«Noi, in lutto per i martiri di Porta Pia » di Maria Corbi

«Noi, in lutto per i martiri di Porta Pia » «Fu una violenza contro la Chiesa, ci sentiamo autorizzati a ricordare quella tragedia» «Noi, in lutto per i martiri di Porta Pia » Messa di «riparazione» a Roma dell aristocrazia nera Maria Corbi ROMA La bandiera pontificia, che sventolava su Porta Pia al momento dell'assalto dei bersaglieri sabaudi e della breccia, attraversa la navata della chiesa di San Lorenzo in Lucina tra ali di aristocratici che pregano per i «martiri» del 20 settembre del 1870, i soldati che difesero fino alia morte lo stato Pontificio. Nel tessuto, giallo e bianco, ci sono ancora le pallottole che colpirono al cuore il potere temporale della Chiesa. Oggi come allora l'aristocrazia «nera», ossia papalina, è in lutto. E sono in molti quelli che vorrebbero «riparare» quella breccia. Il principe di Cerveteri, Sforza Ruspoli, non è certo rassegnato e ha voluto ricordare con una messa solenne quella data. «Fu una violenza contro Santa Romana Chiesa», commenta il principe. «Roma fu presa a cannonate e noi ci sentiamo autorizzati a ricordare questa tragedia. Ma vogliamo anche ricordare il massacro di cattolici a Timor est e pregare per questi martiri». Ruspoli, ormai un anziano signore con grinta, nutre ancora speranze in un ritorno al passato: «per l'Italia unita sarebbe stato un grande onore avere lo stato pontificio nel suo cuore. Io ho proposto di internazionalizzare Roma e di farla reggere da un governatore nominato dal Santo Padre. Solo così si potrà liberarla dalla criminalità e dall'inquinamento morale». Il revisionismo storico impera nella chiesa gremita di anziani «don», di austere nobildonne con il velo nero a coprire il capo, di diplomatici, di cavalieri di Multa. Ci sono tutte le casate romane: Borghese, Colonna, Torlonia, Lancellotti. Ma ci sono anche rappresentanti dell'aristocrazia europea: Thurn und Taxis, Windisch Graetz, Davalos, la duchessa di Segovia. In prima fila, tra loro, c'è il governatore della Banca d'Italia Fazio. Dietro di lui Ombretta Fumagalli Cantili, poche file dopo Pino Rauti. E in una delle cappelle laterali, Dado Ruspoli, il principe «stravagante» che con la sua camicia botton down rossa e i pantaloni sportivi bianchi non riesce a passare inosservato. Celebra il cappellano capo dell'Ordine di Malta, monsignor Azeglio Manzetti. 1 paramenti sono quelli dei martiri, rossi. Le parole escono dal passato: «Il 20 settembre tramontò il potere temporale della Chiesa. La storia che poi è seguita fa meditare. Fu disgrazia? Fu fortuna?». Dall'ondeggiare dei capi la risposta del pubblico di sangue blu pare evidente. Certo non fu fortuna, è il pensiero comune. Ma c'è la paura di essere fraintesi. «Noi amiamo l'Italia», ci tiene a dire Sforza Ruspoli.. Ai lati dell'altare, nel presbiterio, siedono il cardinale Idelfonso Stickler e il nunzio apostolico in Italia monsignor Andrea Corderò Lanza di Montezemolo. La messa e recitata in latino con il canto gregoriano guidato dal maestro della cappella pontificia Pablo Colino. L'atmosfera è solenne e dalle facce si intuisce il desiderio di tornare indietro nel tempo. Non è un caso se non ci sono giovani. Sola, in prima fila, siede Giacinta, adolescente, figlia del principe Ruspoli che ascolta attenta. Lei che sarà maggiorenne nel duemila è stata educata al passato e quando parla del padre dice: «il principe». Ma se lo sguardo di chi osserva riflette dei vecchi signori nostalgici, le parole che si ascoltano sono tutt altro che rassegnate. «Non siamo - dice Mons. Manzetti, custode dei musei - i detentori di ricordi, ma il popolo di Dio in marcia verso un futuro di Dio. Abbiamo bisogno di eroi, santi, che facciano risplendere l'idea del cristianesimo». Nei banchi nobildonne con il velo, diplomatici, duchesse straniere A sinistra la bandiera pontificia, sopra il governatore della Banca d'Italia (al centro) e il principe Sforza

Luoghi citati: Cerveteri, Italia, Roma, Timor