Il gotico

Il gotico Il gotico Madonne e miniature LA MOSTRA : DELLA SETTIMANA Marco Vallerà SIAMO sempre pronti, e doverosamente, a fare le pulci al sistema assopito e distratto del mondo museale italiano, ma quando le cose si muovono e le istituzioni si danno seriamente da fare per rispolverare un patrimonio trascurato e cadente, bisogna anche riconoscerlo con tempestiva obiettività e premiare i meritevoli paladini di queste sporadiche imprese di ardimentosa rinascenza. E' il caso per esempio, quest'anno, del fiorire abbastanza inconsueto di una messe sorprendente di mostre tra le più ■varie nel territorio marchigiano, che vanno dall'arte classicoromanica della straordinaria rassegna di capolavori de / libri di pietra ad Ancona, all'estro LA MO: DESETTIMarco settecentesco di Ghezzi, al liberty di De Carolis. Una trentina di mostre, da riempire un'intera pagina di pubblicità del Giornale dell'Arte e da girare per settimane nei paesini delle Marche (tra l'altro così mal servite da una politica delittuosa di turismo ferroviario) e per di più in contrade segnate dalle ferite fresche del terremoto) ma anche da una cocciuta volontà di ben vigilata ricostruzione. Ed infatti si tratta spesso non già di faraoniche mostre vuote e strombazzate dai mass media, con pericolosi trasbordi di capolavori e l'unico interesse (privato) dell'assessore di turno, ma di rassegne ragionevoli e contenute, frutto di ricerche serie e meditate, di cataloghi preziosi per il proseguire degli studi e capaci di riaccendere meritoriamente l'interesse sui piccoli mu- STRA LA MANA allerà sei trascurati. Dove spesso si nasconde molta più arte che non alle kermesse iperpubblicizzate: ed è giusto preparare un nuovo pubblico, nomade e curioso, che alle file eclatanti del mostrificio estivo preferisce la scoperta attenta e autunnale del gioiello nascosto. E' il caso per esempio di questo prezioso trittico di mostre sul Gotico nelle Marche e il nascente Rinascimento «umbratile», che fanno di quell'isola felice, a contatto con l'Umbria presto conquistata dalle dolcezze peruginesche, uno dei centri pittorici più ricchi e innovativi dell'intera Europa tardogotica, e fioritissima: una pittura gentile, affabile, casalinga quasi, con quell'attardarsi a descrivere rocchetti, fusi e zucche. Per esempio, fino a qualche anno fa l'importante museo di San Severino era una specie di magazzino cadente e polveroso dove a stento intravedevi il luccicare sublime dell'arte cortese dei due grandi fratelli Salimbeni, che pure di lumi seduttivi avevano disseminato la loro nevralgica pittura (lo Sposalizio mistico in pinacoteca è emblematicamente datato 1400, ed è impressionante pensare che in un minimo centro come questo il ventiseienne Lorenzo fosse già cosi magnificamente moderno e à la page con quanto avveniva nel resto del mondo). Ora la mostra non fa molto di più (forse qualcosa avrebbe anzi potuto): nient'altro che rivitalizzare il museo, rivalutare le opere, insegnare al pubblico a leggere le meraviglie sofisticate di questa pittura che racconta la Bibbia come ambientandola in un elegante banchetto di corte e la Passione quasi spalmandola su un soffice cuscino di velluto. Ma il merito, soprattutto, è di avere riportato alla luce quel magnifico frammento d'affresco nella Sagrestia di San Domenico, che pare una miniatura schizzata via da un antifonario e salita come un coleottero sulla parete, tra quelle grottesche quasi licenziose, ad accendere di luce l'intonaco (il che giustifica anche in mostra la presenza di alcuni codici miniati venuti da fuori, come il Dante illustrato da Boccaccio, a testimoniare il legame con il mondo colto). E se la mostra di Fermo si accentra (con miniature, dipinti, sculture e oreficeria sacra) a documentare lo straordinario capitolo flamboyant, del gotico internazionale rappresentato da Jacobello da Fiore, erede delle eleganze di Gentile da Fabriano e sensibile alla luce che viene da Venezia, il vero incunabolo di tutto pare consistere e emanare da quel faro acceso nella nebulosità della pittura tardo-romanica che si chiama il Maestro di Campodonico. «Scoperto» da Venturi, studiato da Toesca, Volpe e Zeri, che vi leggeva uno dei grandi protagonisti dell'intensità espressiva nascente, suggestionato indubbiamente da Giotto, Lorenzetti e Puccio Capanna (sortito dunque da quella compagine degli affreschi d'Assisi che sono ancor oggi un problema critico irrisolto) con i suoi volli intensissimi di prelati-felini e quella scena terribili; della Madonna piegata, che assiste da un buco della serratura alla Flagellazione del figlio (ispirata ad una lauda medioevale riscoperta da Fabio Marcelli) è un proto-ritrattista sublime. E in quella sintesi scabra della mano inchiodala di Cristo che dalle nubi spinge l'eremita a partire, già s'intravede l'ellittica sintassi rinascimentale che sarà di Beato Angelico. DAL MAESTRO DI CAMP0D0NIC0 Al SALIMBENI DI SAN SEVERINO TRE MOSTRE ESPLORANO AFFRESCHI MEDIEVALI, CODICI E TESORI NASCOSTI NELLE CHIESE E NEI MUSEI DELLE MARCHE «Madonna orante» del maestro del Polittico Ranghiasci, risalente ai primi decenni del '400