In Algeria un plebiscito per il perdono

In Algeria un plebiscito per il perdono IL TRIONFO DELIA POLITICA DEL PRESIDENTE BOUTEFLIKA In Algeria un plebiscito per il perdono Quasi il 100% di sì alla pacificazione con gli integralisti reportage Domenico autrice ALGERI ESIGEVA un plebiscito. Lo ha avuto. Una maggioranza del 98% può sembrare pantagruelica, perfino esorbitante se non si tiene conto della passione con cui la gente gli dà ascolto. Perché le cose che dice sono proprio le cose che gli algerini oggi vogliono sentirsi dire. Invocava una cambiale in bianco. Adesso il presidente Abdelaziz Bouteflika la tiene ben stretta in pugno, pesante come i 14 milioni di schede che gli elettori hanno gettato nelle urne per dire «sì» al suo referendum per la pace. Ieri sera il presidente è apparso in televisione visibilmente soddisfatto: «Oggi è stata sconfitta la disperazione», ha detto aggiungendo: «Tutta l'Algeria esige che non ci sia più integralismo». Poi Bouteflika ha colto l'occasione per rilanciare ancora una volta il suo appello ai militanti islamici perchè depongano le armi. Nel 1992 gli algerini volevano cancellare una ben stratificata miseria e votarono il Fronte islamico che gli garantiva il paradiso. In cambio hanno ricevuto l'inferno del terrorismo e della guerra civile. Nel 1995 regalarono una montagna di voti al presidente Zeroual che sussurrava la parola pace. E furono altri quattro anni di convulsioni sanguinarie. Forse questi ricordi li hanno indotti ad accogliere il risultato del referendum con una composta gaiezza: niente cortei di auto, niente clacson, niente danze. Eppure tutto palpita e spera. E stavolta, forse, ci sono ragionevoli possibilità che questa gente non sia di nuovo privata di quel lungo sospiro di sollievo a cui ha buon diritto. Bouteflika, a dispetto del suo cesarismo, sovrasta di gran lunga gli autocrati di terza categoria che hanno finora retto il Paese. Ma il compito che l'attende ;per non restare invischiato, in questo «sì» plebiscitario è immenso: bisogna assicurare il pane ai cittadini, fornire allo Stato i mezzi per dare al Paese ossatura e muscolatura. E la materia da maneggiare è un materiale apocalittico. Le commissioni che devono verificare i dossier sui terroristi pentiti che danno l'addio alle armi per concedere amnistie, sconti di pena, agevolazioni, lavorano come alveari. Centinaia di libelli si sono già arresi, e le loro storie (esemplari) affollano i giornali. Ma come impedire che dietro le sentenze non restino vendette e favoritismi? Che responsabili di orrendi massacri finiscano nel confortevole purgatorio dei perdonati? E come rispondere alla rabbia dei parenti delle vittime dei gruppi islamici, un'armata dolente fino a ieri sbandierata come modello eroico e oggi improvvisamente diventata fastidiosa? E poi c'è il dubbio più inquietante: funzionerà davvero il perdono, visto che decine di pentiti hanno già reindossato l'antica divisa, approfittando della tregua per prendere fiato? Il governo ha armato i gruppi di autodifesa, squadre di vigilantes che pattugliavano i villaggi: hanno trasformato la guerra ai fondamentalisti in una convulsa faida dove si annodano, inestricabilmente, vendette private, loschi interessi, guerre di clan. Se la pace verrà bisognerà rimandarli a casa senza fucili. Ma chi li difenderà dalle vendette dei nemici di ieri, riammessi improvvisamente nella società? Bachir ha una bella divisa verde, un bel kalashnikov, guida una bella jeep con i colori dell antiterro¬ rgl rismo. Anche lui parla di pace e giura che non vede l'ora di salutare la fine di quest'mterminabile macello. Ma chi gli dirà che adesso è diventato inutile, grazie tante, torna a casa, addio divisa, stipendio per diventare un altro dei tre milioni di disoccupati? La sicurezza e la guerra sono da sette anni l'unico impiego sicuro di questo Paese. E l'unico grande business per generali e trafficanti. Molti, troppi, perderanno soldi ed onori e si alleeranno con l'altra mafia, quella dell'import-export e degli affari loschi. Eppure senza l'appoggio dell'eser¬ cito Bouteflika è debole perché, qui, un presidente che non fa paura è un presidente morto. E la corruzione, quella che Bouteflika chiama nei suoi comizi «il terrorismo amministrativo»? Cacciare i pescicani è un'avventura complicata in un sistema di potere dove i clan affaristico-militari si equilibrano per impedire che uno si espanda eccessivamente. E il divieto di aprire questi dossier è proprio uno di quegli invalicabili limiti che circoscrivono ogni incremento di materia. Una folla fitta, ieri alle 13, scivo¬ lava già dai labirinti della casbah verso la Grande Moschea per la preghiera. L'imam è stato generoso; anche lo straniero, l'infedele, poteva entrare e inginocchi arsi tra la folla dei giusti. Perché ieri era davvero una giornata speciale, un giorno di pace. Schiere compatte oscuravano i portici, nascondevano, riverenti, il colore dei vecchi tappeti, rubavano l'ombra all'antico fico contorto che guizza nel candore del giardino centrale, accanto alle vacche della purificazione. Antichi corani frusciatiti, marmi guarniti di morbidi trafori, compunzione e splendore, ascetismo e calca. La faccia del vecchio imam è una garza di rughe, la sua voce fina di esclamativi mentre spiega il Verbo: «La comunità di Dio e una sola, composta di fratelli. La via del perdono che il Signore traccia ogni volta è larga. Questo dobbiamo sapere adesso che a piccali passi si apre un tempo di speranza. Ma non bisogna offrire a Dio più di quanto lui ci chiede: pietà e perdono. Perché già questo è peccato». Le parole dell'imam sono in un arabo dotto e antico, molti dei fedeli ascoltano compunti senza capire. Ma c'è una parola che tutti conoscono, ripetuta dieci-cento volte; silim, pace. A questa gente Bouteflika ha proposto una via: in Algeria è necessario per chiudere la guerra un consapevole oblio. Ci sono casi in cui occorrono non solo ricordi comuni, talvolta si deve anche dimenticare tutti insieme. Si mormora che nel progetto per la concordia civile prima o poi sarà iscritta anche la riammissione nella scena politica del Fronte islamico, all'indice dal 1992, anche se Bouteflika ripete che il fondatore del Fis, Madani, sarà liberato dagli arresti domiciliari solo quando rinuncerà esplicitamente alla vita politica. Per riammettere l'Islam sono stati inventati in questi anni partiti che nascondono dietro il velo di un altro nome le parole di un tempo. Fc-rse il calvario di questo Paese finirà solo quando islamico diventerà di nuovo una ovvietà, un aggettivo con funzioni dimostrative, come buono o pietoso e non una bandiera di guerra. Due donne algerine festeggiano la schiacciante vittoria del presidente Bouteflika

Luoghi citati: Algeri, Algeria