Sicilia, il dubbio di Angelo di Pierluigi Battista

Sicilia, il dubbio di Angelo UN LABORATORIO DI CRISI DOPO LE DIMISSIONI DEL PRESIDENTE REGIONALE CAPODICASA Sicilia, il dubbio di Angelo In giunta, forse, torna Rifondazione reportage Pierluigi Battista inviato a PALERMO TRA una riunione e l'altra il presidente dimissionario della Regione Sicilia Angelo Capodicasa sfoglia i giornali e viene assalito da un dubbio: «Se avessi saputo che le mie dimissioni si sarebbero accavallate alla crisi nella Regione Sardegna causata da programmi mal scopiazzati forse avrei calibrato diversamente i tempi». Naturalmente quella del presidente dimissionario del governo regionale di centro-sinistra è solo una scherzosa civetteria, ma esprime il malcelato disappunto di chi vede sovrapporsi sui media le conseguenze di una madornale gaffe, quella che ha fatto abortire la nuova giunta sarda, ,e la tempesta che sta scuotendo il «laboratorio» siciliano, annuncio di ciò che porta accadere di qui a poco nella politica nazionale, esperimento di alleanze ed equilibri che potrebbero anticipare dinamiche politiche pronte per essere incorporate altrove. La «Sicilia come metafora», per mutuare l'immagine riassunta in un noto dialogo tra Leonardo Sciascia e Marcelle Padovani. La Sicilia come banco di prova, e proprio nel pieno di una crisi regionale che ha spazzato via un governo di pochi mesi nato dal passaggio di eletti del Polo folgorati dal verbo di Francesco Cossiga e destinati a rimpolpare le truppe del centro-sinistra per dare vita al grande ribaltone di Palazzo dei Normanni. Hanno un bel dire i responsabili del centro-sinistra come del centro-destra che non è «questione di numeri». E invece è proprio tutta questione di numeri. 1 numeri di una maggioranza risicatissima che, per usare l'espressione del presidente dell'Assemblea regionale Nicola Cristaldi, di Alleanza Nazionale, è legata mani e piedi «ai rimasugli della Prima Repubblica»: che poi è un modo di definire con estrema brutalità le anime in pena della diaspora democristiana che tutte insieme formano in Sicilia un più che cospicuo bottino elettorale, comunque decisamente più ragguardevole di quello tristemente racimolato in altre zone d'Italia, ma che in ogni caso hanno perduto quella supremazia incontrastata dello Scudo Crociato d'antan. Non è una questione di numeri? Ma i numeri sono fondamentali quando si tratta di imbarcare in quello che il politichese locale ha già ribattezzato «il Capodicasa bis» i deputati regionali di Rifondazione comunista. Ed è fondamentale anche il maggior numero di forze politiche destinate ad esigere «visibilità di governo» in un'ipotetica nuova giunta rinvigorita dall'apporto del partito di Bertinotti. Così fondamentale che, essendo il numero degli incarichi di governo costante a dispetto di ogni contorcimento verbale, sui numeri si giocherà anche la disponibilità di molti «centristi» a sostenere un governo che non soddisfacesse antiche e nuove velleità di potenza. Ci sono i numeri per fare un nuovo governo di centro-sinistra. Ma ci sono anche i numeri per fare il contro-ribaltone tra Palazzo dei Normanni e Palazzo d'Orléans: nell'andirivieni della po¬ litica siciliana come di quella nazionale, tutto è possibile. Così come è possibile che da parte di molti esponenti di Alleanza nazionale, presidente Cristaldi compreso, si ascoltino moderatissimi appelli all'eventualità delle «larghe intese» con accenti molto diversi dal muro contro muro predicato in questi giorni a Roma da Gianfranco Fini. Così come è possibile che Forza Italia, che con Berlusconi sta mostrando in Italia e in Europa il volto dialogante e moderato, in Sicilia appaia tra i partiti maggiori quello più riluttante a parlare di «larghe intese». Sono davvero possibili molte cose, nel complicato «laboratorio» siciliano che oggi si mette in mostra a Palazzo dei Normanni. Del resto, nella storia politica siciliana, in quella della Regione come in quella dei Comuni più rapprsentativi, ovviamente in primis di Palermo, il «laboratorio» ha funzionato più che egregiamente. Funzionò ai tempi del «milazzismo». Funzionò quando nella regione siciliana si sperimentò per la prima volta, all'inizio degli Anni Sessanta, la formula del centro-sinistra con la collaborazione tra democristiani e socialisti. Funzionò nell'epoca che i nemici del «compromesso storico» definiscono «consociativa» ma dove si forgiarono gli strumenti per rinsaldare anche sul piano nazionale la politica di disgelo tra De e Pei. Funzionò con quella secessione nel corpo democristiano che coincise con l'impetuosa crescita del fenomeno Leoluca Orlando e che ebbe sì l'effetto di sconvolgere i già precari equilibri dell'universo democristiano ma anche quello di terremotare la geografia della sinistra, con un Pci-Pds che nonostante le rampogne di un suo esponente storico come Emanuele Macaluso conoscerà, calamitato dal ciclone Orlando, un declino tempestoso e drammatico. Oggi che si è ufficialmente aperta la crisi del governo regionale di Angelo Capodicasa, il «laboratorio» siciliano si trova di fronte a un bivio. Con il particolare che ambedue le strade abbordabili potrebbero rappresentare un eloquente esempio per la politica nazionale. O comunque una forte tentazione. Se ci sarà un nuovo governo con l'apporto determinante di Rifondazione comunista, sarà la prima volta di un clamoroso reincontro ravvicinato tra l'Ulivo e il partito di Bertinotti come non era pensabile sin dai tempi della traumatica caduta del governo Prodi. Il presidente dimissionario Capodicasa minimizza e sostiene che «malgrado la rottura sul [liano nazionale, in molte realtà Rifondazione comunista ha continuato a governale con il centrosinistra». Solo che un conto è continuare a governare, un altro è lanciare un segnale di riavvicinamento anche in vista delle prossime elezioni regiona li. Se invece una parte dei deputati dell'Udeur subiranno il richiamo delle sirene del centro-destra abbandonalo un anno fa, allora anche il nuòvo potere calamitante; de! Polo riceverà certamente un nuovo impulso. Da Forza Italia e da Alleanza nazionale dicono tutti di aspettare «a braccia aperte» i figlioli prodighi che volessero tornare in famiglia dopo un anno di divagazione a sinistra e dicono, con sarcasmo, che l'elettorato «moderato» è capace di dimenticare le tentazioni dei transfughi tornati nel porto originario. Ma non si sa quanto questa disponibilità sia tattica e quanto sincera inclinazione al perdono politico (ed elettorale). Nel «laboratorio» siciliano sono al lavoro. Tra qualche giorno si conoscerà il contenuto del messaggio politico spedito a Roma. An non esclude l'ipotesidelle «larghe intese»anche se a Roma Fini vuole il muro contro muro Ma Forza Italia insiste per far tornare nella «casa del centrodestra» i transfughi dell'Udr Il sindaco di Palermo Leoluca Orlando e Nicola Cristaldi presidente dell'Ars A destra: Palazzo dei Normanni, sede dell'Assemblea regionale siciliana In basso: Angelo Capodicasa