Assolto Andreotti, bocciati i pentiti di Marcello Sorgi

Assolto Andreotti, bocciati i pentiti Delitto Pecorelli, non creduto Buscetta. Scagionati anche Vìtalone e gli altri imputati Assolto Andreotti, bocciati i pentiti Il senatore: spero di vivere abbastanza per dimenticare COME UN'AMNISTIA Marcello Sorgi COME e forse più di un'amnistia, la sentenza che ha assolto Andreotti dall'accusa di aver commissionato alla mafia il delitto Pecorelli', finirà con l'avere presto un effetto imprevedibile per i giudici che l'hanno firmata. Quello appunto della «soluzione politica» al grande processo alla Prima Repubblica, inseguita invano, in questi anni, da un governo all'altro, da una Camera all'altra, da una legislatura all'altra. E decisa, infine, non da un voto del Parlamento, ma in un'aula di giustizia: con la benedizione del Papa e alla vigilia del Giubileo del Duemila. Basta solo ricordare il clima in cui si arrivò, ai primi accenni di stanchezza di Tangentopoli, alle inchieste su Andreotti. E rileggere, tra Perugia e Palermo, in un riecheggiare di toni sempre più alti, gli atti giudiziari che hanno accusato Andreotti, via via, di «aver accresciuto per venti anni la capacità criminale della mafia», di aver fatto della sua corrente «una struttura al servizio della mafia», di aver addirittura «ibridato» il proprio «potere personale» con quello «criminale di Cosa Nostra», dando vita a «un nuovo potere politico mafioso» e consentendo alla mafia di diventare «un'associazione unica al mondo, che ha esercitato la sovranità di uno Stato illegale». L'Andreotti che emergeva dal velo squarciato dai magistrati era insieme il capo della Repubblica traballante con cui avevamo convissuto per quaranc'anni e l'anello di congiunzione con il vero governo mafioso dello Stato. Era lo stesso che aveva fatto il sottosegretario, e poi il ministro e il presidente del Consiglio, con la De quarantottesca di De Gasperi, con quella baby boomer di Fanfani, col centrosinistra di Moro, col pentapartito di De Mita e Forlani. Il giovane ragazzo di bottega della generazione dei primi padri repubblicani, Einaudi, Saragat, La Malfa, Nenni. Il capo del primo governo con l'appoggio di De e Pei, Zaccagnini e Berlinguer. Il protagonista di una vicenda politica interminabile, unica, logicamente costellata di meriti, colpe ed errori. Ma se i meriti sono stati cancellati di colpo dalla trasformazione - questa sì, con una piena autorizzazione del Parlamento - di Andreotti, da uomo simbolo della Prima Repubblica a imputato per fatti di mafia, sarà difficile, d'ora in poi, discutere dei suoi errori, delle sue colpe, delle sue responsabilità. Il processo politico, che il Parlatnento aveva tutto il diritto di celebrare, non c'è stato; così come è mancata, in questi anni, la volontà politica di trovare una via d'uscita all'emergenza giudiziaria. E di conseguenza, la soluzione politica, affidata ai magistrati di Perugia, ha prodotto la sentenza di ieri: con la quale, chiaramente, i giudici si sono rifiutati di processare un pezzo di storia. E' difficile dire quali conseguenze avrà questa sentenza rispetto agli altri processi aperti. L'assoluzione di Andreotti, Vìtalone, del vecchio boss Badalamenti e dei banditi «quaquaraquà» della Magliana, la borgata romana tristemente nota per le imprese feroci del «canaro», porta con sé l'incrinatura del «teorema Buscetta», ovvero della credibilità del primo capomafia che ha cercato di demolire Cosa Nostra. E se vacilla Buscetta, l'intero sistema dei pentiti ne risente. Naturalmente è sempre possibile che Andreotti, assolto a Perugia, sia condannato per mafia di qui a un mese a Palermo. E' possibile, ma è meno credibile. PERUGIA. La Corte d'Assise di Per .^ia na assolto per l'omicidio di Mino Pecorelli il senatore a vita Giulio Andreotti, l'ex magistrato Claudio Vitalone e gli altri quattro imputati Gaetano Badalamenti, Giuseppe Calò, Michelangelo La Barbera e Massimo Carminati. Tutte assoluzioni con formula piena: per non avere commesso il fatto. Sconfessati i pentiti, a partire da Tommaso Buscetta. Dopo 20 anni resta dunque un mistero la morte del giornalista. Soddisfatto il senatore («Ora spero di vivere abbastanza per dimenticare») che ha ricevuto decine di felicitazioni e attestati di stima. Grande amarezza, invece, e stata espressa dalla signora Rosita, sorella di Mino Pecorelli: «Mi aspettavo questo verdetto, noi non abbiamo protezioni». Nella foto Andreotti durante il processo. SERVIZI ALLE PAGINE 2,3.4 e 5

Luoghi citati: Palermo, Perugia