Così Hannibal fa a pezzi il Bene e il Male

Così Hannibal fa a pezzi il Bene e il Male Così Hannibal fa a pezzi il Bene e il Male RECENSIONE Ruggero Bianchi ROMANZI come Hannibal di Thomas Harris (Mondadori, pp. 463, lire 34.000) andrebbero probabilmente recensiti non già da studiosi di letteratura, bensì da psicologi e psichiatri, da antropologi e filosofi, se non addirittura da teologi o comunque da esperti del satanismo New Age. Alla loro radice, si pone infatti la revisione dei tradizionali concetti etici e sociologi di Bene e di Male, della loro presunta universalità e, più in generale, del rapporto con un Altro/Diverso identificato di solito con il Maligno, con l'Inconscio o con l'Alieno. Il fenomeno del Cannibalismo (ma chi è il vero cannibale: il protagonista o il narratore?) è infatti associato da Harris a quello del Vampirismo, leggibile in (pianto tale, come dimostrano le recenti interpretazioni di Dracula a cominciare da Intervista con il Vampiro di Anne Rice, non tanto in chiave di horror e di gotico, quanto alla luce del problema della sofferenza, del dolore e, soprattutto, di un'angoscia che scaturisce da un'intelligenza e una conoscenza superiore. A prima vista, Hannibal dà l'impressione di situarsi con estrema astuzia da un lato sulla scia di Stephen King e, dall'altro, di quei romanzi «commisti» che parlano di tutto e di tutti e che germinano sovente da lavori di squadra, programmati per imporsi come bestsellers. Non c'è settore che Harris non dimostri di non conoscere: dagli intrighi di Washin- gton all'impeachment rischiato da Clinton, dal Mostro di Firenze al Campionato di calcio italiano (si accenna persino alla partita tra Cagliari e Juventus), dalle nonne accademiche che regolano la Lectio Dantis alle nonne processuali alla Pen7 Mason. Il tutto, naturalmente, in un contesto dove l'esotismo (o quello che gli Americani considerano tale) occupa grande spazio. I nomi dei personaggi italiani che compaiono nel suo romanzo sono infatti Deogracias o Montenegro, Pazzi dei Pazzi o Bevisangue; proprio come le eroine che li popolano rimandano da un lato a La famiglia Addams e, dall'altro, a E. A. Poe: Clarice, Ardelia, Evelda, Inelle e così via. L*a qualità della documentazione del narratore è tale da far ritenere che egli abbia presente persino Porcile di Pasolini e che ne sappia più di noi sulle tecniche dei rapitori sardi del Gennargentu. All'improvviso tuttavia qualcosa cambia, forse in virtù di un principio da lui enunciato quasi di sfuggita: «La smania di rappresentazione rende insensibili all'oscenità». Il che può voler dire che r«orrore» appartiene non tanto a chi lo pratica, quanto a chi trae diletto della sua contemplazione, cioè dalle folle di persone che visitano le mostre dei più atroci strumenti di tortura, delle anni più letali e micidiali, dei criminali e dei serial killers più efferati. E' a partire da questo momento che il tono di Hannibal si trasforma. E' pensabile, sia pure per paradosso, che il «silenzio degli innocenti» sia quello degli assassini e che lo sbraitare più sadico appari enga invece ad altre categorie di persone (i lettori di giornali, i patiti della tv, gli agenti dell'Fbi, gli sceriffi o i poliziotti), che sarebbero dunque di fatto i veri carnefici? Salta pertanto, a metà strada, la struttura del romanzo, giacche Harris ha ormai attivato percorsi e riflessioni con cui per primo deve misurarsi, senza forse sapere a quali conclusioni potrà o dovrà giungere. Hian nibal finisce (fortunatamente ma pure angosciosamente) per prendere la mano all'autore, che a sua volta non può l'are altro che prendere per mano il lettore e avventurarsi con lui in spazi che credeva di conoscere ma che gli sfuggono eh continuo: lino a una conclusione non certo gratificante né pacificatoria, nella quale il «prendersi perniano» diventa, più umilmente, un «darsi la mano», per affrontare o evitare insieme paure comuni che, per essere reali e non immaginarie, vanno ben al di là di quelle di/fili King. Salta anche, di conseguenza, l'impianto psicologico di partenza, che nella prima metà del volume aveva mirato a una credibile presentazione dei personaggi, anche minori. Tutti gli individui che giocano la tragica partita di Hannibal diventano di colpo conoscitori di ogni campo dello scibile, dalla filosofia alla musica, dall'arte alla poesia, dalla psicoanalisi alla medicina e alla farmacologia. Una soluzione inevitabile, dal momento che, nella parte più affascinante del libro, al cannibale Hannibal subentra un altro e più temibile onnivoro: Thomas Harris. Il fenomeno del Cannibalismo associato a quello del Vampirismo, un'angoscia che scaturisce da una intelligenza superiore Thomas Harris Hannibal traduzione di Laura Grimaldi Mondadori, pp. 463, L 34 000 ROMANZO

Luoghi citati: Cagliari, Firenze, Male, Montenegro