La prima e ultima First Lady sovietica

La prima e ultima First Lady sovietica La prima e ultima First Lady sovietica Sociologa siberiana, tenne testa a Nancy Reagan MOSCA Quando nacque, il 5 gennaio 1932, in una povera famiglia di dipendenti della ferrovia, nessuno poteva immaginare che Raissa Maximovna Titarenko avrebbe avuto un destino sfolgorante, al centro di avvenimenti che hanno cambiato il mondo. Rubzovsk, dove è cresciuta, è una delle tante anonime città della Siberia. L'unica attrazione locale era il poligono per i primi missili atomici russi: una vicinanza che, dicono, potrebbe aver echeggiato 50 anni dopo nella leucemia che ha divorato Raissa. Per lei l'iscrizione all'università di Mosca era una chance imica. Come per il suo futuro marito. Erano gli anni del disgelo kruscioviano, all'università si respirava un'aria di libertà. Raissa e Mikhail si conoscono tra dibattiti politici e feste da ballo. Per lui è un colpo di fulmine. Lei è titubante, è appena uscita da una storia fallita, ma poi cede alla sua promessa di rimanere sempre accanto a lei. Si sposano nel 1953 con una cerimonia povera: Raissa ricordava con un sorriso la fatica fatta per comprare le scarpe e il vestito. 11 26 settembre dovevano festeggiare il 46° anniversario di una vita in comune che ha fatto invidia a molti: la figlia Irina ha confessato di aver divorziato perchè il suo era un matrimonio «come quello di tutti gli altri», lontano dall'ideale dei genitori. Una coppia innamorata e complementare: secondo Anatolij Cerniaev, vecchio assistente di Gorbaciov, Raissa ha contribuito alla formazione del padre della perestroika: «Lui era vivace, con una gran voglia di divertirsi. Lei era più portala alla disciplina intellettuale, lo costringeva a studiare». Erano entrambi avidi di libri, teatro, musica. Ma, dice Cerniaev, «era lei che sceglieva le cose da vedere». Nel 1955 si sono laureati, lui in giurisprudenza, lei in filosofia. La scelta fu a favore della carriera di Mikhail, che tornò in patria, a Stavropol. Ma Raissa non voleva e non poteva vivere soltanto di luce riflessa. E' stata tra i primi sociologi in un Paese dove lo studio dell'opinione pubblica era vietato. Non è mai slata una buona casalinga: Gorbaciov ha ricordato ridendo minestre troppo salate e polpette abrustolite della sua «Zakharik». Ma non si è mai lamentato. Attiva e coita, la signora Gorbaciova è stata costretta ad abbandonare il lavoro di professoressa solo diventando first lady. L'11 marzo 1985 Mikhail è tornato a casa tardi e l'ha portata per la tradizionale passeggiata nel parco, annunciando che era stato eletto segretario generale del Pcus. Pochi giorni dopo Raissa ha cominciato accanto al marito la sua piccola rivoluzione. Solo vederla scendere la scaletta dell'aereo mano nella mano con lui era stato uno shock per i sovietici. I tallieur color vino, la messa in piega perfetta, tutta la sua figura sottile e curata erano in stridente contrasto con le mogli «contadine» di Krusciov e soci, che apparivano in pubblico soltanto ai funerali del proprio marito. Tutto quello che faceva era inedito: beneficenza, attività culturali, patrocinio di iniziative sociali. Raissa rompeva tutti i schemi, e non solo in Russia: è stata la prima donna a presentarsi in Vaticano non nel tradizionale nero, ma con un abito rosso ciliegia. Per i russi comuni era troppo protagonista e presuntuosa. Ma l'Occidente applaudia questo volto femminile della perestroika. Ovviamente, si aprì subito un torrente di pettegolezzi: da diamanti pagati con carte di credito d'oro a ministri licenziati o nominati in base alle sue sùnpatio. Solo anni dopo Raissa raccontò di essere riuscita a tenere testa a Nancy Reagan nella loro famosa battaglia a colpi di guanti e colletti grazie a due modeste sarte di Mosca: niente griffe parigine. Li» moglie dell'ex star di Hollywood non sopportava il tono un po' didattico della professoressa siberiana: «Ma chi crede di essere questa qui?», sbottò un giorno Nancy. Una frase ripetuta spesso anche a Mosca, dove Gorbaciov veniva accusato di essere «sotto il tacco della moglie». Ma Cerniaev nega: «Lui le diceva tutto, questo è certo», dice, «ma non penso proprio che il destino dell'Urss si sia deciso in quelle famose passeggiate notturne». I russi comunque non l'hanno perdonata nemmeno dopo la tragedia di Poros, dove nell'agosto '91 i Gorbaciov vennero tenuti in ostaggio dai golpisti. Quei 4 giorni di terrore le costarono un ictus e un'ombra di paura che le è sempre rimasta negli occhi. Cerniaev, che ha vissuto la prigionia insieme a Gorbaciov, è spietato: «E' stato il male che le hanno fatto allora a portare all'esito di stamattina. La pallottola sparata nel '91 l'ha abbattuta adesso».

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