«Più gente in prigione? Il governo ci ripensi» di Giovanni Bianconi

«Più gente in prigione? Il governo ci ripensi» Caselli: «Le misure alternative sono un segno di civiltà e una valvola di sfogo al superaffollamento» «Più gente in prigione? Il governo ci ripensi» Giovanni Bianconi ROMA Gli uffici legislativi dei ministeri della Giustizia e dell'Interno stanno studiando nuove leggi contro la criminalità diffusa, ma il direttore delle prigioni d'Italia, Gian Carlo Caselli, avverte: «Se le misure che il governo prenderà in materia di sicurezza dovessero far entrare più gente in carcero, gli attuali e gravissimi problemi che questa amministrazione deve affrontare sarebbero ulteriormente aggravali. Se cosi fosse, sarebbe necessario rivedere tutta la problematica carce ra ri a». L'ex-procuratore di Palermo si appella al governo: «C'è necessità tli un confronto col governo per rappresentare i problemi della ricaduta dei provvedimenti annunciati. E non possiamo non sperare in risposte positive. Credo anche che, con tutto il rigore necessario nelle concessioni e nei controlli, le misure alternative alla detenzione siano irrinunziabili, per una questione di civiltà ma anche perché rappresentano una valvola di sfogo per il sovraffollamento delle carceri». Sembra di sentire la solita storia della coperta troppo corta: si studiano nuovi «pacchetti» per garantire più carcere mentre le carceri scoppiano e non sono in grado di accogliere nuovi «clienti», come spiega il sottosegretario alla Giustizia Corleone: «Se fossimo un albergo, fuori dalla porla dovremmo appendere il cartello "completo"». Bisogna fare i conti con gli uomini e i mezzi a dispozione, che tanto per cambiare non sono sufficienti, Gli agenti di custodia, dice ancora Caselli, «sono costretti ad operare in condizioni di estrema difficoltà. Il potere politico deve farsi carico dei loro problemi; cinquemila uomini sono stati sottratti al servizio interno agli istituti per occuparsi delle traduzioni». E prima ancora che le nuove norme anti-eriniinalità abbiano preso forma, l'emergenza dell'ultimo anno ha provocato un sensibile aumento della popolazione carceraria. I detenuti erano 40.010 all'inizio dell'anno, 50.472 al 31 lulgio e 51.427 al 31 agosto. «La nostra idea commenta il vice-direttore degli istituti di pena, Paolo Mancuso - è che ci sia stato un irrigidimento delle decisioni che riguardano le pene alternative por effetto della campagna sulla sicurezza. Inoltre la legge Simeone ha ingolfato l'attività dei tribunali di sorveglianza che devono decidere sulla concessione dei vari benefici». Ma il problema non è solo di uomini, mezzi e strutture. C'è pure un aspetto politico non irrilevante: mentre si vara il nuovo regolamento penitenziario, che a partire dal 2000 renderà il carcere «più costituzionale», garantendo nuovi e più ampi diritti ai detenuti, il Paese è alle prese con l'allarme criminalità e il governo annuncia giri di vite. Non c'è contraddizione tra la linea dura decisa dall'esecutivo e un modello di prigione più aperto verso l'esterno? Come si conciliano il rigore e la deterrenza della pena con l'amore in cella, l'aumento dei colloqui e tutte le altre novità del nuovo regolamento? «No, non c'è contraddizione risponde Caselli -. Sicurezza e "carcere costituzionale", nel senso di adoperarsi per il recupeto dei detenuti, sono due aspetti strettamente connessi: più persone si recuperano, meno saranno quelli che torneranno a delinquere una volta usciti di prigione. Il carcere non può essere solo segregazione, perché altrimenti si trasforma in una fabbrica di delinquenza; è certamente un luogo di punizione di chi ha sbagliato, ma anche di attenzione e rispetto verso le persone e i loro diritti. Nasce da lì, infatti, la speranza di recupero che può trasformarsi in maggiore sicurezza per tutti i cittadini». Il vice di Caselli, Mancuso, parla ancora più chiaro: «Bisogna sfatare il luogo comune che tenendo la gente in cella si dà maggiore sicurezza, perché non è vero. Provate a immaginare degli extracomunitari che stanno dentro anche due anni, senza alcuna speranza; quando usciranno si riverseranno sulle strade pronti a delinquere ancora. La sicurezza, invece, è fatta di recupero attraverso l'affettività, il lavoro, e un carcere che non sia un albergo, ma semplicemente un luogo di socializzazione». Per il sottosegretario Corleone, la lotta alla criminalità diffusa si fa anche attraverso un carcere migliore: «Quando le prigioni saranno in grado di restituire alla società persone che hanno saputo cogliere la possibilità date loro, tutti i cittadini saranno più sicuri». Addirittura, il modello di carcere disegnato dal nuovo regolamento dovrebbe essere preso ad esempio per altre emergenze: «Se nelle periferie urbane si facessero quello che stiamo facendo nelle 250 carceri italiane - dice Corelone - la situazione sarebbe migliore». «Gli agenti di custodia lavorano in condizioni di estrema difficoltà, troppi uomini si occupano delle traduzioni» II sottosegretario Corleone: «Se fossimo un albergo fuori dalla porta dovremmo mettere il cartello "completo"» Giancarlo Caselli: «C'è necessità di un confrónto con il governo»

Persone citate: Caselli, Corleone, Gian Carlo Caselli, Giancarlo Caselli, Mancuso, Paolo Mancuso

Luoghi citati: Italia, Palermo, Roma