Andreotti: questa esperienza mi ha fatto bene di Francesco Grignetti

Andreotti: questa esperienza mi ha fatto bene Il senatore a vita: i pentiti? Non bisogna generalizzare, non vanno definiti tutti cherubini, né tutti falsi testimoni Andreotti: questa esperienza mi ha fatto bene <Prima troppi mi adulavano, vedevo solo tappeti rossi» « Francesco Grignetti ROMA Il «giorno dopo» di Giulio Andreotti comincia con un inedito strappo alla regola. Altro che animo di «burocrate», come si definisce lui con vezzo. Per una volta, l'uomo che ha avuto in mano l'Italia per tanti anni, è finito «sottoterra» e adesso è risorto, s'è attardato nel letto assaporando il gusto della vittoria. Da una vita, infatti, governi o non governi, Giulio Andreotti è uscito di casa alle sei e mezzo per iniziare la giornata andando a messa nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, vicino a casa sua. Ieri no. E' arrivato al portone che erano le otto ed è andato direttamente al suo studio privato di piazza San Lorenzo in Lucina. Chi lo aspetta sotto il portone già da qualche ora è stupito del ritardo. Presidente, gli chiedono, ha dormito bene? «Dormo sempre poco risponde - ma intensamente». La sua giornata è segnata: leggere i giornali, mettersi in posa per i fotografi, fare da anfitrione alle telecamere in maniche di camicia. E c'è da rispondere a un'infinità di telefonate. Chiamano a centinaia, da Francesco Cossiga al regista Carlo Lizzani, all'ambasciatore italiano in India. Ouale telefonata l'ha più rallegrato? «Non voglio fare graduatorie, ma è certamente quella del presidente Ciampi». Ma tutta questa storia, a vederla con ritrovata serenità, porta Andreotti a una riflessione abbastanza amara. «Sotto certi aspetti - dice - la vicenda del processo Pecorelli mi ha fatto bene. Nel senso che ero abituato ad avere troppa gente che diceva bene di me, magari non pesandolo.. Troppi ^appetì rossi, troppi onori, troppi incontri importantissimi...». Fuori del portone, affissi ai muri,.ha trovato i manifesti che i popolar1 romani hanno fatto stampare nella notte. «La .pazienza è la virtù dei forti». Guarda e non commenta. Ma poi, e la frase deve essergli masta impressa, dice: «Se c'è ualcuno che dovrei ringrazia- rimasta impressa, dice: «Se c'è qualcuno che dovrei ringrazia re davvero, è mia moglie che forse ha avuto più pazienza di me. D'altra parte è cinquanta anni che ha pazienza». .L^fcunigLja. Questi giojnL^. gfi fa dà scudo. Mai in passato l'aveva citata tanto spesso. Due giorni fa diceva in tv: «Se non fosse stato per loro.che mi sono stati così vicino... Si arrabbiavano persino perché non mi vedevano abbastanza arrabbiato. Ma io che ci posso fare? Questo è il mio carattere». E ieri, per congedarci giornalisti che affol- lavano il suo studio, tappezze- congedare i giornalisti che affol lavano il suo studio, tappezze rie beige e quadri antichi: «Scusatemi, ma ho figli e nipoti che mi aspettano per pranzo e poi mi vorrei riposare. Se ritardo mi rmuicqy(|rano)). m*#rfv Insomma, forse sarà casuale, ma neanche tanto, se nel pomeriggio, dopo il pranzo e il regolare sonndllùió, i coniugitAridrètìtti escono di casa a braccetto per andare a messa in una cappellina poco conosciuta, che nemmeno si trova sull'elenco del telefono. L'appuntamento è al mona¬ stero delle suore benedettine di Santa Priscilla, ingresso anche stero delle suore benedettine di Santa Priscilla, ingresso anche di antichissime catacombe. Qui lo attende uno scampolo di andreottismo: signore-bene del quartiere Salario, qualche vecchio amico di famiglia, l'ex presidente dell'Iri e andreottiano di ferro Franco Nobili, una schiera di suore e di sacerdoti, qualche giovanotto del volontariato cattolico. La messa, celebrata dal vescovo di Pisa, monsignor Alessandro Flotti, è dedicata al quarantesimo anniversario della morte di don Giulio Belvederi, fondatore appunto dell'ordine delle benedettine e Belvederi, fondatore appunto dell'ordine delle benedettine e soprattutto zio di donna Livia. Spiega la signora Andreotti, uscendo dal convento: «Don Giulio era il fratello di mia madre. Mi è stato tanto, vicino quando morì mio padre. Uno zio importante». Ma è lui, Giulio, il protagonista. Suore e fedeli vari se lo contendono, lo fotografano, gli stringono la mano, si congratulano. Alla porta trovano un libretto, edizioni «30 Giorni», scritto da Andreotti in prima persona, dove si rievoca la figu- ra del sacerdote, ottimo archeo- persona, dove si rievoca la figura del sacerdote, ottimo archeologo tra gli anni Venti e Trenta, cattedra all'Università pontificia, ma anche protagonista di almeno due «querelle» giudiziarie davanti alla Sacra Rota. Di strappargli commenti sulla sua vicenda giudiziaria, in questa sede tanto solenne, tra un -monsignore..^ una,madre superiora, non se ne parla. Non ha molta voglia in generale di parlare di magistrati in vista dell'altra scadenza importante, la sentenza al processo di Paler¬ mo. L'unica frecciatina se l'è lasciata sfuggire al mattino. «La mo. L'unica frecciatina se l'è lasciata sfuggire al mattino. «La magistratura di Palermo è obiettiva. Ma certo... i procuratori fanno il loro mestiere. Qualche volta sono giocatori senza arbitro, quindi possono l'are (umiche scorrettezza. E non ricevono mai il cartellino giallo». Torna sul discorso dei pentiti perché lo provocano: Ma anche qui c'è da strappargli le parole di bocca. «Non bisogna generalizzare. Non vanno definiti tutti cherubini, né tutti falsi testimoni». Il giorno dopo strappo alla regola Si è alzato tardi e ha «perso» la prima messa Qui accanto i manifesti fatti stampare in fretta dal Ppi A sinistra il senatore Giulio Andreotti accolto da Vincenzino in piazza San Lorenzo in Lucina

Luoghi citati: India, Italia, Palermo, Roma