La rivincita di Sciascia di Filippo Ceccarelli

La rivincita di Sciascia La rivincita di Sciascia Filippo Ceccarelli GUAI a dire: su questo non si saprà mai cosa è successo davvero. Guai a pensare che i segreti, specie quelli più imbarazzanti, se li portano via i morti. Guai a illudersi che il potere democristiano e il partito comunista abbiano sempre servito l'interesse nazionale e la verità. E che per opportunismo la magistratura non abbia assecondato falsità e occultamenti. Sarebbe piaciuta in modo particolare a Leonardo Sciascia — di cui a novembre ricorre il decennale della morte — questa storia dell'archivio Mitrokhin. Tra le vicende che da giorni filtrano a singhiozzo sui giornali, fra spie, finanziamenti, ricatti e depositi d'armi, c'è una piccola rivelazione, perfino marginale, che comunque getta luce, fa giustizia e risolve a suo favore una controversia sui collegamenti internazionali del terrorismo. Una polemica, anche giudiziaria, che nel 1980 vide inesorabilmente contrapposti lo scrittore siciliano e un'altra grande figura di quel tempo, Enrico Berlinguer. Uno dei due aveva mentito. Sia pure in forma incompiuta, i magistrati decisero che il mentitore era Sciascia. Giudizio da rivedere. In quelle carte si trova infatti la conferma che negli Anni Settanta il pei faceva continue pressioni su Mosca perché i servizi segreti cecoslovacchi (Stb) la finissero «con l'assistenza alle Brigate rosse». Non solo, ma secondo l'archivista Mitrokhin nei giorni del sequestro Moro la direzione del pei era «tormentata dalla paura» che questa assistenza venisse rivelata. Tutto qui. Non si dice che i cecoslovacchi si presero Moro; ma che alle Botteghe Oscure avevano dei sospetti e dei timori su un possibile coinvolgimento di Paesi e servizi dell'Est nel terrorismo italiano. Il che era esattamente quel che allora Berlinguer e in generale il pei non vollero ammettere, come del resto gli Eoneva la ragion di parti- A quest'ultima l'intellettuale Sciascia — e per la verità, in quell'occasione, anche il deputato radicale Sciascia, impegnato nella commissione Moro — non volle piegarsi. Così, 19 anni orsono, interrogando l'ex presidente Andreotti, non esitò a raccontare che nel corso di un incontro privato, nel 1977, Berlinguer gli aveva «tranquillamente» confidato le sue preoccupazioni — che poi erano le stesse dei de — su eventuali aiuti cecoslovacchi alle Br. Era la verità, ma fu un'imprudenza. Berlinguer negò, anzi querelò lo scrittore, che a sua volta controquerelò per calunnia il leader comunista. Un terzo grande personaggio presente al colloquio. Renato Guttuso, senatore comunista, venne chiamato da Sciascia a testimoniare a suo favore. Ma diede ragione a Berlinguer, che era il segretario del suo partito: in quell'incontro non c'era stato alcun accenno alla Cecoslovacchia. Si ruppe, in quel modo, un'amicizia storica, tra siciliani. Nel giugno del 1981 i giudici archiviarono la causa, dando tuttavia per assodate «le falsità dell'onorevole Sciascia», che peraltro non era mai stato ascoltato. «Guai ai soli e agli assenti» commentò lui pieno di sdegno. Troppi interessi in campo, troppo forte il dominio delle appartenenze. Vicenda scomoda e, come tale, quant'altre mai dimenticata, rimossa. Fino a quando un oscuro archivista del Kgb non apre i suoi forzieri; e la verità di Sciascia si fa strada con il potere abbagliante di una vendetta postuma, eppure viva. O come avrebbe detto lui: «A futura memoria». ;ur^j|

Luoghi citati: Cecoslovacchia, Mosca