Algeri festeggia già la pace di Domenico Quirico

Algeri festeggia già la pace IL SOGNO DI DIMENTICARE GLI ANNI DELL'ODIO Algeri festeggia già la pace Ressa alle urne per il referendum sul perdono reportage Domenico Quirico inviato ad ALGERI TUTTO è cominciato qui, a Bab el-Oued, e tutto da qui può ricominciare. Dieci anni fa i calvinisti del Profeta calpestavano le strade di questo quartiere, cuore povero di Algeri, con i manifesti e gli slogan del partito islamico. Giovani predicatori per cui, come diceva Khomeini, l'Islam è politica o è nulla, davano fuoco alla rabbia popolare, gridavano che la povertà è il vero peccato contro cui è legittimo rivoltarsi. Erano le premesse di una tragedia finora senza catarsi, perché quella possibile Repubblica dei Giusti è diventata, in realtà, un cimitero del terrorismo con 100 mila nomi. Allora è qui che bisogna venire per capire se il perdono proposto dal presidente Bouteflika per chiudere questo calvario, è davvero possibile. Tra questi edifici sgualciti dall'incuria dove un tempo abitava la piccola borghesia coloniale, nelle vie strette nelle piazzette voluttuose impregnate da quel senso di lieve intenerimento che sempre destano le cose finite dal tempo, ieri, giorno del referendum sulla legge per la concordia nazionale, confortato da un plebiscitario 80% di votanti è stato .un giorno di festa. Qui l'invito a far diventare improvvisamente passato questi anni di Caino concedendo amnistie e sconti di pena ai terroristi islamici ha trovato un popolo entusiasta. La speranza di un cambiamento, di «piantare il seme della pace» come ha chiesto il Presidente è fragorosa, palpabile, evidente. La folla che cola tumultuosamente in mille rivoli sembra ringiovanita. Per sette interminabili anni abitare a Bab elOued (e nella casbah, a Eucaliptus, a Khuba, nei cento quartieri poveri della capitale) voleva dire, per la geografia semplicistica della guerra civile, essere sospetti, nemici. Adesso raccontare come le loro vite scivolavano via cupe e mute è una verità che brucia sulla lingua di tutti: «Avevano assassinato la gioia di vivere. Attentati, delitti, autobombe. Il tuo miglior amico, il vicino di casa improvvisamente sparivano e non sapevi se erano diventati terroristi o se erano stati portati via dalla polizia. E poi coprifuoco, retate, controlli, una vita quotidiana sgangherata, incerta, impossibile». Mazzi fitti di ragazzi, di giovani presidiano i caffè odorosi di menta: tra loro scopri il segreto del successo veemente del Presidente. Tutti, in Algeria, avevano un buon motivo di opporsi alla guerra, tutti la deprecavano, ma nessuno pronunciava con sufficiente energia la parola «basta». E la guerra continuava, andava avanti per conto suo per forza d'inerzia. Bouteflika ha detto questa parola: per calcolo politico certo, per dare anche contenuto a un potere fortemente personalizzato, ma lo ha fatto. E la gente ha creduto. Davanti al mercato del pesce una folla di uomini, giovani e vecchi, aspetta seduta in terra con la pazienza del musulmano. Sono, tutti, senza lavoro. Da tre, quattro anni. Come loro in Algeria sono 3 milioni. Ascoltano avidamente le promesse che con la pace la miseria finirà, che la riconciliazione porterà con sé, miracolosamente, misteriosamente, anche il lavoro, benessere, il futuro. Più le assicurazioni sono vaghe e più seducono, convincono. Il Presidente tuona contro «la mafia del cemento, del caffè, dello zucchero e delle medicine», minaccia di licenziare corrotti e pescecani di Stato: la gente è certa che questa è la volta buona, tutto cambierà. Sette anni fa i problemi erano gli stessi, corruzione, povertà disoccupazione, e votarono per il Fronte islamico. Adesso chiedono di mettere tra parentesi una storia sanguinosa e riprovare: e loro dicono di sì. «Credetemi, Bouteflika è diverso, è di un'altra razza - si infervora un ragazzo - Zeroual, suo predecessore, era portato a spasso dai generali, aveva le mani legate. Lui invece sa che le casse dello Stato sono vuole. Perché? Certo non siamo stati noi a rubare. E lui conosce i nomi e cognomi dei ladri. Per la prima volta abbiamo un vero capo di Stato». Le speranze di questa gente povera sono anch'esse semplici, povere: «Cosa vogliamo? Lavorare, non essere tristi, niente autobombe, niente posti di blocco, niente morti. Gli islamici? Non sono certo loro che lì porteranno in paradiso, se ci arriveremo sarà per inerito di Dio. Non vogliamo politica. Vogliamo la pace». Per colmare il vuoto è pronto già un mito, un'età dell'oro. E poco importa se sono gli anni del partito unico, del socialismo arruffone e bacato. Gli anni in cui Boumedienne, un presidente personalmente- ascetico, metteva le premesse per tutti i mali del dopo: corruzione, approssimazione amministrativa, burocrazia incapace, politica estera al di sopra dei propri mezzi. «In quel tempo ripetono tutti - avevamo un lavoro, la casa e l'assistenza, non c'era odio, ci sentivamo tutti fratelli, eravamo invidiali e rispettati dal mondo. E' stala l'epoca più bella dopo l'indipendenza. Bouteflika era il braccio destro di Boumedienne e la farà ritornare». Ma anche nel giorno del possibile perdono c'è un'Algeria che non può essere costretta a dimenticare, che insiste: non esiste prescrizione contro la giustizia neppure in nome di un bene superiore. Kheltoumi Zinou è la portavoce dei «Comitato contro l'oblìo e il tradimento)), che raggruppa migliaia di parenti delle vittime del terrorismo. Il marito era un giornalista del quotidiano «Liberto» che è stato ucciso dalle pallottole dei gruppi islamici. «Noi diciamo no a una legge clie trasforma gli assassini, la gente che ha sgozzalo bambini, bruciato scuole, violentato ragazze in algerini come tutti gli altri; gli dà gli stessi diritti di chi non ha fatto nulla. Chiediamo semplicemente che si applichi la legge: a ogni crimine una pena. Vi sembra troppo? Certo ci possono essere riduzioni, come avete fatto voi in Italia, ma l'amnistia generalizzata mai. Famiglie vedono l'assassino dei loro figli, dei mariti, dei fratelli che già passeggiano per strada, liberi, impuniti, arroganti. Chi è morto per l'Algeria, chi è morto per la democrazia è morto per nulla? Io non ho scelto di essere vedova. Vado a casa ogni sera e non trovo mio marito. Chi lo ha ucciso ora esce di prigione, torna dai suoi, abbraccia i suoi cari. Rispondetemi: è giusto?». ro¬ Solo il «Comitato contro l'oblìo» grida il suo no marito era quotidiano to ucciso dgruppi islam«Noi diciclie trasforgente che hbruciato sc i l Grande entusiasmo nel quartiere di Babel-Oued, che è stato la culla dell'integralismo Presidio davanti a un seggio elettorale; il voto di un anziano e quello del presidente Bouteflika Solo il «Comitato contro l'oblìo» grida il suo no

Persone citate: Bouteflika, Eucaliptus, Kheltoumi, Khomeini, Profeta, Zeroual

Luoghi citati: Algeri, Algeria, Italia