Quando la naja faceva gli italiani di Giorgio Boatti

Quando la naja faceva gli italiani LUOGHI COMUNI Personaggi e memorie dell'Unità d'Italia di Oreste dei Buono e Giorgio Boatti (gboatti@venus.it) Quando la naja faceva gli italiani I giovani maschi educati a esser buoni «per il re e per la regina», in battaglia come al bordello: un machismo da non rimpiangere CUI non è buono per il re, non e buono per la regina": così si diceva, in altri tempi, ai giovani italiani reclutati per (pici servizio di leva che anche nel nostro Paese è ormai prossimo a lasciare il passo all'esercito dei professionisti delle armi. Nella giornata della visita di leva che costituiva un momento memorabile nella vita di tutti i giovani maschi italiani era certo la commissione medica militare a selezionare tra abili e riformati. Spettava poi alla sorte decidere la durata della ferma di ognuno. Ogni coscritto - dopo le doverose invocazioni a santi protettori e il ricorso ad amuleti e riti propiziatori che ogni regione elaborava con fantasiosa creatività - veniva lionato davanti all'urna e qui estraeva il suo numero: a numero piccolo corrispondeva una leva lunga, mentre agli altri spettava una ferma ridotta. I più fortunati erano quelli che pescavano la "rosa", vale a dire il numero più alto ottenendo in questo modo l'immediato congedo. Tradizionalmente la giornata - dopo essere passata attraverso la visita e l'estrazione • procedeva verso la sua tappa finale: il bordello dove avveniva solitamente l'iniziazione sessuale dei giovani coscritti che completavano in ernesto modo il rito di cooptazione nella società maschile adulta. Erano anni in cui dovere marziale e ostentata virilità marciavano assieme, eretti e tronfi, non solo nella casa di tolleranza ma anche nelle piazze d'armi e nelle vie cittadine, nei salotti e nei caffé. Del resto i nostri nonni e bisnonni - senza preoccupazione alcuna di risultare vulnerabili nella loro immagine di essere umani adulti ed evoluti - indossata la divisa esibivano un gallismo □tachista ignaro di ogni autoironia come emerge bene da una celeberrima pagina di «Cuore» di Edmondo De Amicis: «...s'avanzarono ipoidali 'del Genio coi pen¬ nacchi di crini e i galloni cremisi e si vedevano venire dietro di loro centinaia di lunghe penne diritte: erano gli Alpini...e infine passò di galoppo, con gli elmi al sole, con le lance erette, con le bandiere al vento, empiendo l'aria di tintinnii e di nitriti, il bel reggimento "Genova cavalleria"...». E se i giovani provenienti dai ceti popolari chiamati alla naja conoscevano più che le trionfali esibizioni machiste, le durezze e la disciplina della vita quotidiana nelle caserme, nonché il folklore e il dolore del nonnismo dilagante, ben diversa era la situazione degli ufficiali. Con una bella intuizione Attilio Giovannini in «Militarla» sostiene che il primato del personaggio dell'ufficiale sulla scena sociale nonché l'immediato e duraturo successo della sua immagine presso il gentil sesso, deriva dalla sua estrema esteriorizzazione «quasi paragonabile alla confezione di un moderno prodotto di consumo di cui subito viene indicato: corpo di appartenenza, gradi, campagne sostenute, decorazioni, ferite, specialità, arma, eccetera. Non c'è dubbio - continua Giovannini - che una simile garan- DA LEGGERE LJ. Domina, A. Giovannini Milita ria Rusconi, Milano 1981 E. De Amicis Cuore Einaudi. Torino 1972 l De Amicis La vita militare Treves, Milano 1908 zia esteriore sulla genuinità del personaggio è molto servita anche in periodo di pace ad offrire alla società borghese, e in particolare alla parte femminile di essa, un ideale di uomo - marito o amante di semplice e chiara struttura, simbolo di mascolinità, con tanto di etichetta dello Stato. ... E' cosi che questo ideale d'uomo, gestito dallo Stato in monopolio - come il chinino, il sale, le sigarette - riscosse fino al termine del secolo scorso e forse per qualche anno ancora, un enorme successo presso le donne; un vero primato in materia che invano gli chauffeurs in divisa (erano i primordi dell'automobile) tentarono di sottrargli». Come è noto la figura dell'ufficiale (e del militare) come detentore del primato sui cuori femminili perde colpi dopo la grande duerra e, alla fine, crolla: sostituita sin dagli Anni Venti/Trenta dall'immagine del divo, dell'attore cinematografico e poi - in tempi a noi più vicini - da quella della rockstar. Figure capaci di evocare ben altre suggestioni e alludere a più mossi scenari di vita rispetto a quelli suggeriti dal "prodotto umano " garantito dallo Stato e impacchettato nell'uniforme. Ma oltre a "essere buoni per la regina" ai nostri militari, nella storia del nostro Paese, è stato * chiesto di "essere buoni per il re". E questo ha significato molte cose: innanzitutto far fronte alle esigenze belliche e repressive espresse in quasi un secolo e mezzo di storia nazionale. Immediatamente dopo, ha voluto dire fare dell'istituzione militare la più poderosa macchina unifica' rice finalizzata a creare un minimo di omogeneizzazione tra le diverse popolazioni confluite nel Regno d'Italia. Un compito che le caserme, assieme alle aule scolastiche, hanno svolto per lunghissimo tempo. Grosso modo fino a quando questo ruolo è stato assunto dal mezzo televisivo, capace di raggiungere, con molta maggiore efficacia ed intensità, obiettivi un tempi perseguibili - almeno sulla popolazione giovanile maschile solo col servizio militare obbligatorio. Nella prossima scomparsa della naja, è dunque decisiva ormai la sua inadeguatezza, la sua obsolescenza nel funzionare da crogiuolo dove si "fanno gli italia¬ ni", sia quelli che qui sono nati sia quelli che giunti da orizzonti lontani lo diventeranno acquisendo diritto di cittadinanza. Sul ruolo dell'esercito e sulla naja come macchine di omogeneizzazione nazionale i generali e i politici artefici del Regno d'Italia avevémo le idee chiare quando nel 1863 decidono di "esigere il tributo militare con le norme di una sola legge, e sopra individui di una stessa età indistintamente, dall'Alpi al Lilibeo". Qualcuno, queste idee, preferisce scordarle. Per rammentarle basta sfogliare i giornali del tempo, ad esempio la «Gazzetta del Popolo» dell'11 dicembre 1860 dove, patrocinando l'idea di imporre da subito la naja ai giovani meridionali, si afferma: «Incorporati nei nostri reggimenti i giovani Sardi sono diventati continentali, e spregiudicati, e tornati alla loro isola, vi recarono i miglioramenti ottenuti dall'educazione militare. Così succederà pure ai coscritti dell'Italia meridionale poiché... le popolazioni dell'Italia meridionale sono generalmente ignoranti, illetterate... e con l'ignoranza stanno sempre assieme i pregiudizi politici, religiosi e d'ogni altro genere». Da allora, per fortuna, molta acqua è passata sotto i ponti della storia. Forse, per tenere assieme il Paese, c'è qualcosa di meglio della naja. DA LEGGERE LJ. Domina, A. Giovannini Milita ria Rusconi, Milano 1981 E. De Amicis Cuore Einaudi. Torino 1972 l De Amicis La vita militare Treves, Milano 1908 I giovani di ieri, reclutati per il servizio di leva oggi destinato a sparire, venivano ammoniti: «Chi non è buono per il re, non è buono per la regina»

Luoghi citati: Italia, Milano, Torino