L'Onu aTimor Est col permesso del boia di Francesca Sforza
L'Onu aTimor Est col permesso del boia Il problema della complicità L'Onu aTimor Est col permesso del boia Antonio Tabucchi V! ENTI settembre. Le forze di pace dell'Orni arrivano a Timor Est dopo molti indugi. Nel frattempo, generosi ma timidi aiuti umanitari - sacchi di riso trasportati via aerea per i rifugiati in montagna sono lanciati da altezze molto elevate al fine di rispettare la «sovranità» dell'Indonesia. Con l'inevitabile risultato che i sacchi scoppiano schiantandosi al suolo. Il simbolo è troppo clamoroso affinché possiamo acquietare le nostre coscienze con interventi così tardivi: tutto è scoppiato. Il genocidio è stato compiuto, le forze di pace serviranno solo a proteggere i sopravvissuti, mentre un rispetto «metafisico» di non si sa quale convenzione obbliga ancora la comunità intemazionale a chiedere il permesso al boia per venire in aiuto delle sue vittime. Sarebbe interessante che le Nazioni Unite ci spiegassero in modo convincente per quale motivo è necessaria, per intervenire, l'autorizzazione di un Paese che la stessa Onu ha già condannato più volte per aver invaso militarmente un territorio che non gli appartiene. Vorremmo anche che Kofi Annali ci spiegasse per quale paradosso l'Indonesia, dichiarata fuori legge dall'Organizzazione di cui egli è segretario generale, è da lui definita «un Paese che ha assicurato ventiquattro anni di pace e di stabilità a Timor Est>'. Forse le 250.000 vittime del genocidio orchestrato da Suharto sono la garanzia della «stabilità» a cui allude Kofi Annan? E' questo il suo prezzo? Dopo i massacri, sorge già l'ipotesi di processare i massacratori. All'alba del nuovo millennio, è la nuova speranza di coloro che, come chi scrive, credono a un diritto internazionale con la stessa fiducia recentemente accordata a diversi tribunali, per la loro azione nei confronti dell'ex-Jugoslavia o del dittatore Pinochet. Leggo sulla stampa una dichiarazione dello spagnolo David Balsa, presidente del Consiglio Europeo d'Azione Umanitaria e di Cooperazione, che si esprime a proposito della possibilità imminente di un tale processo, grazie alla raccolta di testimonianze dirette. I tribunali a cui sarà inviata questa documentazione so¬ no quelli del Portogallo, perché questo Paese continua a essere giuridicamente responsabile dell'amministrazione elei territorio, e dunque garante per la parte offesa. Su questo punto siamo perfettamente d'accordo, perché il Portogallo ò a pieno titolo la nazione giuridicamente più idonea a ricevere una simile documentazione internazionale. Tuttavia, in un caso come quello di Timor Est, la questione dei responsabili che saranno eventualmente giudicati, come spero, non deve limitarsi esclusivamente ai miliziani sanguinari che hanno ucciso con le loro mani, né ai soli generali dell'annata indonesiana che hanno collaborato con loro. Se, in un assassinio di ordine privato, i codici dei nostri Paesi considerano come egualmente responsabili l'esecutore materiale dell'assassinio e il suo diretto complice, sarebbe giusto che in un caso di genocidio gli autori di complicità in un massacro siano giudicati anch'essi. Nei suoi EcritS spirituéls Fénelon evoca il caso di una persona colpita dalla gotta, che cammina con dolore e difficoltà, e deve rendere visita a un amico in stato di bisogno. E formulava la seguente ingiunzione: «Cammina, continua a camminare, in nome di Dio, anche quando ti sembra di non avere più la forza né il coraggio di mettere un piede davanti all'altro». L'Orni, lo sappiamo, è afflitto da una gotta ormai di vecchia data. Ma è precisamente nel caso di Timor Est che deve camminare a qualsiasi costo, dopo che si è fatta garante di un referendum per l'indipendenza davanti alla comunità internazionale. La sua immobilità, che ha permesso il massacro, è a mio avviso una prova senza equivoci di corresponsabilità. Spero che nell'ipotesi di un processo internazionale, i giudici ne terranno conto. Ho ritrovato ultimamente, in un quaderno di appunti, (presta osservazione ili Walter Benjamin scritta negli Anni 30: «Coloro che sperano ancora, perché "non si può andare avanti così", capiranno prima o poi che alla sofferenza degli individui e a quella della comunità c'è un solo limile al di la del quale non si può andare: l'annullamento». Copyright Le Monde (Traduzione di Francesca Sforza)
Persone citate: Antonio Tabucchi V, David Balsa, Kofi Annali, Kofi Annan, Pinochet, Suharto, Walter Benjamin
Luoghi citati: Indonesia, Portogallo, Timor Est
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