Quando il buono della vita puzza un po'
Quando il buono della vita puzza un po' La rivalutazione di un alimento «povero» e a lungo snobbato Quando il buono della vita puzza un po' Carlin Petrilli PABLA come mangi. Quante volte abbiamo usato questi due approcci - il linguaggio e il cibo per capire quanto una persona era simile a noi per formazione, gusti, cultura, generazione? Quando poi le due cose si fondono e si parla di cibo, i riconoscimenti di fratellanza e le dichiarazioni di estraneità avvengono ancora più velocemente. Vino e formaggio sono spesso terreno di confronti, e prima o poi la frase «il formaggio puzza» ci chiamerà in causa; ma proprio lì sta la sua essenza, la sua grandezza, la sua infinita capacità di stupire e di dare piacere. Sul vino in effetti le cose si sono cominciate a muovere almeno venti anni fa, e oggi è abbastanza raro trovare qualche adulto che vada oltre una dichiarazione di soggettiva intolleranza. Ma la strada del formaggio è stata più lunga, ed ò ancora in salita. 1 secoli in cui il formaggio era bandito dalle tavole dell'aristocrazia non sono finiti da molto: era ritenuto indegno di mense altolocate e in particolare non era cibo che le signore potessero mangiare senza essere tacciate di volgarità. E oggi che finalmente si apre uno squarcio di luce sul cammino di uno dei prodotti più affascinanti del mondo, perché lo abbiamo - vivaddio - imparato dal vino, che i profumi a questo mondo sono tanti e che vale la pena di provare a conoscerli tutti -, ci ritroviamo con ambizioni di asetticilà tali da far sì che il gusto medio vada verso formaggi inodori. Certo l'impatto non è facile, ed è ancora più difficile di quello col vino. Entrando in una cantina siamo avvolti da profumi di leg.no, di mosto, di umidità, ma poi c'è l'alcol che purifica, che governa l'imprevedibilità batterica di una materia viva; chi invece entra in un caseificio viene davvero messo alla prova, l'odore è quasi inquietante, il lattee materia altamente deteriorabile ed in più, dal punto di vista psicologico, forse quegli odori un poco smuovono riconti ancestrali che il vino non sollecita. Ma poi il miracolo di quelle fermentazioni è sicuramente più strabiliante del fenomeno, per certi versi simile, che osserviamo nel vino, e produce complessità per il vino irraggiungibili. A cominciare dai profumi; che ci parlano delle bestie che hanno prodotto il latte, dell'aria che hanno respirato, del foraggio che hanno mangiato, della terra che ha nutrito quel foraggio, dell'uomo che ha poi prodotto il formaggio, del sale (del man'!) e dell'ambiente che lo ha poi accolto per la stagionatura. Le variabili del formaggio sono molte di più di quelle del vino, ma piti sono le variabili in gioco più cose e situazioni diventano interessanti; sta partendo finalmente un movimento di rivalutazione e riconoscimento del formaggio come elemento di piacere, di economia, di promozione del territorio, ili rafforzamento del legame tra territorio e produzione. Anche qui il vino sani maestro, e le strade del formaggio, dopo quelle del vino saranno i percorsi del turismo di un futuro prossimo e attento al buono. E il buono della vita, fatalmente, puzza un po'. Il miracolo delle sue fermentazioni è ancora più strabiliante di quello del vino e produce complessità irraggiungibili
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