere quello che la mente gli detta. Quindi quando lo vedo mi nascondo, lo faccio passare e non mi avvicino». Lei oggi sceglierebbe ancora Milano? «Senta, io credo che l'altra città dove sarei stato bene è Londra. Là vi sono certe regole, poi i colori, la buona educazione, le tradizioni che si mantengono... Ma il vero patrimonio di Milano è il lavoro. Sono le commesse, gli impiegati, quelli che "prendono i mezzi". Talvolta tre mezzi per arrivare alle otto e mezza puntuali al lavoro». Lei è di Amalfi, Montanelli di Fucecchio, Buzzati era di Belluno, Quasimodo siciliano, Montale genovese, Mattioli abruzzese, Longanesi romagnolo. Perché tutti più milanesi dei milanesi veri? «Perché Milano è diventata la nostra piccola patria. Ci ha fatto del ' bene, è stata la nostra grande mamma». Afeltra, lei non ha mai parlato di Roma. Perché? «Perchè mi piace ma la sento in contrapposizione a Milano per gusti, lavoro, abitudini, rispetto». Ma lei non avrebbe mai diretto «La Stampa» di Torino o «Il Messaggero» di Roma? «"La Stampa" sì. Torino mi piace, mi piacciono le vie larghe, i caffè. Mi piacciono Paissa, Stratta e il Caffè San Carlo. Mi piacciono le ore in cui tutti vanno a prendere il tè o l'aperitivo... Al "Messaggero" mi fu offerta la condirezione dal vecchio Perrone ma non volli lasciare Milano. Non accettai nemmeno di dirigere "Il Gazzettino di Venezia", "Il Resto del Carlino" o "Il Mattino" di Napoli». ' Lei qui a Milano frequenta molta gente? «Guardi, preferirei non fare nomi e non fare degli scontenti. Io a Mila-i no sto come vede moltissimo neh mio ufficio e spesso vengono persone a trovarmi,, a.,.parji&npi^r-a confidarsi)!. Insomma, 'Milano per lèi è un grande^aij^^ ■ «Si. Adèsso perq'andiamo che la porto a mangiart\nel mio ristorante». % Il direttore fa una telefonata per chiamare un'automobile, scrive un indirizzo su una busta, scrive un biglie! tino che allega all'articolo che stava correggendo prima e che verrà consegnato l'indomani al giornale, mi mostra con orgoglio la sua collezione di riviste letterarie che vanno da «Solaria» a «L'Italiano», dal «Selvaggio» a «Nuovi argomenti». Piano piano usciamo. Scendiamo, il portiere lo saluta con ossequio, saliamo in automobile e ci dirigiamo verso il ristorante dove i camerieri lo accolgono salutandolo '| con affetto. £f£ La moda ha cambiato la città ha scacciato botteghe e negozi Vie piene di vita sono ridotte a belle vetrine p p 66 L'autunno era come il Capodanno, la vita notturna era intensa. Sentivo parlare delle ragazze in un modo diverso, per noi l'amore era solo uno sguardo j ip 66n mio sogno si avverò quando fui assunto al Corriere. Con Dino Buzzati eravamo comefratelli\m gp Gaetano Afeltra Firma del titolare: li. .... : Cognomo .9$$$... Nome ..•«MI* Natoli »/M1>!S cittadinanza .ff*M***. residenza .SS^S? stato civile MWNk.. nsufi profossione GMWMflM.STA.. POMINICA CON