L'altro processo
L'altro processo L'altro processo Palermo: verdetto a metà ottobre Antonio Ravidà cofhspondenle da PALERMO E ora Giulio Andreotti sarà assolto o condannato nel processo di Palermo in cui in maggio i pm hanno chiesto per lui 15 anni di reclusione per associazione mafiosa? Dopo il verdetto di Perugia molti i commenti raccolti ieri sera a Palermo. E anche qualche silenzio. Su tutti quello decisamente diplomatico del procuratore della Repubblica Pietro Grasso che non è voluto entrare nel merito e se l'è cavata con un «il giudice non è influenzabile da altre sentenze», aggiungendo «inoltre quelli di Palermo sono noli per la loro imparzialità». Poi basta. In mattinata Grasso, incontrando un centinaio di studenti, adattando al magmatico clima siciliano la celebre e illuminante metafora di Eduardo De Filippo «gli esami non finiscono mai» l'aveva mutata in «le indagini come gli esami non finiscono mai». Zitti i pm Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato, non hanno fatto commenti neanche l'eurodeputato e segretario siciliano dei ds Claudio Fava e il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, di solito loquace e da anni fra i più ostinati e polemici accusatori (ma qualcuno preferisce parlare di detrattori) del senatore. Dopo Perugia anche la scena palermitana tra pochissimi giorni sarà tutta presa da Andreotti. Nella seconda metà di ottobre è attesa la sentenza dei giudici della Quinta sezione penale del tribunale presieduta da Francesco Ingargiola sulle connessioni (vere o inventate?) fra lo statista e Cosa nostra. Il processo è in corso dal 26 settembre 1995; 240 udienze, accuse condensate in 18 mila pagine. E' scontalo che il verdetto di Perugia non potrà in alcun modo entrare nel processo di Palermo che b già nella fase dibattimentale, ieri mattina subito sospesa quando in aula è giunta la notizia che entro la serata sarebbe stata emessa la sentenza di Perugia. A Palermo si riprenderà la prossima settimana con altre arringhe difensive. «Nessuna influenza della sentenza di Perugia sul processo ili Palermo. Sono processi distinti. Una vicenda non può avere relaziono con l'altra», assicura da Firenze l'anziano Antonino Caponnetto che guidò il pool antimafia con Falcone e Borsellino. Più che soddisfatto Gioacchino Sbacchi, uno dei difensori di Andreotti e presidente della camera penale palermitana: «Sentenza giusta». Poi, interpellato su eventuale refiuenze sul collegio giudicante di Palermo, cauto l'avvocato Sbacchi ha rilevato: «1 giudici debbono lavorare in serenità». Da Maria Falcone («mio fratello mi ha insegnato che le sentenze dei giudici non possono essere sottoposti a critiche da parte di nessuno») si è discostato come più non avrebbe potuto il gesuita Ennio Pintacuda: «Una sentenza che sembra riportarsi agli anni bui dei processi di mafia che si concludevano con assoluzioni» ha dichiarato. Fu Pintacuda a suggerire a Leoluca Orlando, prima del loro «divorzio politico», lo slogan «il sospetto è l'anticamera della verità» che mandò su tutte le furie Leonardo Sciascia. Il deputalo di Forza Italia Gianfranco Micciché, coordinatore azzurro nell'isola: «Come tanti speravamo, il coraggio sta di casa a Perugia». Di tutt'altro tono l'europarlamentare di rifondazione Giuseppe Di Lello, giudice istruttore nel pool di Caponnetto: «L'assoluzione di Perugia non può mutare il giudizio politico su Andreotti. Muta invece quello sulla sinistra andata al governo proprio con Andreotti». E l'unico senatore della Lista Pannella, il penalista Piero Milio: «Adesso il tribunale di Palermo avrà una difficoltà in più nel condannare Andreotti».
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