Diavolo d'un Battiato
Diavolo d'un Battiato Diavolo d'un Battiato SE qualcuno provasse a tracciare il diagramma della carriera di Franco Battiato tenendo conto di quante volte «il noto cantautore siciliano» è entrato e uscito dall'area della musica colta, ne verrebbe un pazzo disegno tutto appuntito, una sega dai mille denti. Ma mi accorgo «entrato e uscito» è un'espressione che non va bene, che rischia di essere equivoca. Qui non si parla di trasformismo, per carità. Il fatto è che Battiato il mondo della musica classica non l'ha mai lasciato, come d'altronde ha sempre frequentato anche quelli della contemporanea più intelligente, del rock, della canzone d'autore. In momenti diversi della sua vita artistica ha piuttosto cambiato i pesi, spostato gli accenti, messo lo spot qui o là. Ma ha sempre preteso di non dover scegliere drasticamente. Uno dei primi in assoluto a comportarsi così, a pensarci bene: non questo o quello bensì questo e quello. Fin dagli Anni Settanta, quando nella scena rock italiana passava per uno strano clone del progressive e pure bazzicava le avanguardie nobili, e vinceva il Premio Stockhausen. E poi ancora: «Cuccuruccù Paloma» ma anche «L'Egitto prima delle sabbie», la Genesi e Gilgames e il Festival di San Remo, i concerti con l'orchestra sinfonica e quelli con la banda rock, Gesualdo da Venosa e la musica delle macchine. Così non stupisce di vederlo al Conservatorio domenica 19, nel programma di «Settembre Musica», protagonista di una «Histoire du Soldat» (versione italiana) allestita da Antonio Ballista con l'Ensemble Novecento, con Manlio Sgalambro nella veste di narratore e Giovanni Lindo Ferretti nella parte del soldato. Nel mondo Diavd'un B volo attiato Battiatesco Stravinskij è una presenza tutt'altro che aliena; e poi Ballista è un vecchio amico, e già negli Anni Settanta era complice di Battiato in certi suoi dischi oggi dimenticati, i più strani e avventurosi (qualcuno si ricorda di «Juke Box», colonna sonora di un film tv su Filippo Brunelleschi?). L'unica vera sorpresa è il ruolo che Franco si è ritagliato per l'occasione, quello del diavolo, che non è proprio comunemente il suo. Difficile vederlo con zoccoli caprini o sentirgli addosso odore di zolfo. Se proprio vogliamo restare nel paranormale, Battiato è piuttosto uno spirito eccentrico, un cresciuto fantasma che ha il gusto di esplorare il mondo dei suoni facendo di testa sua, senza le solite mappe e i soliti consigli, e si diverte un mondo a non farsi trovare. In una serata così, per esempio, pochi ce lo avrebbero visto dopo un album marcatamente electro rock come il suo ultimo, «Gommalacca». Invece eccolo: per gioco, per inquietudine, per divertimento. E guai a pensare che si fermerà lì per più di un momento. Altre curiosità chiamano, altre avventure incombono. Ne dico una con fare circospetto, è ancora un mezzo segreto: un disco di «canzoni d'altri tempi», un affettuoso humourale omaggio a quel che andava in onda quando Battiato era un ragazzotto ancora sconosciuto ma già sensibile e con le orecchie aperte. Come si vede, Stravinskij è lontano. Ma è il digramma che si diceva all'inizio, su e giù a candela, e se permettete il bello di Battiato sta anche in questo. Riccardo Bertoncelli
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