MA LA STORIA NON SI ASSOLVE di Barbara Spinelli

MA LA STORIA NON SI ASSOLVE DALLA. PRIMA PAQIN A MA LA STORIA NON SI ASSOLVE Barbara Spinelli re. I francesi usano dire : un angelo è passato, ineffabile oltre che improbabile. Eppure i magistrati di Perugia dicono tra le righe verità non equivocabili, nella loro saggezza. Dicono che non è attraverso sentenze giuridiche che i politici italiani potranno regolare la loro convivenza, e costruire un'abitudine all'alternanza democratica, e riscrivere i promettenti ma immobili, spesso oscuri cinquantanni del dopoguerra. Dopo serie indagini fanno sapere che Andreotti non è un mandante di omicidi, e che il giudizio sulla sua maniera di operare e regnare va dunque espresso fuori dalle aule dei tribunali: in aule frequentate dai politici, dagli storici, dai giornalisti. Spetta a questi ultimi meditare sul passato nazionale ed emettere su di esso un giudizio fermo, e profondo. Spetta al ceto politico pensare la storia che ha fatto e raccontarla con parole se possibile non più allusive ma finalmente intelligibili, trasparenti. E' quello che non è stato fatto finora, perché il giudizio politico è stato come sospeso in questi anni, per esser delegato ai giudici, E se le toghe son di frequente diventate rosse, abusando a volte dei propri diritti, è perché i politici - tutti hanno consentito che si creasse una sorta di vuoto, presto occupato dai giudici. Il verdetto di Perugia permette di porre fine, a questo nocivo esercizio di delega e di sospensionedifferimento della politica. La paralisi e la povertà del verbo sono diffuse dopo la sentenza di Perugia, ma di per sé non hanno ragione di sussistere. I giornalisti stessi si domandano angosciati quando sarà possibile, al di là delle responsabilità penali, discutere pubblicamente delle effettive responsabilità politiche di Andreotti: ma anche queste angosce sono infondate, non sono che maligni fantasmi. Si può invece più che mai discutere la persona e le maniere politiche di Giulio Andreotti. Si può subito compiere, nella ex De, quell'esame di coscienza e quell'analisi critica del passato che per quasi dieci anni è vistosamente mancata. Si può senza difficoltà,.solo che non si condivida la congiura del silenzio - piena di ossequiose timidezze, o gioie maligne, o calcoli politici - che permane compatta dopò l'assoluzione del senatore. Anche se taciturne, le sinistre applaudono in segreto alla sentenza di Perugia, sperando probabilmente in un'analoga sentenza di Palermo, ma contribuiscono non poco al permanere di tale silenzio: per prime hanno infatti cavalcato la magistratura ripulitrice, nei primi Anni 90, fino a quando il giudice Nordio a Venezia ha accennato Gl'opportunità di indagare non solo su De e Psi, ma anche sull'ex Pei ribattezzato Pds. Fu allora che la politica ammutolì, che si pensò ai modi più maldestri di chiudere Mani pulite, per approdare agli odierni slogan sulla sicurezza che viene prima della giustizia nella scala delle priorità. Così grande è stato il vuoto che perfino il Vaticano si è precipitato a riempirlo, con un'invadenza nella politica e nella giustizia che non ha eguali in Europa, e che riecheggia tentazioni teocratiche di altri monoteismi. Il telegramma che Giovanni Paolo II inviò a Andreotti in febbraio, per festeggiare i suoi ottant'anni, conteneva 1 augurio che il senatore sarebbe presto uscito dalle «sofferenze giudiziarie». Poi venne la benedizione personale - impartita dal Santo Padre in coincidenza con la beatificazione di Padre Pio, e in pieno processo - seguita da bacio dell'anello. In nessuna democrazia un arcivescovo oserebbe tanto, per favorire un politico processato per complicità con la mafia o per riabilitare un partito cattolico declinato. Se Lustiger in Francia benedicesse un imputato lo scandalo sarebbe infinito, mentre in Italia l'influenza del Vaticano si rafforza e si estende. In nome di Dio Andreotti è stato