Lavazza lancia le «Case del caflè» di Luigi Grassia

Lavazza lancia le «Case del caflè» Da tostatole a proprietario di una catena di locali «per conoscere meglio il mercato» Lavazza lancia le «Case del caflè» Luigi Grassia TORINO DAI, produttore al consumatore: la Lavazza «allunga la catena del valore» (come si dice nel gorgo imprenditoriale alla moda) e da tostatore, distributore e costruttore di macchinette si fa anche gestore diretto di locali acquisendo la catena iberica «Il Caffè di Roma»: quaranta esercizi in Spagna, più altri in allestimento, più tre in Portogallo e una gran voglia di crescere ancora. L'idea della catena di caffè non è ancora familiare in Italia. L'esperienza originaria è quella degli americani «Starbucks», poi imitati a Londra e dal '94 in Spagna: sono locali diversi dai nosti bar perché non vi si bevono alcolici. Loro vocazione esclusiva è la degustazione del caffè (contornato da spuntini). Altro elemento comune, tutte le catene indipendenti apparse finora hanno puntato a nobilitarsi mantenendosi fedeli alla tradizione italiana, ma intesa nel senso più ampio e non in quello riduttivo di espresso e cappuccino, come spiega il direttore «corporate strategy» di Lavazza, Luigi Pellegrini: «L'idea chiave del "Caffé di Roma" è offrire un vero e proprio menù di 20-30 caffé. Alcuni possono essere corretti con liquori (dunque si trova alcol anche qui, ma solo come ingrediente) oppure arricchiti con panna fino a farne delle sostanziose merende. Altri sono shakerati in bevande, altri ancora serviti freddi, fino alle granite. Poi nei nostri nuovi ".Caffé" spagnoli c'è la possibilità di comprare qualità pregiate in chicchi, come si fa ancora nelle piccole torrefazioni». L'uomo di Lavazza spiega co¬ sì la necessità del produttore torinese (che controlla il 45% per cento del mercato italiano e opera in 70 Paesi con un fatturato di 1300 miliardi) di espandersi in un business tutto nuovo: «I consumatori oggi sono un insieme segmentato, non più compatto come una volta. Ad esempio molti diciassettenni non gradiscono l'espresso ma gustano il caffè nei "milk shake", frullati di gelato e simili. Per seguire le velocissime evoluzioni nel gusto le indagini di mercato sono un metodo utile, ma indiretto. Invece abbiamo bisogno di un legame col pubblico immediato, per sapere come accontentarlo. Gestire direttamente dei caffè ci dà questa possibilità» Ma dopo la Spagna una cate¬ na di caffè svolgerà i suoi anelli anche in Italia? La Lavazza non lo prevede, considerando quanto è fitta la rete di bar nel Paese. Ma l'intenzione di allargare il ristretto «menù» di caffetteria che viene per ora offerto dalle migliaia di locali esistenti, spesso già clienti di Lavazza, c'è tutta. L'esempio dei beveroni all'americana, però, può far nascere qualche 'nquietudine. L'idea di partenza è diffondere il gusto italiano nel mondo; ma invece non andrà a finire come per la pizza, che ha conquistato 1 America ma poi ci è tornata indietro come un boomerang riempiendoci i menù di presunte «pizze» ai peperoni, alla rucola eccetera? Pellegrini non lo teme: «Non c'è rischio di contaminazione, se alla base c'è un ottimo caffè». Anche per la pizza, dice, dobbiamo chiederci: «Qui, dove sto ordinando, sanno ancora fare l'autentica napoletana? Se sì, allora ben vengano le variazioni sul tema». Purché poi si chiuda con il miglior caffé italiano. Acquisiti 40 esercizi in Spagna e Portogallo Il modello sono gli americani «Starbucks»

Persone citate: Lavazza, Luigi Pellegrini