scagionato dalla Chiesa, assai prima che i giudici si pronunciassero. In nome di Dio si parla del suo processo come di un'«ingiusta sofferenza»: di un Calvario inflitto a un «confessore della fede» pronto al martirio, confida il cardinale Angelini che gli è amico. Intanto l'Osservatore Romano si tramuta in foglio di partito, e annuncia che per grazia di Dio «la pentitocrazia è stata travolta». Lo stesso Andreotti si infastidisce, quando si usano parole che nulla hanno a che vedere con la politica. Con la sua eccezionale fermezza d'animo, con il calmo rispetto delle istituzioni mostrato durante l'intero processo, il senatore replica: «Il Calvario è un monte sacro... e noi siamo dei poveretti ! ». La storia d'Italia e di Andreotti non sono patrimonio esclusivo dei magistrati, e ancor meno della curia, di vescovi amici e troppo amici del senatore. Ma perché questo diventi vero, perché si possa parlare di politica laica nel nostro Paese, urge che la classe dirigente dica qualcosa di meno smilzo, di meno indigente, su se stessa. Urge che si pronunci con i meno sentimentalismo cattolico, sul passato di Andreotti come sui processi. Urge abbandonare vocaboli cristologici come Calvario, sofferenza giudiziaria, Via Crucis. Andreotti è stato giustamen¬ te assolto, ma è stato anche giustamente processato. Non pochi elementi indicano che il senatore scherzò non poco col fuoco, in politica: e questo in un'epoca in cui scherzare era ormai ben più pericoloso che nell'immediato dopoguerra, quando la mafia siciliana non era ancora l'organizzazione criminale che è poi divenuta. Alla fine diede l'impressione di essersi allontanato dai giochi malsani - era l'epoca di Falcone - e forse è vero quel che è stato detto sul suo destino: che la vendetta mafiosa si è abbattuta su di lui prendendo un'altra forma, diversa da quella manifestatasi nell'uccisione di Lima e Falcone. Ma l'ex presidente del Consiglio ha pur sempre scherzato col fuoco e, se ha meritato l'assoluzione, ha anche meritato l'indagine giudiziaria come il processo. Non sono solo fantasmi, quelli dietro cui sono corsi in questi otto anni le procure. L'Italia e le vicende della De non sono un immacolato lenzuolo ma sono costellate di stragi o assassinii mai chiariti, di immani corruzioni, di finanziamenti occulti dei partiti. Una classe politica si è rivelata inidonea a discuterne, e ha permesso che giudici troppo arditi e addirittura il Vaticano usurpassero il proprio trono. Ancor oggi permette a un indagato come Calogero Mannino di esclamare: «Lo Spirito Santo ha illuminato i giudici di Perugia». E' quel trono che attende di essere riconquistato, non con la povertà degli applausi ma con la ricchezza del pensiero, della riforma politica. Non è finita una farsa, come la chiama Casini. 0 un semplice teorema, come dice il centrodestra. E' la realtà dei fatti - passata e presente - che conviene una buona volta guardare in faccia, rimeditare. A quel punto si potrà magari riabilitare la De. 0 anche riabilitare Craxi, demonizzato assieme al suo partito dai postcomunisti: Craxi che con quindici anni d'anticipo tentò le riforme teorizzate oggi in Europa da D'Alema, Blair, Schroder. Ma riabilitare non è assolvere, e presuppone che le vicende d'Italia siano infine esaminate. Affinché servano da lezione per edificare il futuro. Affinché non assumano le grottesche sembianze di una storia simbolizzata, ai propri confini, dalle sole due figure del cardinale Fiorenzo Angelini e del canaro della Magliana. Presuppone che partiti e politici esprimano infine un giudizio, su propri errori ed orrori. Un giudizio che non si lasci influenzare né dall'ideologismo di certe procure, né dall'integralismo di una Chiesa cattolica completamente incapace, a Roma; di stare al suo posto e di rispettare un trono - oltre che una giustizia - che non sono più di sua competenza in Europa, dai tempi di Montesquieu e della nascita dello Stato moderno.